Una bambina piccola, esile che piange e forse prega, davanti alla sua casa distrutta e sotto la neve, intorno altri segni di orrori lasciati dalla guerra, la prima guerra mondiale, un secolo fa: una foto che stringe il cuore e che se fosse di questi nostri anni, potrebbe concorrere per il Pulizer. La scattò uno dei primi fotoreporter di guerra, Attilio Prevost, un tenente di artiglieria, milanese e un po’ brianzolo. Grazie alla sua competenza nella fotografia e nel cinema fu incaricato dagli alti comandi a documentare la guerra.
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Una bambina piccola, esile che piange e forse prega, davanti alla sua casa distrutta e sotto la neve, intorno altri segni di orrori lasciati dalla guerra, la prima guerra mondiale, un secolo fa: una foto che stringe il cuore e che se fosse di questi nostri anni, potrebbe concorrere per il Pulizer. La scattò uno dei primi fotoreporter di guerra, Attilio Prevost, un tenente di artiglieria, milanese e un po’ brianzolo. Grazie alla sua competenza nella fotografia e nel cinema fu incaricato dagli alti comandi a documentare la guerra. L’ordine era di mostrare la “potenza” degli armamenti, i “nidi d’aquila” appesi alle rocce, il lato bello della vita dei soldati, il sorriso, i momenti camerateschi e magari anche gli assalti vittoriosi, le conquiste, i prigionieri e “chissà mai” anche la vittoria finale. Ma il fotografo, era ovvio, si trovò in mezzo all’infuriare delle battaglie. I momenti belli erano terminati in fretta: scoppiavano le granate, i generali ordinavano stoltamente e con crudeltà ai poveri soldati gli assalti all’arma bianca, all’urlo “avanti Savoia”, contro le raffiche delle mitragliatrici. E il terreno si riempiva di feriti, di morti. Eccolo quindi l’orrore della guerra. Il fotografo Prevost ha continuato a fotografare a ridosso della prima linea, nelle trincee piene di soldati e di terrore, nelle retrovie dove giungevano le barelle, negli ospedali stracolmi di feriti.
La crudezza delle immagini, la loro drammatica realtà, gli scoppi ravvicinati, le incursioni, dimostrano che il giovane reporter fu fortunato a non lasciarci a sua volta la vita, come le tante vittime che sono sulla sue lastre in un bel bianco e nero: nitide e precise, reali , talvolta crudeli proprio come la morte.
Il “bottino” di immagini della guerra “15-18” del tenente fotografo milanese era molto copioso quando il generale Armando Diaz, il 4 novembre, firmò l’armistizio vittorioso. Ma di tutte quelle lastre in bianco e nero solo una parte era stata intanto pubblicata sui giornali. Il maggior numero fu bloccato dalle autorità militari, dallo stesso governo italiano e nascoste nei magazzini. Era prevalsa la ragione di stato. Quelle immagini erano troppo tragiche, piene di dolore. Renderle pubbliche avrebbe contribuito a tenere basso il morale della gente, già atterrita e angosciata per le distruzioni e per le vittime che aveva fatto la guerra: vittoriosa ma con un altissimo prezzo pagato soprattutto dalla povera gente. E così del fotoreporter Attilio Prevost furono diffuse solo le immagini che celebravano le vittorie parziali, poi quelle definitive, che ritraevano personaggi come Arturo Toscanini, come il re giunto più volte al fronte circondato e protetto. Di Prevost è anche il ritratto di un Francesco Baracca sorridente. Fu fotografato pochi giorni prima che cadesse. L’immagine forse più celebre di Prevost ci racconta di Gabriele D’Annunzio in procinto di partire a bordo del Caproni per Vienna dove riempirà le strade della città di volantini. Il raid ebbe un’enorme eco ed è entrato di diritto nella storia. La foto pubblicata dovunque. Ce la offre anche Wikipedia, ovviamente senza citare il fotografo.
A rendere pubbliche le fotografie che per ragion di stato erano state nascoste è adesso una fondazioni di eredi di Prevost, l’”Archivio Prevost Lari Mojana”, che ha ottenuto il permesso dal Governo di tirar fuori dai cassetti del Ministero questo assai importante patrimonio. Soprattutto per il bell’impegno di due donne Anna Maria Mojana Lari Prevost e sua figlia Marina Mojana, è stata scrupolosamente conservata, catalogata e anche pubblicata su cataloghi e in supporti audiovisivi, il più importante dei quali sarà proiettato in una cerimonia rievocativa il 4 Novembre a Erba.
Ecco quindi che ora ci si può fortemente emozionare e restare colpiti dall’importante e coraggioso lavoro che un secolo fa realizzò questo giovane tenente di Artiglieria incaricato dallo Stato Maggiore di fotografare la guerra.
Ecco che appaiono le immagini dei morti a centinaia distesi sui campi di battaglia dove è tornato il silenzio. Ecco le famiglie contadine costrette a lasciare le loro cascine, ecco le madri che stringono i figli e piangono. Poi ci sono i feriti che sono avviati a valle sui trabiccoli traballanti delle teleferiche di fortuna. Le immagini forse più impressionanti ci narrano gli assurdi e inutili assalti di massa contro le linee austriache.
Ne abbiamo viste tante di effigi cruente e sconvolgenti della prima guerra e di tante altre guerre. Vi furono infatti anche altri (penso però pochi) fotoreporter che , come Prevost, un secolo fa, hanno puntato i loro obiettivi tra le trincee, sui fronti delle battaglie , sulla ritirata di Caporetto, sul Piave dove l’esercito italiano riuscì finalmente a fermare il nemico e a ritrovare la gloria. Alcuni di questi ci hanno lasciato la pelle. Nessuno li ha mai celebrati. Lavoravano con macchine ancora rudimentali: le famose pesanti cassette di legno sui “trepiedi”. Prevost adoperava un po’ le lastre di vetro, un po’ le prime pellicole . Aveva due o tre aiutanti al seguito, l’autista, quello che portava la cassetta con le lastre, le attrezzature per lo sviluppo e l’addetto al cavalletto. Anche se vi era stata qualche anticipazione di reportages avvenuti nella guerra di Crimea, si può forse sostenere che Prevost e i suoi colleghi della prima guerra hanno inventato il fotogiornalismo di guerra. Quel fotogiornalismo di guerra che ha poi vissuto grandi epopee: nella guerra civile spagnola, nel conflitto della Corea, sul Sinai, in Israele. Una storia che, se con caratteristiche ormai mutate, continua ancora. Molti sono i nomi dei grandi fotografi che hanno fatto la storia del fotogiornalismo. Su tutti emerge la mitica figura di Robert Kapa. Ora quindi sono infinite le “icone delle guerre” che popolano libri, cataloghi, mostre, convegni. Ma vuoi mettere i passi da gigante che dal “15-18” in avanti gli apparecchi fotografici hanno fatto. Chissà quanto sarebbe stato ancora più prezioso il “bottino fotografico” di Prevost se si fosse trovato tra le mani una bella Laica, o addirittura le macchine digitali di oggi. Anche Prevost è entrato nella storia anche se con il cinema. Creò una fabbrica, “Officina Prevost” (1920-1991) e invento la “moviola” che ha avuto tanta parte nel mondo del calcio e che serviva per il montaggio dei film. Lavorò con Fellini, Lattuada, Visconti De Sica. Per alcuni anni fu anche sindaco di Magreglio dove aveva la villa per le vacanze.