Forse nessuno, o appena qualche amico di Zelbio, sa che Ettore Adalberto Albertoni, grande personaggio che se n’è andato da poco, in questi ultimi anni si è impegnato con slancio e competenza per la ricostruzione di quella ardita chiesetta che, fino a un secolo fa si alzava in cima al Monte San Primo. Il “professore”, come da amico rispettoso lo chiamavo, ha pure scritto una assai dotta prefazione a un testo da me redatto per la pubblicazione di un libretto dedicato a questo piccolo e coraggioso tempio che guardava sull'infinito anfiteatro del Lario e della chiostra alpina delle Retiche.
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Forse nessuno, o appena qualche amico di Zelbio, sa che Ettore Adalberto Albertoni, grande personaggio che se n’è andato da poco, in questi ultimi anni si è impegnato con slancio e competenza per la ricostruzione di quella ardita chiesetta che, fino a un secolo fa si alzava in cima al Monte San Primo. Il “professore”, come da amico rispettoso lo chiamavo, ha pure scritto una assai dotta prefazione a un testo da me redatto per la pubblicazione di un libretto dedicato a questo piccolo e coraggioso tempio che guardava sull'infinito anfiteatro del Lario e della chiostra alpina delle Retiche. Sarebbe dovuto uscire assieme all’inizio dei lavori per la ricostruzione del tempio, come a Zelbio alcune persone colte e amanti dei loro luoghi avrebbero voluto. Ma per i soliti motivi di basso profilo pratico il progetto è desolatamente fermo.
Ho vissuto il destino emozionante di essere amico del “professore”: dagli anni Sessanta quando guardava al partito socialista e scriveva opinioni per le pagine lombarde de “Il Giorno” firmando Ettore A. Albertoni. Ero un semplice “free lance”, lui un apprezzato “columnist”. Poi rimase folgorato dalla Lega. Ogni volta che lo incontravo ci abbracciavamo. Era un politico anomalo: colto, raffinato, senza ostentazione di sapienza, una “mosca bianca” nel rintronante sciame di gente rozza (senza far distinzione tra tribù di appartenenza) dalla quale cerco di stare lontano. Lui invece mi piaceva incontrarlo. Una volta mi parlò della chiesa in cima al San Primo: «Bisogna proprio ricostruirla». E suggerì l’idea del libretto. Se n’è andato, purtroppo, senza veder realizzato questo bel progetto.
La presenza di un eremita nella chiesa in vetta al Monte San Primo non si tramanda solo grazie a una leggenda raccontata dalla gente di Zelbio, ma si deduce dalla relazione del Vescovo di Como Feliciano Ninguarda, il quale fece, negli anni dal 1589 al 1593 una lunga visita pastorale negli immensi territori della Diocesi di Como, spingendosi fino a Bellinzona, fino a Poschiavo. Gli scritti del Ninguarda furono ordinati e annotati dal sacerdote dottor Santo Monti e pubblicati a spese della Società Storica Comense nel 1898. In questi importanti documenti è scritto, tra tante annotazioni molto interessanti, che una cappella era posta sul Monte San Primo e dedicata ai santi Primo, Felicita, Bernardo e Orsola. In seguito la chiesa fu intitolata solo a San Primo e a San Feliciano. Del tempio nel parla anche don Carlo Mazza, prevosto di Asso nel suo manoscritto “Memorie storiche della Vallassina” pubblicato nel 1796, opera ripubblicata qualche anno fa, per assai meritoria iniziativa, dalla Biblioteca comunale di Asso. Sono state trovate anche le foto dell’ultima chiesetta abbattuta nel 1919.
Albertoni si appassionò molto a questa vicenda della chiesa in cima al San Primo, nella sua prefazione approfondisce l’argomento grazie anche alla grande conoscenza della storia della religione . Scrive: “Questa storia conservata nel tempo e nella memoria va rispettata e tenuta presente perché ha il tono onesto e insieme affascinante di una leggenda correttamente intesa, quindi non certo una fandonia o una narrazione fantastica”. Dunque il piccolo tempio in cima al San Primo era una realtà importante, un baluardo di fede elevato davanti alla Riforma che incombeva dai Grigioni. Ecco perché meriterebbe di essere ricordato con una nuova costruzione.