Sorta con il nobile fine di unire popoli e genti, l' Europa si è trasformata in mezzo di difesa dell'economia europea dall'incalzante globalizzazione. Localismo e xenofobia sono la conseguenza di un processo di unificazione distorto da cui si sono originati antipolitica e populismo.
Il forte astensionismo verificatosi nelle ultime elezioni europee rappresenta la conseguenza del profondo scetticismo che circonda un’idea di Europa inficiata dal peccato originale di essere stata concepita sulla base di imperativi esclusivamente economici. Sono tante le cause che stanno determinando il lento declino del sogno europeo ma, certamente, quella più rilevante è da imputarsi al velleitarismo delle tecnocrazie secondo cui legislazione comune e moneta unica, da sole, avrebbero potuto favorire la nascita di un forte senso di appartenenza dei cittadini europei. Non è la prima volta che, nella storia, si cade nel tragico equivoco di ritenere che la potenza della norma possa prevalere sulla forza delle culture. Il potere omologante del Diritto, in realtà, si arresta in modo inesorabile davanti alla forza superiore della diversità che non potrà mai essere obliterata per decreto. Questo è un responso che la Storia ha decretato per i totalitarismi da cui le democrazie hanno colpevolmente creduto di esserne dispensati. E’ stato questo il vero detonatore che ha causato l’esplosione dei localismi e delle molteplici forme di xenofobia a cui stiamo assistendo. Si tratta di fenomeni da non sottovalutare che nascono da una nozione di Europa astratta e culturalmente astrusa che si fonda su un equivoco: l’unione dei popoli rappresenta il risultato di un processo storico teleologicamente orientato dall’economia anziché dalla politica. Per questo motivo il processo di unificazione si è realizzato in modo distorto: l’Europa ha così cessato di essere un “fine”, quello di unire popoli e genti, per trasformarsi in “mezzo”, cioè mero strumento di difesa dell’economia europea dalle incombenti minacce della globalizzazione. Nel suo progetto originario l’Europa doveva essere ben altro. Come sappiamo, la nostra Costituzione repubblicana impedisce il referendum abrogativo per le leggi di ratifica dei trattati internazionali. Bisogna ragionevolmente ammettere che, ove non fosse esistita tale preclusione costituzionale, le spinte centrifughe, già esistenti nel nostro tessuto sociale, si sarebbero prevedibilmente moltiplicate. Questo è lo stato d’animo del nostro paese, che non risulta diverso da quello degli altri popoli dell’Unione e che, come un fiume carsico, sta silenziosamente attraversando anche l’elettorato di sinistra che ha sempre visto nell’astensione una forma di qualunquismo. Tutto ciò costituisce, invero, un dato preoccupante perché vuol dire che tra i cittadini va consolidandosi la convinzione che “tutti i partiti sono uguali”. E’ il trionfo dell’antipolitica che rappresenta la vera causa a cui ascrivere le molteplici forme di populismo che negli ultimi anni hanno caratterizzato gli schieramenti di destra e di sinistra. Se riflettiamo, antieuropeismo, antipolitica e populismo sono aspetti diversi di uno stesso fenomeno del quale sarebbe opportuno che il sistema politico analizzasse le molteplici implicazioni. Per esempio, dopo il grande successo elettorale la Lega è chiamata a decidere se continuare ad essere partito di lotta e di governo o se è arrivato il momento di guardare al di là del Po. Nel primo caso potrà continuare a vivacchiare all’ombra del governo attribuendosi i meriti e dissociandosi dai demeriti. Ciò potrà sicuramente aumentarne i consensi al Nord ma non le consentirà di incidere sulla vischiosità strutturale del nostro sistema politico nel varare le grandi riforme. Nel secondo caso, la Lega potrà assurgere al ruolo di grande forza popolare e potrà credibilmente sostenere una politica riformatrice, federalista e “nazionale”, cioè autenticamente solidale. Questa seconda opzione gioverebbe sicuramente al paese ma implica la rinuncia a quel potere di interdizione che si è sempre tradotto in una proficua rendita di posizione. Vedremo se quel Sindaco leghista di colore costituisce solo un episodio o se è l’inizio di un nuovo cammino.