Parafrasando Serge Latouche, illustre economista francese che ha introdotto la nozione positiva di "decrescita", forse è il caso di dire che una serena decrescita personale, nel propiziare il benessere e la serenità del singolo, può anche giovare al benessere della collettività.
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Si tende a volte a pensare che il XX secolo, non è pari a nessuno per quantità di avvenimenti, cambiamenti, invenzioni, trasformazioni sociali, ambientali, meccaniche e tecnologiche. Ammettendo che già quest’ultima parola, tecnologia, ha trovato vita proprio in quel XX secolo.
Hanno preso corpo teorie economico-politiche di fine ottocento, come ne sono nate di nuovo che hanno stravolto un mondo di lavorare, produrre e soprattutto, di vivere.
Si pensi solo alla massiccia migrazione campagna-città. A case sempre più piccole, a famiglie sempre più ridotte. Al dormire con la luce accesa e allo scrivere davanti ad una candela. Allo scaldarsi sulla paglia vicino al proprio bestiame, e a girare un termo mentre si manda un sms, e si ascolta distrattamente la tv interrotta dalla musica di fondo di un lettore cd. Cambia davvero un mondo di intendere e di vivere.
Una nonna nata nel 1920 e un giovane nato nell’ottanta, hanno ben diritto a guadarsi come due alieni. Pianeti diversi sicuramente.
Non sarà però presuntuoso credere, in vista di ciò, che questo secolo che si sta appena affacciando non sarà altrettanto stravolgente?
Non è forse limitante pensare di cambiare le cose con parametri svuotanti di senso perché fuori luogo ?
Non sarà un po’ demenziale investire per un ritorno dello status quo, sia esso politico, che economico e sociale?
Certo. Certo. Certo. Certamente stiamo inciampando su noi stessi, imbrigliati nell’affezione ai vecchi valori, alle buone e antiche abitudini, al nostro assuefatto modo di vedere il mondo.
Sinistra e destra non hanno senso di essere discusse con antichi paragoni. Perché quei paragoni hanno entrambi fallito. Se di fronte al crollo del muro di Berlino più di qualcuno ha gioito per la fine di un’ideologia, di fronte al crollo del capitalismo di fatto non gioisce intimamente nessuno, perché non c’è nessun altro che proponga una nuova soluzione.
Allora si assiste al risanamento delle banche con un ingente carico monetario, che il cittadino medio ignaro non saprebbe nemmeno visualizzarne la cifra, ammettendo che qualcuno volesse metterlo al corrente.
Allora si parla di tutela del lavoro, blaterando di contratti indeterminati che non ritorneranno più, mentre si cerca di congelare ancora per poco quelli rimasti. Evitando in tal modo, inoltre, di aggiornare il piano di assistenza sociale ai nuovi contratti ed impegnarsi, allo stesso tempo, nella formulazione di una nuova idea di mondo lavoro e lavoratore.
È essenziale promuovere una nuova visione del mondo che non sia quella del “più produci più consumi”, o del “ mi sono fatto da solo”, atta solo a creare super eroi che, raggiunto l’obiettivo, perché stacanovisti o illegalmente furbi, necessitano di esprimersi nell’acquisto compulsivo e nel possesso di beni eclatanti.
In questo senso, rispetto all’Italia, la Brianza dovrebbe farsi dell’autoanalisi. La visione del mondo brianzola, dove sei rispettato solo se parli di lavoro ed enunci quante massacranti ore lavorative caricano sulle tue spalle, mentre il livello di istruzione e cultura poco conta, e dove per dare un senso alle 40 ore lavorative e più settimanali, si eccede nell’acquisto del macchinone, del villone e di quello che si credono essere i confort di una vita, è l’approccio che sta alla base di questa crisi.
Chi sta pertanto in sede di governo e in sede di media comunicazione, dovrebbe smettere di incitare all’acquisto, al consumo, al possibile ritorno di uno stato di cose che non ritornerà. A dire che tutto va bene pensando di convincere anche i fatti. I fatti non si convincono, avvengono. Difatti c’è crisi.
È necessario sottrarre forze dal dibattito religione e laicità, per spostarle al dibattito istruzione e fede. Poco conta il discorso del crocefisso a scuola se l’ignoranza, che si sta tentando di alimentare e conservare, è soggetta a deviazioni evangeliche, cattoliche e islamiche portatrici di una visione del mondo guerrafondai e arcaica. Certo ci si potrebbe tranquillamente ritrovare in questo secolo tutte col velo, e tutti senza libertà e vizzi, come soggetti a chissà quali altri assurdi proselitismi. Perché in un mondo di ignoranza e crisi, la fede trova per prima la soluzione.
Bisogna quindi rivedere il mondo della produzione perché diventi il mondo del benessere. Bisogna rivedere il mondo dell’istruzione perché diventi quello della cultura. Bisogna rivedere il mondo del lavoro perché non confonda il lavoro per vivere con il vivere per lavorare.
Bisogna rivedere il mondo del consumo, affinché non si confonda con lo sfogo di una cattiva gestione della propria vita, o della mancanza di autostima.
Lavorare tutti e lavorare meno per investire qualitativamente nella propria vita; per disporre di un unico grande bene, che fa realmente il benessere di un una nazione: il tempo libero.
Investire nell’istruzione e nella cultura, che assieme sono capaci di alimentare uno speciale motore di vita: la curiosità di vivere.
Che una giusta dose di ozio, arricchisca la qualità della nostra vita, per non dover più essere il capro espiatorio di una vita frenetica e compulsiva, che fa dello stress e dell’esaurimento, quasi il traguardo da raggiungere. Coronandolo di centri benessere, cure buddazen occidentalizzate, e appariscenti prodotti di consumo – sempre per chi se lo può permettere – la ricompensa di una vita che divora. E che intimamente tutti avvertono, fingendo di non temerne il cancro.
La soluzione della crisi dell’ipercrescita è come sostiene Serge Latouche, economista francese, una decrescita serena, e io aggiungerei personale, così che il benessere e la serenità del singolo si riversi sul benessere della collettività.
Perché rileggendo tutto quanto ho appena scritto, tirando un sospiro e un sorriso, mi vien proprio da dire…oh, che gioia, mi decresco!