Finalmente, dopo mesi di strizza, ho “tirato su un pochettino il fiato”. Peccando un po’ di presunzione penso di parlare anche a nome di tutti i vecchi come me: costretti, gonfi di paure e di angosce, a dover vivere con quel mostro del coronavirus incombente e minaccioso, che sembrava essere lì sulla porta di casa. Confesso senza ombra di vergogna di aver passato momenti di grande spavento, orrore subdolo che ha dominato la mia vita. E’ stata questa la triste condizione di un ultra ottantenne, per giunta cardiopatico, che leggeva dei tanti morti, dei focolai di contagiati in continuo aumento, degli autocarri militari pieni di bare, dei medici e degli infermieri contagiati e vittime.
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Finalmente, dopo mesi di strizza, ho “tirato su un pochettino il fiato”. Peccando un po’ di presunzione penso di parlare anche a nome di tutti i vecchi come me: costretti, gonfi di paure e di angosce, a dover vivere con quel mostro del coronavirus incombente e minaccioso, che sembrava essere lì sulla porta di casa. Confesso senza ombra di vergogna di aver passato momenti di grande spavento, orrore subdolo che ha dominato la mia vita. E’ stata questa la triste condizione di un ultra ottantenne, per giunta cardiopatico, che leggeva dei tanti morti, dei focolai di contagiati in continuo aumento, degli autocarri militari pieni di bare, dei medici e degli infermieri contagiati e vittime. Ho saputo anche di un medico di Erba, Ivan Mauri, che conoscevo seppur solo di vista: ucciso dal virus mentre stava compiendo la sua missione a Brivio. Il Covit si è portato via anche alcuni amici miei. Mi sono reso brutalmente conto della grande fragilità di noi vecchi davanti agli artigli della belva quando mia figlia Benedetta, negli ultimi giorni di febbraio, mi ha ammonito con affettuosa e sincera chiarezza: «Adesso ti metti chiuso in casa. Abbandoni i tuoi giri. Non ti muovi più, perché sei tra i più a rischio. Se ti becca il virus, ti portano via subito e noi ti salutiamo e ciao, perché quelli ti impacchettano e noi non possiamo più nemmeno vederti». Mi ha risparmiato la conclusiva, ovvia, parola “morte”, ma ormai avevo capito. Da quel che ho potuto sapere, grazie al telefono e alla posta elettronica, quasi tutti i vecchi come me hanno vissuto chiusi in casa a braccetto con una strizza tremenda. A me era andata via anche la fame. Quindi non ho nemmeno potuto compensare i danni prodotti dalla clausura forzata con qualcuna di quelle assai gustose pietanze che ogni tanto il ristorante mi recapitava puntualmente a casa e che sarebbero state un vero prodigio per sollevare lo spirito.
E adesso? Ora sembra che come diceva il povero Gigi Ghirotti, lui inventore dell’abusatissima metafora, la “luce in fondo al tunnel” si vede, anche abbastanza luccicante, nonostante il Covid non sia ancora stato del tutto sconfitto. Sua divinità il calcio ha ripreso a darci emozioni e accanite discussioni tra tifosi quasi come nella nostra vita precedente, si riaprono i cinema, ci si può “attavolare” al ristorante, dopo che ti hanno misurato la febbre. Gli svizzeri tornano nei supermercati italiani e anche Cipriani a Venezia ha riaperto l’”Harry’s Bar”. Si respira dunque. Ma non sono tutte “rose e fiori” , soprattutto per noi vecchi che siamo come i bambini, quindi portati a gonfiare paure ed emozioni. Ed è così che tremo quando continuo ad ascoltare esperti , che più che esperti mi sembrano dispensatori di angosce, che fanno a gara ad ammonire che in autunno il virus tornerà a scatenarsi con una seconda ondata. Si fa così prepotente il terrore di un Natale in quarantena, come è stata la Pasqua.
E non riesce a fare da camomilla il pensiero che non ne hanno mai azzeccata una quelli che prevedono il futuro. Nessuno aveva, per esempio, previsto che nell’inverno scorso il mondo sarebbe stato vittima di una mega pandemia come questo Covit 19, così come mai nessuno aveva anticipato la recessione nell’economia mondiale. Però non si sa mai. Quindi, pieno d’angoscia, faccio gli scongiuri.
Ho paura e mi arrabbio poi per altri motivi. Vedo congreghe di ragazzi e ragazze gremiti come greggi fuori dai bar: tutti senza mascherina. Poi ci sono i numeri quotidiani. Nonostante in discesa, i dati sui contagi e sulle vittime restano ancora assai preoccupanti in particolare nella nostra Lombardia.
Tutto questo porta pure un po’ di irritazione in noi lombardi. Quelli delle altre regioni sembrano volerci stare alla larga. Un amico che ogni anno, d’agosto, va al mare sulle spiagge friulane, ha saputo, preoccupato, che i proprietari di alcuni alberghi sono a disagio davanti al rifiuto di villeggianti altoatesini e tedeschi di trovarsi in albergo vicini a dei lombardi. Tra i tanti mali che ha portato, il coronavirus ci ha regalato anche queste stupide paure.
Per gentile concessione dell'autore che ringraziamo. Editoriale apparso su La Provincia di venerdì 19 giugno 2020