Gli errori di Lippi ma non solo. I Mondiali ci hanno dimostrato che siamo un paese per vecchi. La nazionale di calcio specchio di un'Italia dove i giovani stentano a trovare spazio per vari motivi, non sempre leciti.
Finito il Mondiale, giunge il momento dei consuntivi. Eliminata ingloriosamente l’Italia, ne abbiamo, in parte, mitigato la delusione assistendo alla eliminazione di Germania, Brasile e Argentina che l’Albo d’oro indica come nostre rivali storiche. Benchè fin dall’esordio fosse chiaro che non avremmo mai replicato la vittoria di quattro anni fa, ci si aspettava una eliminazione più onorevole. Così non è stato per i motivi che cercheremo sinteticamente di illustrare.
Con tenace coerenza, fino all’ultimo Lippi si è rifiutato di prendere atto delle chiare indicazioni del campionato. Ci riferiamo alla mancata convocazione di Cassano e Balotelli ma, soprattutto, di Totti il quale sarebbe stato l’unico giocatore in grado di dare un senso al modulo adottato dal nostro C.T.. Il 4-2-3-1 approntato da Lippi contemplava una punta in grado di fare da sponda agli inserimenti dei tre centrocampisti offensivi. In Italia, l’unico giocatore in grado di interpretare questo ruolo con grande acume tattico è Totti. Non ha senso utilizzare in un compito simile prima Gilardino, poi Pazzini e infine Quagliarella. Ma non è tutto. A ridosso dell’unica punta, il nostro C.T. ha collocato Marchisio che è un interno classico in grado di interdire e conferire propulsione alla manovra. Insieme a Chiellini, Marchisio rappresenta una delle promesse più credibili del nostro calcio ed averlo utilizzato in modo così dissennato induce a credere che Lippi non avesse più le idee chiare. Se ci fosse stato ancora Gianni Brera, avrebbe scritto certamente che “Lippi ha perso la sinderesi”. Dal punto di vista squisitamente tecnico, pertanto, il nostro mondiale è stato caratterizzato da improvvisazione e da una serie di incongruenze che risultano a dir poco incomprensibili (la girandola delle punte, talune sostituzioni cervellotiche, il ruolo di Montolivo, l’inopinata riesumazione di Gattuso che nel Milan faceva panchina ad Ambrosini, lasciato inspiegabilmente a casa). Di tutto questo, anche la Federazione sarà chiamata a rispondere.
A parte gli errori di conduzione che si è detto, resta il fatto che la nostra nazionale, anche se fosse stata schierata con i migliori giocatori espressi dal campionato, in questo mondiale non avrebbe mai attinto grandi risultati. Come tutti i settori del paese, il nostro calcio sta vivendo una grave congiuntura. L’Italia sta diventando un paese per vecchi e ciò vale anche per il nostro campionato che risulta sempre più riluttante nel lanciare i giovani. Questa è una costante che possiamo riscontrare anche nelle categorie dilettantistiche. Si ha timore di gettare nella mischia un giovane talento per paura che si possa “bruciare” (come se dovesse giocare al Maracana!). Moratti che imbottisce l’Inter di stranieri è solo il capro espiatorio di una mentalità che da anni si è radicata nel nostro calcio. I giovani talenti, in Italia, stentano ad affermarsi in tutti i campi non solo perché la “gerontocrazia” al potere ne ostacola il cammino ma anche perché ci sono dinamiche non sempre lecite: raccomandazioni e protezioni ai quali, nel calcio in particolare, si aggiungono tante gherminelle dei procuratori, categoria dagli ambigui contorni che negli ultimi anni ha perfino decretato la caducità dei contratti (che un anno si firmano e l’anno dopo si stracciano, impunemente). La Spagna ci ha dato una lezione in questo senso. Squadra giovane, talentuosa e forte sul piano tecnico e atletico, ha surclassato squadre più forti sul piano fisico: come dire, la qualità fa aggio sulla quantità. Questo potrebbe essere l’insegnamento più importante di questo mondiale, per noi tutti: investire sulla qualità partendo dalle basi (dunque dai settori giovanili, rectius, dalla scuola), investire pazientemente sui giovani e attendere i risultati. Vediamo se saremo capaci. Come cantava il grande Fabrizio de Andrè, dal letame nascono i fiori.