Un breve compendio normativo per capire le difficoltà di una possibile causa agli istituti di credito dopo il crollo della borsa. Organi di vigilanza e agenzie di rating maggiori responsabili della più grave crisi finanziaria del dopoguerra.
Malgrado le rassicurazioni di prestigiosi esponenti della finanza italiana, sono in molti a chiedersi se la bancarotta della Lehman Brothers possa essere gravida di conseguenze anche per i risparmiatori italiani, già sufficientemente scottati dai casi Parmalat, Cirio, Bonds argentini, Giacomelli, Myway, 4you e Freedomland. Secondo l’Adusbef, in Italia circolerebbero ben 1,6 miliardi di obbligazioni della famigerata banca statunitense. Risulta, pertanto, interessante capire se sussistono i presupposti per invocare plausibilmente una tutela risarcitoria nei confronti degli istituti di credito che hanno suggerito l’acquisto di tali titoli tenendo conto, tuttavia, di un dettaglio non proprio irrilevante: fino a venerdì 12 settembre, vale a dire fino a poche ore prima della dichiarazione di default, Pattichiari, in linea con le maggiori agenzie internazionali di rating, ricomprendeva tali titoli nella lista delle obbligazioni di sicura affidabilità (A2). Questo costituirà l’argomento di forza delle banche che, prevedibilmente, saranno colpiti da una messe di citazioni che verteranno sui presupposti normativi già sperimentati nelle cause aventi ad oggetto i precedenti casi di default. Va ricordato, a beneficio dei lettori, che molte di queste cause si sono concluse con la soccombenza degli istituti di credito, peraltro già graziati dalla inesistenza, nel nostro ordinamento, della cosiddetta “class action” la quale, ove fosse stata già operante (pur con i limiti della versione italiana, recentemente introdotta), avrebbe certamente provocato disastri immani all’intero sistema bancario. Giova rilevare che, a fronte di un sistema di controllo largamente deficitario (si veda, in proposito, la recente condanna della Consob da parte del Tribunale di Milano nel caso Freedomland), esiste un efficace sistema sanzionatorio che poggia su tre pilastri normativi: la Costituzione, il Regolamento Consob n. 11522 del 1998 e il Decreto Legislativo n. 58 del 1998. Cercheremo di vincere la stucchevolezza della materia, rappresentando in modo semplice e lineare i principi ispiratori della predetta normativa. La nostra Costituzione, innanzitutto. La tutela del risparmio è contenuta nell’art. 47 secondo cui “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Si tratta di una norma costituzionale di grande rilievo da cui discende la necessità che le transazioni finanziarie siano indefettibilmente improntate a criteri di correttezza e trasparenza. Tali principi sono costantemente richiamati sia dal Regolamento Consob che dal D.Lgs. 58/1998. Ad esempio, l’art. 21 del D.Lgs. 58/1998 impone agli intermediari finanziari l’obbligo di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza” da cui discende, come corollario, l’obbligo di “acquisire dai clienti le informazioni necessarie e operare in modo che essi siano adeguatamente informati”. La correttezza dei rapporti tra risparmiatori e intermediari finanziari impone, naturalmente, l’obbligo che i primi siano informati in ordine “alla natura, ai rischi ed alle implicazioni della specifica operazione”. In questo senso, il regolamento Consob risulta essere perentorio posto che sugli istituti di credito incombe l’obbligo di verificare la perizia del cliente in materia di investimenti finanziari, nonché le dimensioni del suo portafoglio, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio. Come si può desumere da questo breve compendio normativo, non mancano nel nostro ordinamento gli strumenti legislativi per poter reprimere le inadempienze del sistema bancario e degli organi di vigilanza. Come ha riferito l’Espresso, la crisi Lehman tiene in ansia molti prestigiosi colossi del nostro establishment finanziario, compresi Unipol e Mediolanum che hanno subito rassicurato la clientela di non preoccuparsi. Anche nel dicembre 2001, subito dopo la dichiarazione di default del governo argentino, le nostre banche si affrettarono a dire la stessa cosa. Speriamo bene.