L'attuale crisi economica ha evidenziato l'impotenza degli Stati ma anche l’impotenza del Diritto, congenitamente incapace di acquisire una connotazione globale.
Malgrado il clima apparentemente effervescente della politica italiana, sui problemi strutturali del paese si continua ad avvertire un preoccupante “vuoto pneumatico”. La nostra economia stenta ad uscire dall’impasse di una crisi la cui soluzione risulta problematica in ragione della natura esogena delle cause da cui essa ha tratto origine. Senza voler sottovalutare le questioni trattate dalla stampa in questi ultimi mesi, sarebbe opportuno riportare l’attenzione dell’opinione pubblica a questa sorta di nodo gordiano che i governi nazionali stentano a dipanare. Questa crisi, peggiore o meno che sia rispetto alla Grande Depressione del ’29, ci ha fatto capire che esiste una grave divaricazione tra il Diritto e l’Economia. La globalizzazione economica del pianeta ha avuto un’accelerazione negli ultimi anni che è da attribuirsi alle moderne tecnologie informatiche. I mercati sono stati oggetto di incursioni finanziarie mai viste in precedenza, i capitali sono diventati sempre più volatili, col tempo l’economia ha assunto un ruolo sempre più ancillare nei confronti della finanza, sorta di mostro senza testa la cui unica morale è quella di non averne. Gli Stati sono disarmati davanti alla ferocia di questo mostro che ha ribaltato le leggi dell’economia beffandosi delle profezie degli economisti, precipitati in un vortice di discredito del tutto inaspettato. La finanza ha così consentito all’economia di assumere una dimensione globale che ha finito per spiazzare la politica degli Stati. Dall’impotenza degli Stati nasce l’impotenza del Diritto che appare congenitamente incapace di acquisire una connotazione globale. Questo è il vero dramma di ogni Stato, il dramma di dover constatare che ci sono problemi che trascendono i confini nazionali e che richiedono una risposta in termini di uniformità globale difficilmente realizzabile. Lo stiamo sperimentando sulla nostra pelle: potremo mai risolvere il problema dell’immigrazione clandestina senza il concorso degli altri Stati? Sgombriamo il campo da ogni faziosità: il respingimento dei clandestini potrà anche apparire immorale e, a taluni, perfino, incostituzionale. Non basta, tuttavia, eccepirne la illegittimità etica e giuridica per poter risolvere il problema che, oggettivamente, permane. Su questo l’opposizione annaspa e non potrebbe fare altro proprio perché si tratta di un tema che richiede una soluzione globale. Lo stesso dicasi per il terrorismo: possiamo illuderci di combatterlo efficacemente senza una politica di coordinamento delle intelligence dei paesi minacciati? Dunque, per la prima volta nella storia, il problema dell’ordine pubblico travalica i confini di ogni Stato e diventa un problema globale. Lo stesso dicasi per il surriscaldamento del pianeta che ha portato gli Stati a siglare il Protocollo di Kyoto che, rammentiamo, ha imposto ad ogni Stato una soglia di inquinamento. Questo accordo rappresenta un esempio della particolare morfologia dell’ordine giuridico mondiale che gli Stati stanno cercando di realizzare. Un processo a tappe che, come dice Stiglitz, ha partorito finora una “governance globale che si riduce ad una serie di accordi e di istituzioni che trattano di determinati problemi” ma che risulta ancora scarsamente incisivo. La creazione di un sistema giuridico globale costituisce, pertanto, la sfida più difficile che le moderne democrazie sono chiamate ad affrontare. Innanzitutto, per la complessità della sua struttura in quanto, come tutti gli ordinamenti, anche il sistema globale dovrà disciplinare le attività di normazione, di amministrazione e di giurisdizione. Ma, soprattutto, perché il nuovo ordine giuridico globale dovrà indefettibilmente contemperarsi con i principi democratici su cui si fonda lo Stato di diritto: è coniugabile la parziale cessione di sovranità degli Stati con i principi della democrazia rappresentativa? Come la globalizzazione economica, anche quella giuridica pone, pertanto, seri interrogativi sulla tenuta delle democrazie. Come diceva Bernardo di Chartres, siamo nani sulle spalle dei giganti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo ai politici di casa nostra.