Si è acuita la divaricazione tra società civile e ceto politico al cui interno esiste una vera e propria nomenclatura che nutre profondo disprezzo per le regole: ciò che vale per il cittadino non vale per l’oligarchia al potere.
La bocciatura del decreto salva-liste ad opera del Tar rappresenta un duro colpo all’immagine del premier e del Governo. Non poteva essere diversamente se si pone mente alle incongruenze di un provvedimento che mina irrimediabilmente la percezione sociale del carattere imperativo della legge. Il decreto del governo è un assurdo giuridico che alcuni giuristi, fervidamente devoti al Cavaliere, hanno difeso con bizantinismi a dir poco grotteschi. “La sostanza prevale sulla forma” è diventato lo slogan dei nuovi epigoni di Carl Schmitt tra i quali si è trovato iscritto perfino il povero Napolitano che, per ovvi motivi di opportunità, avrebbe preferito defilarsi. Occorre ammettere che, ormai da tempo, la “certezza del diritto” è diventata una favola da raccontare agli alunni delle medie. Negli ultimi anni si è acuita la divaricazione, sempre esistita nel nostro paese, tra società civile e ceto politico al cui interno si è costituita una vera e propria nomenclatura che nutre profondo disprezzo per le regole: ciò che vale per il cittadino non vale per l’oligarchia al potere. Per esempio, un cittadino che non impugna la sentenza di condanna nei termini previsti dalla legge, dovrà scontare la pena in carcere. Non si può certamente credere che la sua libertà non rappresenti una questione di “sostanza”, ma, come si dice, dura lex, sed lex. La famigerata quinta sezione della Cassazione, all’epoca presieduta dal giudice Carnevale, era stata definita “ammazza-sentenze” perché aveva condotto all’annullamento di numerose condanne di mafiosi conclamati a causa di vizi formali che avevano inficiato lo svolgimento del processo. Di fatto, quei vizi di forma avevano determinato l’affossamento della “sostanza”, quella, cioè, di punire esponenti di spicco della criminalità organizzata. In quanto operatori del diritto, sappiamo bene quanto le procedure siano ammorbate dalla tirannide del formalismo giuridico ma non occorre scomodare il grande filosofo del diritto Hans Kelsen per sostenere che, per evitare che la discrezionalità dell’interprete trasmodi in arbitrio, il diritto deve essere indefettibilmente improntato a coerenza e rigore formale. Ciò che infastidisce maggiormente in questa vicenda è l’incredibile tracotanza di un governo che ha deciso di fare strame della legge solo per porre rimedio ad una propria insipienza organizzativa. La cosa più sconcertante, tuttavia, non è solo la protervia dell’esecutivo ma è la serafica indifferenza delle classi dominanti davanti ad un fenomeno degenerativo che appare ormai inarrestabile. I cosiddetti ceti produttivi, siano essi imprenditori o professionisti, appaiono sempre più complici e silenti. Per questo motivo non condividiamo l’acredine di Di Pietro nei confronti del Presidente Napolitano il quale è, sì, garante della Costituzione ma è anche interprete della “volontà popolare”. Bene, la volontà di questo popolo è quella di ritenere irrilevante tutta questa vicenda che la destra seguita a rappresentare utilizzando il solito, stucchevole clichè, della magistratura “comunista” ostile al Cavaliere. Berlusconi sa bene che i magistrati non c’entrano con le deficienze di un partito che perfino il prof. Galli della Loggia, dopo 15 anni, ha scoperto essere inesistente. Il Pdl ha dimostrato, in questi giorni, non solo di avere scarso senso delle istituzioni ma anche di non essere riuscito a superare la propria vocazione carismatica e populista. Per questo Fini, il “compagno” Fini, come viene bollato dai giornali amici del Cavaliere, non perde occasione per rimarcare la distanza che lo separa da un premier che somiglia più a Mourinho che a De Gaulle. La verità è che, nella politica del nostro paese, continua a mancare una vera cultura liberale. Disporre di tanti denari per organizzare campagne elettorali rutilanti non basta perché il denaro propizia, sì, il consenso ma per governare serve un partito autentico composto da intelligenze vere e non da mediocri ciambellani in livrea incapaci, perfino, di depositare per tempo una lista.