E' appena uscito un libro scritto da due Nobel, George A. Akerlof e Robert J. Schiller, il cui titolo costituisce un eloquente atto d'accusa nei confronti dell'establishment che governa l'Occidente: “Ci prendono per fessi” (“Phishing for Phools”). Un esempio? Si ponga mente all''indifferenza con cui viene ignorata la necessità, per i governi, di contrarre debiti a lunga scadenza al fine di rendere più appetibili i propri titoli che, sul breve, hanno un rendimento nullo. Per questo motivo il Tesoro ha appena emesso dei BTP, con scadenza 50 anni, di cui l'83,2% è stato sottoscritto da soggetti stranieri. Con quaii conseguenze?
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Da pochi giorni è uscito in Italia un libro scritto da due Nobel, George A. Akerlof e Robert J. Schiller, il cui titolo costituisce un eloquente atto d'accusa nei confronti dell'establishment che governa l'Occidente: “Ci prendono per fessi” (“Phishing for Phools”). Difficile dissentire. Si ponga mente a quanto sta accadendo in Europa. Come è noto, il debito pubblico italiano rappresenta una spada di Damocle che continua a condizionare pesantemente l'azione dei nostri governi. La deflazione degli ultimi mesi ha ulteriormente complicato il quadro economico perchè anche da essa trae origine la graduale discesa dei tassi di interesse, ormai completamente azzerati. In sintesi, è accaduto questo: sette anni di dura recessione hanno messo in ginocchio l'economia dell'Eurozona facendo crollare la domanda globale e, di conseguenza, i prezzi. La riduzione dei tassi adottata dalla Bce aveva come obiettivo primario il rilancio degli investimenti e, nel contempo, un alleggerimento della spesa per interessi dei debiti sovrani. Il fallimento di questa manovra è sotto gli occhi di tutti perchè, malgrado la drastica riduzione dei tassi di interesse, la domanda globale continua a languire: infatti, non sono ripartiti né i consumi delle famiglie, né gli investimenti delle imprese che il nostro governo ha cercato, a sua volta, di incoraggiare attraverso il Jobs act. Come spesso accaduto nella storia, alla fine i fatti hanno dato ragione a Keynes di cui ogni studente conosce la celebre battuta: “l'acqua c'è ma il cavallo non beve”. Come dire, per rilanciare gli investimenti, non basta la riduzione dei tassi di interesse. Occorre altro: cioè, una domanda che, nelle fasi recessive del ciclo, ha bisogno di essere stimolata dall'intervento pubblico. L'azzeramento dei tassi, pertanto, non ha fatto da volano all'economia, come in tanti avevano preconizzato. Ma c'è un'altra conseguenza che viene spesso sottovalutata, un po' per insipienza, un po' per miopia. Lo dimostra l'indifferenza con cui viene ignorata la necessità, per i governi, di contrarre debiti a lunga scadenza al fine di rendere più appetibili i propri titoli che, sul breve, hanno un rendimento nullo. Per questo motivo, ad esempio, il Tesoro ha appena emesso dei BTP, con scadenza 50 anni, di cui l'83,2% è stato sottoscritto da soggetti stranieri (oltre il 30% dal mercato britannico). La stampa ha dato questa notizia solo di sfuggita, “en passant”, sottacendone colpevolmente le gravi conseguenze. In realtà, occorre rilevare che il debito pubblico italiano, già causa di un grave squilibrio strutturale nei conti dello Stato, diventa una variabile gravida di incognite perchè la collocazione all'estero espone i nostri titoli alle fibrillazioni dei mercati e alla speculazione di soggetti stranieri, rapaci e imprevedibili. Sarebbe, pertanto, necessario “rinazionalizzare” il debito, riportandolo in patria, così da restituirgli la stabilità derivante dalla tradizionale propensione dei risparmiatori italiani a custodire i titoli fino alla scadenza. Ma c'è altro. Ogni forma di indebitamento con l'estero è destinata fatalmente a renderci sempre più vulnerabili (per non dire ricattabili) e, conseguentemente, rappresenta una grave minaccia alla nostra, già precaria, sovranità. A meno che non si voglia un mondo interconnesso composto da Stati reciprocamente indebitati per ognuno dei quali risulta impossibile affrancarsi. I dubbi sono tanti anche se, talora, possono apparire peregrini. Per questi motivi, come titola il libro, è il caso di chiedersi se, davvero, “ci prendono per fessi”.