Cassazione: Il danno da demansionamento non è "in re ipsa" ma necessita di apposita allegazione da parte di chi lo lamenti. Può tuttavia legittimamente ricavarsi anche in via presuntiva o mediante ricorso a massime di comune esperienza. Segue
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Cassazione: Il danno da demansionamento non è "in re ipsa" ma necessita di apposita allegazione da parte di chi lo lamenti. Può tuttavia legittimamente ricavarsi anche in via presuntiva o mediante ricorso a massime di comune esperienza. E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, in relazione ad una vicenda di demansionamento del dipendente di una banca, che aveva richiesto ed ottenuto in giudizio di essere adibito alle mansioni corrispondenti alla sua qualifica, oltre al risarcimento del danno subito. Secondo la Corte Suprema, nel caso di specie, la prova del danno è stata riscontrata, sia pure mediante presunzioni, considerando la lunga durata della dequalificazione (oltre tre anni e mezzo), la mortificazione dell’immagine professionale e delle esperienze lavorative già acquisite, la marginalizzazione della posizione del dipendente e la conseguente perdita di contatto con i settori più qualificati dell’attività bancaria. Per la liquidazione del suddetto danno patrimoniale, risarcibile necessariamente in via equitativa, infine, è ammissibile il parametro della retribuzione. Cassazione, sentenza n. 20677, 13 ottobre 2016.