Tutti dovremmo ricordare lo sdegno con cui abbiamo guardato, per decenni, le dittature comuniste, le teocrazie islamiche, i regimi militari in Sudamerica. Ci indignavano le repressioni, spesso feroci, di operai, studenti, intellettuali, che invocavano le libertà civili, quelle libertà che, presenti nelle nostre costituzioni, ci rendevano fieri. Ci sono immagini che hanno solcato in modo indelebile la mente di ogni cittadino occidentale: i carri armati sovietici a Budapest e a Praga, Jan Palach avvolto dalle fiamme, piazza Tienanmen, le foto di migliaia di “desaparecidos” argentini. Democrazia, libertà, solidarietà, erano queste le parole che le nuove generazioni ascoltavano in famiglia, a scuola, in parrocchia, nei partiti.
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Per capire i grandi mutamenti in corso nel nostro paese, sarebbe utile ricordare un romanzo di José Saramago (“Le intermittenze della morte”) nel quale, in modo paradossale e tragicomico, viene dipinto il ritratto di una società nella quale la popolazione smette di morire. Dopo l'euforia iniziale dei cittadini, ben presto le cose cambiarono. Fallirono le compagnie di assicurazione, le famiglie si videro costrette a sopportare i costi di un'assistenza senza fine dei familiari anziani o malati, lo Stato si vide obbligato a pagare le pensioni all'infinito, i sacerdoti si sentirono inutili. Rivolgendosi al proprio sovrano, il primo ministro, sconsolato, esclamò: “Maestà, se non riprenderemo a morire, non abbiamo futuro.” Il romanzo di Saramago, pubblicato nel 2005, potrebbe essere utile per capire quanto sta accadendo, non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo occidentale. La caduta del Muro (di cui in questi giorni ricorrono 30 anni) e l'esplosione del fenomeno migratorio, hanno determinato nelle società occidentali una profonda trasformazione identitaria che ha decretato la fine di quei valori che, un tempo, credevamo irrinunciabili. Tutti dovremmo ricordare lo sdegno con cui abbiamo guardato, per decenni, le dittature comuniste, le teocrazie islamiche, i regimi militari in Sudamerica. Ci indignavano le repressioni, spesso feroci, di operai, studenti, intellettuali, che invocavano le libertà civili, quelle libertà che, presenti nelle nostre costituzioni, ci rendevano fieri e ci facevano sentire fortunati. Ci sono immagini che hanno solcato in modo indelebile la mente di ogni cittadino occidentale: i carri armati sovietici a Budapest e a Praga, Jan Palach avvolto dalle fiamme, piazza Tienanmen, le foto di migliaia di “desaparecidos” argentini. Quelle immagini turbavano la nostra quotidianità tanto quanto le stragi, il terrorismo o gli “efferati” omicidi commessi dalla mafia che ogni bravo cittadino vedeva come una minaccia alla democrazia. Democrazia, libertà, solidarietà, erano queste le parole che le nuove generazioni ascoltavano in famiglia, a scuola, in parrocchia, nei partiti, parole che corrispondevano a quei precisi valori di cui si componeva il lascito culturale che ogni padre trasmetteva ai propri figli. Le libertà democratiche rappresentavano un valore scolpito nella pietra della cui sacralità nessuno osava dubitare al punto che si guardava con favore a tutte le rivolte che, periodicamente, scoppiavano nei paesi illiberali. Per la cultura occidentale, il percorso naturale della Storia aveva la libertà come approdo definitivo per tutti i popoli e, in questo senso, anche il marxismo aiutava a credere che la palingenesi rivoluzionaria avrebbe condotto ad una società migliore. Sia pure con accenti diversi e con una cosmogonia differente, liberalismo e marxismo erano accomunati da una visione positiva del futuro che inoculava nelle vene delle società occidentali la certezza di un costante miglioramento, individuale e sociale. Il crollo del comunismo, ed il conseguente disfacimento dell'Unione Sovietica, rappresentò per l'intero Occidente la riprova che il cammino della democrazia fosse inarrestabile. La fine della Guerra Fredda significava il definitivo trionfo della democrazia liberale che, nei paesi avanzati, rappresentava l'unico sistema politico in grado di coniugarsi al capitalismo. Nel solco delle dottrine politiche più in auge nel mondo accademico, si consolidò la convinzione che l'unico ostacolo alla diffusione della democrazia liberale fosse la povertà: le società con un capitalismo maturo, cioè, le società più ricche e opulente (“affluent society”), erano società “naturaliter” libere che disponevano di istituzioni democratiche. Nessuno può negare che, per decenni, queste idee hanno dominato la cultura occidentale e il modo di pensare di ogni cittadino. Oggi non è più così. Come nel romanzo di Saramago, al desiderio utopico di abolire le dittature (la morte..), ha fatto seguito l'incubo distopico dell'avvenuta abolizione. Per il mondo occidentale, la libertà dei popoli si è trasformata in una iattura, in una maledizione, in un'apocalisse che minaccia i nostri destini. Per queste ragioni, siamo cambiati, ci siamo incattiviti e siamo pieni di rancore. Solo ammettendolo, potremmo iniziare a capire se stiamo regalando ai nostri figli un mondo migliore.
Editoriale apparso su La Provincia di lunedì 4 novembre 2019