Nella confusione generale di una pandemia che ha inopinatamente sconvolto la quotidianità del cittadino, nelle ultime settimane si è aggiunta la “querelle” che ha per oggetto la legittimità costituzionale degli interventi normativi varati dal Governo per fronteggiare l'emergenza. Si tratta di un tema che continua, da settimane, ad occupare il dibattito pubblico con l'apporto di esperti e opinionisti che, a dire il vero, non sempre riescono a catturare l'attenzione del cittadino il quale, come spesso capita nelle questioni di carattere tecnico, finisce per recepire la tesi che più gli aggrada.
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Nella confusione generale di una pandemia che ha inopinatamente sconvolto la quotidianità del cittadino, nelle ultime settimane si è aggiunta la “querelle” che ha per oggetto la legittimità costituzionale degli interventi normativi varati dal Governo per fronteggiare l'emergenza. Si tratta di un tema che continua, da settimane, ad occupare il dibattito pubblico con l'apporto di esperti e opinionisti che, a dire il vero, non sempre riescono a catturare l'attenzione del cittadino il quale, come spesso capita nelle questioni di carattere tecnico, finisce per recepire la tesi che più gli aggrada. Per queste ragioni, riteniamo utile fornire il nostro contributo al fine di chiarire i profili più complessi sperando di riuscire a rendere più “commestibile” la materia. Partiamo dal dettato della nostra Costituzione la quale, nell'art. 16, recita: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. Risulta, pertanto, chiaro che, “per motivi di sanità o di sicurezza” la “legge” possa limitare il diritto di circolazione del cittadino. Si tratta ora di verificare la fondatezza delle critiche piovute sul premier in ordine alla “indebita” reiterazione del lockdown attraverso lo strumento della decretazione nella duplice versione del “decreto-legge” e del “Decreto del presidente del consiglio dei ministri” (Dpcm). Dall’inizio della pandemia ad oggi sono stati emanati n. 2 “decreti-legge” (parliamo di quelli che hanno per oggetto le restrizioni alle libertà individuali avendo, contestualmente, il governo, emanato n. 6 decreti-legge per le misure economiche) e n. 11 decreti attuativi, i cosiddetti Dpcm. In base a quanto previsto dall'art. 77 Cost., i “decreti-legge” possono essere emanati “in casi di necessità e urgenza” e devono essere convertiti in legge dalle Camere entro 60 giorni dalla loro emanazione. Non ci sono dubbi, pertanto, in ordine al requisito della “necessità e urgenza”: la virulenza dell'emergenza ne imponeva l'immediata adozione. Per quanto concerne la conversione in legge, occorre rammentare che il primo “decreto-legge” (cioè il D.L n.6 del 23 febbraio) é stato ritualmente convertito nella L. 13/2020 nella quale è stato espressamente previsto che “le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Sul punto, l'interpretazione più probante è stata fornita dal prof. Zagrebelsky secondo il quale le restrizioni previste dai Dpcm sono state ritualmente autorizzate dalla legge citata e, in tale ottica, il governo (in quanto “autorità competente”) si é limitato ad adottare “ogni misura di contenimento” attraverso i decreti attuativi (i c.d. Dpcm). L’adozione di n.11 Dpcm potrebbe risultare, in astratto, una grave anomalia ma, in realtà, essa si giustifica con la necessità di calibrare le restrizioni “all’evolversi della situazione epidemiologica”. Sul piano squisitamente giuridico, pertanto, risulta del tutto infondata l'accusa rivolta al Governo di avere esautorato il Parlamento confiscandone le prerogative con il pretesto del Covid. La sensazione è che si voglia usare questa insolita proliferazione normativa, resa inevitabile dal contesto emergenziale, per una sorta di regolamento di conti con il governo Conte la cui cronica fragilità non può, certamente, essere un argomento idoneo ad inficiare la validità giuridica dei suoi atti. Pertanto, dietro il dibattito sulla legittimità costituzionale degli strumenti normativi adottati dal Governo, si celano ben altre finalità. Malgrado l'ascesa dei suoi consensi personali, Giuseppe Conte resta un premier “sui generis”, senza un partito proprio, la cui leadership si fonda su una coalizione, meglio, su un “matrimonio di interessi”, che ha sempre palesato problemi di coesione. Questa debolezza originaria rappresenta il vero, grande limite di un esecutivo che si è trovato a dover gestire un'emergenza sanitaria senza precedenti sulla quale, da tempo, molti esponenti politici sono intenti a costruire una grande operazione di delegittimazione che si fonda su un vecchio adagio che, in questo periodo, sembra essere tornato in auge: il nemico del mio nemico è mio amico. Chi sperava che la pandemia ci avrebbe reso migliori, è servito!
Editoriale apparso su La Provincia di lunedì 11 maggio 2020