Con l'avvento di Renzi il PD è un partito che ama riconoscersi nell’establishment e che, costitutivamente, non è in grado di intercettare il diffuso malcontento che alligna nel corpo sociale. In Italia esiste una destra in grado di aggregare quella enorme area di ostilità sorta contro il renzismo? Salvini non appare in grado di inoculare nella nostra politica quelle dosi di "lepenismo" che servono alla destra. Dovrebbe avere l'abilità di convertire un partito localista in una inedita forza nazionale rappresentativa di tutte le regioni, anche di quelle che, un tempo, la Lega non esitava a vituperare tacciandole di parassitismo. Tutto sembra volgere a favore dei grillini..
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La schiacciante vittoria di Marine Le Pen è stata salutata dalla destra italiana come l'inizio di un definitivo regolamento di conti con l’Ue e con le classi dirigenti degli Stati membri che hanno usato l'ideale europeista per infliggere un colpo mortale allo Stato sociale e ai diritti del cittadino. La sinistra italiana farebbe bene a studiare il “lepenismo” evitando la spocchia di liquidarlo come la solita “deriva populista” di una democrazia in difficoltà. C’è altro e, per questo, il PD dovrebbe interrogarsi sulla convenienza politica di una svolta identitaria che collide con le sue ragioni costitutive. La nomenclatura renziana dovrebbe ammettere che, oggi, la sinistra viene percepita come garante di quei centri di potere ai quali il cittadino annette le responsabilità dei conflitti distributivi che hanno determinato il suo progressivo impoverimento. Una sinistra vicina al sistema bancario, alle multinazionali, alle lobby, a tutti quegli “ambienti” nei quali si consumano le grandi decisioni poi ratificate dagli organi elettivi, è una sinistra che ha travisato in modo clamoroso la direzione di marcia verso il sospirato approdo liberale. Malgrado ad una certa stampa piaccia coltivare l'idea di vedere in Renzi la prova della definitiva maturazione della sinistra, ciò che è accaduto, realmente, in Italia, non ha nulla a che fare con l'evoluzione liberale di un partito di massa che, di fatto, risulta ormai privo di identità. L’operazione politica di Matteo Renzi verte sull’idea che il tramonto di Berlusconi costituisca una ghiotta occasione per annettersi un elettorato ormai privo di riferimenti. In quest’ottica, Alfano, Lupi, Formigoni, Verdini, hanno il compito di traghettare nel Pd quella parte di elettorato berlusconiano che non voterebbe mai per Salvini, ritenuto troppo “terragno” e dozzinale per assurgere ad una leadership credibile e competitiva. La verità è che stiamo assistendo ad una sorta di corto circuito della politica italiana che rischia di aprire scenari del tutto imprevedibili. Per i motivi anzidetti, il PD non può più dirsi un partito di sinistra: è un ircocervo, una “cosa” indecifrabile. Per ora, il dato certo è che si tratta di un partito che ama riconoscersi nell’establishment e che, costitutivamente, non è in grado di intercettare il diffuso malcontento che alligna nel corpo sociale. Esiste, in Italia, una destra in grado di aggregare questa enorme area di ostilità al renzismo? Al di là dei facili proclami, Salvini non sarà mai in grado di inoculare nella nostra politica quelle dosi di lepenismo di cui la destra avrebbe vitale bisogno per candidarsi alla guida del paese. Marine Le Pen capeggia un partito sciovinista che, come tale, ha una spiccata vocazione nazionale. Salvini dovrebbe avere l'abilità di convertire un partito localista e territoriale in una inedita forza nazionale rappresentativa di tutte le regioni, anche di quelle che, un tempo, la Lega non esitava a vituperare tacciandole di parassitismo. Per vedere in Italia quanto è accaduto in Francia, non basta alimentare le ansie securitarie baccagliando contro il terrorismo islamico. Per questo motivo, Renzi è ben lieto di avere Salvini come antagonista: furbo com'è, il premier ha capito che la vera insidia, per lui, proviene dai grillini. Quelli sì, sono pericolosi!