La sinistra italiana non ha un leader, nè un progetto, né un’identità. Ha solo una oligarchia che si illude di essere insostituibile malgrado da anni i fatti stiano dimostrando esattamente il contrario. Le ragioni di Renzi, sindaco di Firenze.
Dopo appena due anni dal loro battesimo, Pd e Pdl, ovvero le due grandi forze che avrebbero dovuto costituire l’architrave del nuovo sistema politico italiano, sembrano aver già esaurito ogni energia propositiva. Fine del maggioritario e tramonto del berlusconismo sembrano procedere in parallelo e forse non è un caso. Va detto, infatti, che il sistema maggioritario ha partorito un bipolarismo zoppo la cui vocazione populistica ha esaltato il temperamento sulfureo del Cavaliere. La sinistra italiana non ha ancora capito che il maggioritario è un regalo a Berlusconi così come stenta tuttora a capire che la fusione tra Margherita e Ds ha sottratto campo al suo potere di rappresentanza. Il “partito a vocazione maggioritaria” disegnato da Veltroni era viziato “ab origine” da questo ingenuo velleitarismo perché ignorava candidamente una costante della politica italiana e cioè che, in Italia, la sinistra è storicamente minoritaria. La correzione di rotta voluta da D’Alema rappresenta un ritorno alla politica delle alleanze imposta dalla necessità di riportare in gioco un partito che ha smarrito ogni capacità di iniziativa. Il guaio è che, malgrado la sua opportunità, questa svolta reca in sé il sapore rancido della vecchia politica che suole utilizzare la tattica solo per colmare il deficit di strategia. Se il Pd di Veltroni era un partito malato, non si può certo dire che il Pd di Bersani stia meglio. Ha ragione Renzi, sindaco di Firenze: si abbia il coraggio di azzerare una dirigenza divenuta insopportabilmente autoreferenziale. Giusto per rinfrescare un po’ la memoria, occorre ricordare che dopo la svolta della “Bolognina” (1989, che trasformò il Pci in Pds), la dirigenza del maggiore partito della sinistra italiana era composta da Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Piero Fassino e Livia Turco. Che si chiami Pci, Pds, Ds o Partito Democratico, dopo venti anni la nomenclatura di questo presunto “nuovo” partito si compone degli stessi volti. Oggi tutti riconoscono che l’unione tra Ds e Margherita è stata una vera fusione per incorporazione, un’astuta annessione che non è stata comunque sufficiente a costruire un'alternativa credibile a Berlusconi. L’Ulivo è stato un capolavoro tattico che ha scontato il limite di una leadership debole. Prodi era il “Papa straniero” (definizione di Veltroni) che rappresentava un male necessario, un passaggio obbligato nella messianica attesa di un leader autenticamente di sinistra di cui, ad oggi, non vi è traccia. Occorre ammettere che tuttora la sinistra italiana non ha un leader, nè un progetto, né un’identità. Ha solo una oligarchia che si balocca nell’illusione di essere insostituibile malgrado da anni i fatti stiano dimostrando esattamente il contrario. Il Pd appare un partito impotente e paralizzato dalle sue contraddizioni interne, annichilito dalla iattanza del Cavaliere e sempre timoroso di quei ceti moderati che non lo voterebbero mai in ogni caso. Malgrado una crisi economica senza precedenti e una compagine ministeriale di assoluta mediocrità, la sinistra non è stata capace di intercettare il malcontento di una grandissima parte dell'elettorato. Paradossalmente, “questo” Partito Democratico rappresenta una gradita polizza a vita per Berlusconi e per la destra italiana le cui ansie sono infatti legate più alle manovre di Fini che alle alchimie di D’Alema. Diciamola tutta, la sinistra italiana appare antica e conservatrice. Da anni si è arroccata a difesa della Costituzione senza capire che ci sono passaggi cruciali nella storia di un paese in cui occorre avere il coraggio di ascoltare la “pancia” di un popolo senza accusarlo schifiltosamente di rozzezza culturale. Un esempio su tutti: oggi la sinistra deve far capire agli italiani che il federalismo è una necessità non più prorogabile perchè rappresenta il vero spartiacque tra vecchio e nuovo, tra conservazione e progresso, tra trasformismo e riformismo. Si parta da questo, naturalmente dopo aver dato il benservito a lor signori.