Agotso 2017, diario di viaggio. Quando sei sintonizzato su un determinato argomento, spesso capita che ti arriva sotto mano un libro, o anche più d’uno, che lo tratta nella direzione che ti interessa. Se poi casualmente (?) te ne capita più d’uno, anche se tra gli stessi non c’è un apparente collegamento, allora puoi dire che sei sulla lunghezza d’onda giusta per poter approfondire l’argomento stesso. Lasciamo da parte l’aspetto della casualità o presunta tale e concentriamoci sugli argomenti del titolo.
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Quando sei sintonizzato su un determinato argomento, spesso capita che ti arriva sotto mano un libro, o anche più d’uno, che lo tratta nella direzione che ti interessa.
Se poi casualmente (?) te ne capita più d’uno, anche se tra gli stessi non c’è un apparente collegamento, allora puoi dire che sei sulla lunghezza d’onda giusta per poter approfondire l’argomento stesso.
Lasciamo da parte l’aspetto della casualità o presunta tale e concentriamoci sugli argomenti del titolo.
Ormai è da qualche mese che sono attento e concentrato su quelli che definisco “gli inganni della mente”. Nel maggio 2017 ho trattato questo aspetto per la prima volta dopo averne preso consapevolezza. Posso dire, senza esagerare, che la mia vita è cambiata: un cambiamento interiore che poi si riflette all’esterno nella vita di tutti i giorni. Posso anche dire che il cambiamento è stato importante e ha portato un grande miglioramento nella mia vita. Una rivoluzione silenziosa che come tale comporta conseguenze rilevanti, senza clamore.
Nell'agosto 2017, a Piombino, poco prima dell’imbarco sul traghetto per la Corsica, siamo entrati in una Libreria Coop all’interno di un centro commerciale e girovagando, anche per fare passare il tempo prima dell’imbarco stesso, rilevo sugli scaffali un libro di Igor Sibaldi dal titolo “Le Prigioni”, ossia le prigioni che crea la mente e che ci tiene in stato di schiavitù senza esserne consapevoli. Leggo di sfuggita la sintesi in quarta di copertina e – conoscendo l’autore – decido di comprarlo.
Poi qualche scaffale più in là, vedo un altro libro, un caso editoriale recente che dalla Norvegia si è espanso in varie parti del mondo, intitolato “Il Silenzio” di un certo Kagge (e il nome non me lo ricordo), un esploratore che ha visitato i due poli, ha raggiunto la vetta dell’Everest, ecc.ecc. L’esploratore è poi diventato un piccolo editore nel suo paese ed ha raccolto in un libretto alcune sue riflessioni e ricerche sull’importanza del silenzio.
Decido di comprare anche questo.
Entrambi gli autori casualmente convergono su conclusioni molto simili quando disquisiscono sui limiti delle parole.
Sibaldi dice che le parole sono strumenti della mente e come tali sono strumenti con dei limiti e favoriscono lo scopo della mente stessa nell’imprigionarci con delle limitazioni, impedendo di fatto al nostro vero Io di esprimersi in modo completo. La parola, di fatto, è un limite e non è adatta ad esprimere determinati concetti, stati d’animo, percezioni della realtà e così via, dato che alcune idee non possono essere espresse solo con l’utilizzo delle parole.
Kagge invece tratta dell’importanza del silenzio per poter sentire la nostra vera essenza senza che il rumore, anche quello creato dalla mente, possa distrarci. Anche lui afferma che ci sono cose che non possono essere espresse con le parole e che invece possono essere colte soprattutto nel silenzio, quando siamo con noi stessi. In quello stato possiamo godere appieno anche delle piccole cose, dei piccoli piaceri della vita. In tal modo si sviluppa la consapevolezza di ciò che siamo veramente e possiamo apprezzare così quello che siamo e quello che abbiamo qui ed ora.
Ma la casualità (?) non finisce qui dal momento che prima di partire ho messo nei bagagli un altro libro che avevo comprato almeno quattro anni prima e che non avevo finito di leggere, “Il potere di Adesso” di Eckart Tolle. Il quale parla proprio dell’estrema importanza di vivere il momento presente e di non lasciarci convincere dalla nostra mente di vivere concentrati nel passato o con ampie incursioni nel futuro tralasciando invece il momento presente, che invece è l’unico che conta per raggiungere la serenità e la pace interiore. Anche Tolle tratta dei limiti delle parole, invitandoci a non aggrapparci ad esse, ad utilizzarle e a non farci limitare dalle stesse. Parla dell’Essere senza potere dare una piena definizione, ma facendoci intendere ciò che vuole dire. Le parole possono essere fonte di fraintendimenti e sono sostanzialmente dei limiti per la nostra esistenza se non ne siamo consapevoli. Le parole, come la mente stessa, sono strumenti e quindi dobbiamo farne un buon utilizzo per evitare che ci creino danni. Se affermiamo che l’Essere è il nostro vero Io, la nostra vera essenza, non possiamo pensare di averne dato una definizione completa e definitiva, ma almeno abbiamo messo il nostro interlocutore sulla strada giusta.
In estrema sintesi, dai tre libri sopra citati, possiamo estrarre alcuni concetti, anche rielaborati, che possono risultarci utili, senza alcuna pretesa di essere esaustivi:
“La nostra mente mente”
Noi non siamo la nostra mente
La nostra mente è un potentissimo e meraviglioso strumento e come tale la dobbiamo usare a nostro beneficio ma non dobbiamo diventarne schiavi
Le parole sono solo degli ulteriori strumenti che hanno dei limiti e che non possono esprimere di tutto e di più: occorre invece essere consapevoli che possono solo metterci sulla strada giusta per arrivare ad esprimere la nostra vera essenza o anche solo alcune nostre esperienze interiori ed esteriori
L’importanza del silenzio: per stare con noi stessi, per interrompere il rumore creato dalla nostra mente con il flusso continuo dei nostri pensieri che ci distoglie dal vivere qui ed ora, per comunicare l’incomunicabile con le parole; pensiamo anche al concetto di “silenzio assordante”, a quanto possa essere bruciante un silenzio in determinate circostanze, soprattutto quando ci si aspetta una risposta piena di parole … pensiamo al fatto che il silenzio è anche una forma di risposta, a volte la più potente, la più bruciante
Anche quando si parla, le pause, ossia i silenzi, possono assumere vari ed importanti significati e potenziare l’efficacia della comunicazione
Nella musica i silenzi creano grande attesa e grande efficacia espressiva
Con un sapiente utilizzo del silenzio possiamo andare oltre i limiti delle parole, prendendo consapevolezza che il silenzio a volte può colmare detti limiti; possiamo anche riflettere su ciò che non ci è stato detto, cercando di dare al non detto (con le parole) il corretto significato
E’ del tutto presuntuoso pensare che la parola sia l’unica forma di espressione: del resto, sappiamo quanto conti il linguaggio paraverbale (tono, volume, tempo, timbro della voce) e non verbale (linguaggio del corpo, tra cui espressione del viso, postura, contatto visivo, gesticolazione), ossia molto più del linguaggio verbale; e ancora, il linguaggio non verbale e, parzialmente, il linguaggio paraverbale non si manifestano preferibilmente in silenzio ?
Per inciso, basta pensare ad una conversazione telefonica, senza che gli interlocutori possano vedersi: la comunicazione non verbale è impossibile mentre la paraverbale è piuttosto limitata … non per nulla, sappiamo quanto è più efficace un incontro di persona per le questioni importanti, proprio per cogliere tutte le configurazioni e tutte le sfumature del linguaggio stesso, che non possono – se non limitatamente – essere riprodotte per iscritto o con il filtro del telefono
Aggiungiamo anche cosa stiamo comunicando con la nostra presenza fisica attraverso il modo in cui poniamo, come ci vestiamo, come ci presentiamo agli altri; aggiungiamo anche cosa comunichiamo con la nostra carica energetica; non ho idea di come possano essere classificate queste forme di espressione, ma possiamo avere la certezza della loro importanza; l’abito non fa il monaco, d’accordo … ma lo aiuta molto nell’apparire come tale ! Pensiamo a cosa ci sta comunicando, normalmente in modo inconsapevole, il nostro interlocutore con un anello nel pollice o con un ampio tatuaggio sotto il collo, o ancora con una cresta rossa o anche con una collezione di piercing, o magari con i gemelli ai polsi o con il colletto bianco su una camicia azzurra e via dicendo
Aggiungiamo inoltre quella che definisco comunicazione implicita, ossia il non detto ma lasciato intendere e ciò che semplicemente deve essere scoperto da soli; possono essere considerate forme di silenzio che comunica; non è facile rilevare questa forma, anche sofisticata e avanzata, di comunicazione per la quale occorre molta attenzione e concentrazione: in riferimento ad una persona, occorre valutare l’intero comportamento, tutto ciò che esprime con il suo operato, tutto ciò che ci comunica, a volte inconsapevolmente, e anche in questo caso con i propri silenzi, con quelle che possiamo definire le proprie reticenze; implicitamente che cosa ci sta comunicando ? Un insegnante, un mentore, un guru o come lo vogliamo chiamare, cosa ci sta comunicando con le sue azioni, con ciò che ripete sotto varie forme, con la sua personale forma di espressione ? Siamo in grado di individuare il suo vero insegnamento ?
La comunicazione implicita contribuisce a superare i limiti delle parole
Gesù con le sue azioni e con le sue parabole (ossia, similitudini) cerca di superare i limiti delle parole e di andare oltre i limiti dello spazio e del tempo. Le parole, del resto, appartengono ad una determinata lingua e con le traduzioni in altre lingue possono cambiare e di molto il proprio significato.
Sarà questo uno dei motivi per cui Gesù ha scelto di comunicare una parte del suo messaggio attraverso questa forma di espressione ? Forma che non è ancorata all’utilizzo di determinate parole, ma che – al di là dei limiti del linguaggio verbale di qualsiasi lingua – fa leva sulle immagini che cerca di evocare, sul vero significato di quanto vuole esprimere.
Riflettiamo, in silenzio, sulla vera essenza di quanto ci viene comunicato, in tutte le forme, compresi il silenzio stesso e la comunicazione implicita, senza aggrapparci alle parole utilizzate. Abbiamo molte più possibilità, rispetto al contrario, di cogliere ciò che i nostri interlocutori, chiunque essi siano e compresi noi stessi, realmente ci comunicano consapevolmente o meno.
Fabrizio Santi c/o Studio Santi & Associati © marzo 2018