Ma l’Italia è solo “un’ espressione geografica” (Metternich), o è una nazione? E l’Italia deve essere uno stato unitario o federale? Sono domande di grande attualità ma già discusse negli anni del Risorgimento.
Ma l’Italia è solo “un’ espressione geografica”, come disse il cancelliere austriaco Metternich, o è una nazione? E l’Italia deve essere uno stato unitario o federale? E’ una domanda che è stata riproposta in questi anni, ma che già era stata discussa negli anni del Risorgimento.
In un precedente articolo abbiamo ricordato il moti carbonari del 1820-21, in quell’occasione, quando sembrava che Carlo Alberto fosse sul punto di attraversare il Ticino con l’esercito piemontese per liberare la Lombardia dall’occupazione austriaca, Alessandro Manzoni compose la celebre ode Marzo 1821. Il moto rivoluzionario fu subito stroncato e l’ode venne pubblicata nel 1848, dopo le Cinque giornate di Milano. In essa Manzoni sintetizza il proprio ideale nazionale unitario nei famosi versi “una gente che libera tutta / o fia serva tra l’Alpe ed il mare; / una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor”. Ma sul fatto che la gente italica costituisse un unico popolo-nazione non tutti erano d’accordo. La questione si era già aperta negli anni napoleonici, quando nel 1796 Melchiorre Gioia pubblicò la dissertazione Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità del’Italia che risultò prima nel concorso bandito dall’amministrazione lombarda. In essa Gioia analizzava diversi motivi geografici, ambientali, culturali, religiosi,per concludere che “tutto c’invita ad unirci colla massima possibile strettezza nel seno d’una sola repubblica indivisibile”. Ma alla tesi centralista di Gioia si contrapponeva subito quella federalista di Giovanni Antonio Ranza, per il quale “L’Italia, tutto al contrario della Francia, è divisa in molti Stati da parecchi secoli; stati diversi di costumi, di massime, di dialetto, d’interessi; stati che nutrono (mi rincresce dirlo!) vicendevolmente un’avversione gli uni degli altri”. Per questo Ranza riteneva che uno stato unitario era al momento impossibile “…lo vedranno i nosti figli e nipoti”, per il presente proponeva che “ogni Stato libero d’Italia formi le sue legioni rivoluzionarie…in tal modo dispariranno senz’avvedersene le antiche antipatie tra stato e stato…”.
Dopo il fallimento dei moti del 1820-21 e del 1830, in Italia il movimento settario delle associazioni segrete quali la carboneria viene superato, si apre un nuovo dibattito su come pervenire all’unità d’Italia e si ripresenta la divisone tra un’ipotesi centralista ed una federalista, divisione che si trova sia tra i patrioti democratici e rivoluzionari che tra i moderati. Il primo a porre con chiarezza la questione fu Giuseppe Mazzini, il quale riteneva che uno dei mali italiani fosse proprio il municipalismo, a cui contrapponeva l’idea di “nazione italiana” come entità omogenea e nel programma della Giovane Italia così scrive: La Giovine Italia è unitaria: - perché senza unità non v’è veramente nazione… perché il federalismo , ridando vita alle rivalità locali oggimai spente, spingerebbe l’Italia a retrocedere verso il medio-evo – perché il federalismo, smembrando in molte piccole sfere la grande sfera nazionale, cederebbe il campo alle piccole ambizioni e diverrebbe sorgente d’aristocrazia…”.
Altri patrioti invece intravvedevano in Italia , per motivi geografici e storici, l’esistenza di più popoli nella penisola, differenti per costumi, tradizioni, leggi, interessi. Per cui ipotizzavano la formazione di uno stato federale. Gioberti nella sua opera Del primato morale e civile degli italiani afferma che “l’unità centrale d’Italia, essendo combattuta dal fatto, cioè da tutta la storia, non è conforme all’indole nativa del nostro paese… ora l’Italia non ebbe mai l’unione politica di cui si parla; giacchè la stessa repubblica romana nel suo fiorire abbracciò l’idea etrusca e fu una società di popoli… all’incontro l’idea dell’unità federativa, non che esser nuova agli Italiani, è antichissima nel loro paese e connaturata al loro genio,ai costumi, alle istituzioni, alle stesse condizioni geografiche della penisola…”. Gioberti proponeva una Confederazione degli Stati italiani sotto la presidenza del Papa. Anche Cesare Balbo nella sua opera Le speranze d’Italia ipotizzava una confederazione degli Stati italiani, ma intorno al Re di Sardegna. Entrambi erano moderati e vedevano nel federalismo anche un modo per evitare sconvolgimenti rivoluzionari degli assetti economico-sociali. Il valtellinese Luigi Torelli proponeva invece una partizione della penisola in tre regni costituzionali indipendenti, ma confederati, dell’Alta Italia, dell’Italia centrale e della Bassa Italia. Anche il democratico Carlo Cattaneo era per uno stato federale, ma era contrario sia all’ipotesi unitaria di Mazzini che al conservatorismo monarchico dei moderati. Cattaneo immaginava l’Italia futura come una federazione di stati simile alla Svizzera e agli Stati Uniti, capace di conseguire un equilibrio tra la specificità delle autonomie locali ed i poteri di un governo centrale. Ma soprattutto Cattaneo legava il federalismo a concreti processi di avanzamento economico e sociale della popolazione, nel quadro di una società libera e moderna, con un sistema elettorale a suffragio universale.
Oggi stiamo passando da un sistema centralistico ad uno federale, per la verità in modo non ancora ben definito¬, ed è interessante constatare che nel dibattito attuale riemergano questioni già discusse nel passato. Ma il federalismo di oggi rappresenterà un modo per modernizzare e rendere più democratico il paese, come sognava Cattaneo, oppure riporterà l’Italia in una situazione di municipalismo e di privilegi per i potentati locali come temeva Mazzini?