Uno dei leit-motiv dei proporzionalisti è rappresentato dalla esoterica “conquista del centro”, sorta di luogo mitologico che consente ad ogni suo abitante di proclamarsi ”moderato”. Cosa siano esattamente i moderati è sempre stato un mistero. Vedendoli nella società, sappiamo che si muovono sempre in modo vigile e con passo felpato. Il moderato ricorda il Principe di Machiavelli che “non dice mai quello che pensa e non pensa mai quello che dice”. Per il moderato non è importante sapere chi ha ragione ma a chi conviene darla. Il suo eclettismo si confonde con la piaggeria, infatti non tradisce rancori e non conosce l'insulto perché sa che i nemici di oggi possono essere gli amici di domani.
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Uno dei record più infelici della nostra democrazia consiste nella totale assenza di legislature con un solo governo. In un paese normale, la durata di un esecutivo dovrebbe essere pari a quella di una legislatura ma sappiamo bene che, in questo senso, non siamo mai stati un paese normale. Le leggi elettorali che si sono succedute negli ultimi 25 anni non hanno mai intaccato la fragilità dei governi italiani, rimasti precari come ai tempi della vituperata prima Repubblica di cui il “nuovo” ceto politico ne ha impudicamente perpetuato ogni vizio. Dopo Tangentopoli furono in molti a credere che fosse giunto il momento di sperimentare una legge maggioritaria per garantire la governabilità attraverso il bipolarismo. In realtà, nessuna delle leggi elettorali che abbiamo conosciuto in questi anni era in grado di assicurare un simile approdo. Con una interpretazione riduttiva e fuorviante, questa vischiosità del sistema politico è stata spesso imputata all'istinto di sopravvivenza della nostra classe politica la quale, in sede di elaborazione della legge elettorale, avrebbe sempre dimostrato di essere più incline a preservare la propria rieleggibilità che a garantire la stabilità dell'esecutivo. Questa tesi risulta innegabile ma non basta a spiegare la condotta dell'elettorato italiano il quale ha continuato indifferentemente a recarsi alle urne senza mai dare peso al sistema elettorale adottato. Perchè mai, quindi, il nostro paese non riesce ad uscire dalle secche di un parlamentarismo incapace di partorire un governo stabile? Proviamo a dare una risposta che prescinda dalle colpe, pur innegabili, di una nomenclatura aggrappata ai propri privilegi. E cerchiamo di capire se non vi sia un fondamento culturale alla base di questa inveterata propensione del sistema politico verso il proporzionalismo. Sarebbe utile ricordare che l'universo normativo riflette sempre i processi reali di una società e che, in ogni tempo, sono gli impulsi sociali a suggerire alla politica le opzioni normative. Per queste ragioni, riteniamo che il proporzionalismo sia un problema identitario di un paese culturalmente e strutturalmente proporzionalista. Uno dei leit-motiv dei proporzionalisti è rappresentato dalla esoterica “conquista del centro”, sorta di luogo mitologico che consente ad ogni suo abitante di proclamarsi ”moderato”. Cosa siano esattamente i moderati è sempre stato un mistero. Vedendoli nella società, sappiamo che si muovono sempre in modo vigile e con passo felpato. Il moderato ricorda il Principe di Machiavelli che “non dice mai quello che pensa e non pensa mai quello che dice”. Per il moderato non è importante sapere chi ha ragione ma a chi conviene darla. Il suo eclettismo si confonde con la piaggeria, infatti non tradisce rancori e non conosce l'insulto perché sa che i nemici di oggi possono essere gli amici di domani. Gli piace frequentare i circoli e le persone “giuste” perché la tela delle relazioni sociali va tessuta con geometrica pazienza. Il moderato è un animale sociale che, in politica, è proporzionalista per vocazione perché il proporzionalismo gli consente di perire e resuscitare: sa bene che la politica è un sempiterno regno del provvisorio dove la coerenza è un orpello insidioso che può anche tranciare una carriera. La storia patria ci ha insegnato che il moderatismo dell'Italia repubblicana non è sostanzialmente dissimile dal trasformismo dell'Italia savoiarda per cui in questa continuità occorre scorgere il peculiare tratto identitario di un'intera nazione e di un intero popolo. Diciamolo chiaramente: il proporzionalismo consente agli italiani di conservare la propria indole. Questo è il vero motivo per il quale non riusciamo a varare una legge elettorale in grado di conferire stabilità ad un governo. Siamo tuttora una democrazia fragile e immatura alla quale, per darle nerbo, servirebbe seguire il monito di Julien Benda: “Che le vostre risposte siano sì o no, senza cercare di spiegare il sì e il no perché ogni spiegazione è già un compromesso”.
Editoriale apparso su La Provincia di lunedì 16 settembre 2019