La fortezza dei diritti umani fondamentali, edificata a seguito delle tragedie del ‘900 e celebrata nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, pare oggi vacillare: il loro riconoscimento - sulla scorta di una presa di coscienza, da parte dell’occidente, di un sentimento di «comune umanità» - in capo a ad ogni uomo in quanto uomo, ha avuto l'effetto collaterale di legittimare la rivendicazione di posizioni giuridiche peculiari, che esulano dall’idea di una base giuridica incoercibile comune.
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La fortezza dei diritti umani fondamentali, edificata a seguito delle tragedie del ‘900 e celebrata nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, pare oggi vacillare: il loro riconoscimento - sulla scorta di una presa di coscienza, da parte dell’occidente, di un sentimento di «comune umanità» - in capo a ad ogni uomo in quanto uomo, ha avuto l'effetto collaterale di legittimare la rivendicazione di posizioni giuridiche peculiari, che esulano dall’idea di una base giuridica incoercibile comune.
È quello che Vincenzo Ferrari ha definito il paradosso dei diritti fondamentali: se da un lato essi costituiscono un movimento transazionale e unificante, dall’altro si assiste ad una loro moltiplicazione e specificazione che rende sempre più probabile un conflitto reciproco.
In altre parole, la nozione di diritti universali, inevitabilmente astratta in virtù dell’obiettivo che si prefigge, è oggi riempita di contenuti eterogenei, giustificati da posizioni relativistiche secondo cui, se è vero che ogni uomo è ugualmente libero, allora ognuno è libero di configurare e tradurre la propria libertà come meglio crede.
Le ragioni di questa discrasia tra intentio legislatoris e concreto operare del diritto, sono diverse.
Innanzitutto, occorre constatare come ogni principio assoluto, quando è calato nel contingente, si risolve in un’applicazione relativa al concreto fatto, nel quale si riscontrano, pressoché sempre, conflitti tra svariati interessi: da qui l'esigenza di un bilanciamento, in sede processuale, tra i diversi diritti ritenuti incoercibili che, pur non essendo così annullati, vanno a costituire un reciproco limite alla propria categoricità. Si pensi ai c.d. reati culturalmente orientati; al possibile contrasto tra diritto alla libertà di espressione e diritto alla privacy e integrità
dell’immagine; all’antitesi tra bio-ingegneria e rispetto dell’integrità fisica. Si tratta di fattispecie in cui l’interprete è chiamato ad eseguire una delicata ponderazione degli interessi in gioco, ugualmente meritevoli di tutela.
Da un punto di vista storico, determinante è stato il fenomeno della globalizzazione, che ha accentuato la moltiplicazione delle rivendicazioni dal basso. La circolazione su scala globale di modelli culturali, idee e valori morali e degli individui che li adottano, ha messo in discussione la territorialità del diritto e con essa la sua oggettività: gli individui emigrano portandosi appresso la propria concezione di ciò che è fondamentale, la quale si esprime in posizioni giuridiche la cui tutela non può essere negata. Se, ad esempio, un ordinamento considera il diritto di libertà religiosa un diritto fondamentale, allora ogni orientamento religioso rinvenibile all’interno della sua giurisdizione dev’essere ugualmente protetto. Ciò comporta, come si è già detto, una moltiplicazione delle istanze individuali e, di conseguenza, il venir meno di una chiara distinzione, all’interno dell’ordinamento, tra diritti incontestabili e posizioni passibili di restrizione.
I giuristi di common law parlano di floodgates argument, tradotto ragionamento delle paratoie, per riferirsi all’argomentazione cui ricorre il giudice al fine di motivare il rigetto di domande che, se accolte, aprirebbero la strada ad innumerevoli reclami simili. Per analogia, il fenomeno in esame può considerarsi anch’esso una flood, una inondazione di istanze sociali tra loro diverse e talvolta discordanti, che gli organi politici faticano a gestire.
Ma la questione principale è forse un’altra: è stata oscurata l’essenza dei diritti fondamentali, e cioè la loro matrice altruistica ed egualitaria: dal diritto all’uguaglianza si è transitati al diritto alla diversità che, se iperbolizzato, rischia di sopprimere quel sentimento di comune umanità e dare adito a nuove prevaricazioni e soprusi reciproci.
La convivenza sociale è un reciproco compromesso: le stesse costituzioni democratiche si fondano su un patto tra diversi gruppi sociali, addivenuti ad una
sintesi tra le proprie posizioni al fine di garantire il quieto vivere sereno. Se l’individuo si rifiuta di porre un freno alla propria tendenza all’autodeterminazione, non può pretendere che un’istanza superiore, lo Stato, provveda ugualmente a garantirgli quella misura essenziale di libertà che gli consente, entro i limiti del buonsenso sociale, di autoregolare la propria vita.
Le più attuali vicende italiane – e, più in generale, europee – possono essere analizzate utilizzando questa chiave di lettura: nel caos del relativismo giuridico, la bussola dei diritti fondamentali non è più capace di indicare la rotta corretta; rischiamo di navigare nuovamente in acque torbide, sui cui fondali riposano mostri che credevamo ormai estinti.
Nel 1993, Ray Charles cantava: «if one of us are chained, none of us are free.». Se uno di noi è incatenato, nessuno di noi è libero. Se ognuno di noi rivendica i propri diritti fondamentali, inevitabilmente le pretese di libertà di qualcuno saranno disattese; e, se la libertà di uno può essere violata, può esserlo anche quella di ciascuno di noi.
Rispettare l’altro è rispettare se stessi: se, incurante delle necessità altrui, l’individuo esige dei propri diritti fondamentali, allora non vi sono più diritti fondamentali.