La borghesia italiana come classe sociale povera di ideali e sempre pronta a fare da stampella al potere politico. Servirebbe una borghesia illuminata, solidale, cosmopolita e sensibile all'interesse generale.
Abbiamo letto con grande curiosità e interesse i commenti delle firme più autorevoli del nostro giornalismo sulle ultime elezioni regionali ma abbiamo ricavato l’impressione che una buona parte di essi fosse inficiato da un approccio “politicistico” (disquisizioni su schieramenti e alleanze). Invero, anche le disamine più acute, fondate sulle motivazioni di carattere sociale che fanno da sfondo all’esito elettorale, sembrano lasciare sotto traccia uno dei dati fondamentali della politica nazionale: il riposizionamento dei ceti produttivi, cioè, di quella borghesia composta da imprenditori e professionisti che, storicamente, ha preferito avere nei confronti della politica un ruolo quasi sempre compromissorio e subalterno. Per questo motivo, risulta incontestabile un’opinione più volte espressa da Montanelli: a differenza della borghesia d’Oltralpe che ha duramente osteggiato l’aristocrazia per poi surrogarla nel ruolo egemone all’interno della propria società, la nostra borghesia si è sempre accontentata di accumulare denari premurandosi di comprare il blasone ed ottenere dall’aristocrazia una legittimazione sociale e culturale. Anzichè assurgere a classe generale e governante, la borghesia italiana ha sempre preferito essere stampella del potere politico in cambio di una sicura rendita di posizione. Poiché non è possibile analizzare in questa sede le molteplici implicazioni di questa improvvida scelta, ci limiteremo a fare qualche piccola riflessione sulle contraddizioni dell’oggi.
1) Antifascismo e anticomunismo: ci chiediamo perché mai la nostra borghesia si dimostri sempre così intransigente verso la sinistra e sia solita minimizzare fatti e circostanze (corruttela, malaffare, scandali sessuali) che, a parti invertite, l’avrebbero indotta a gridare allo scandalo. Ci chiediamo: perché mai i pruriti antifascisti sono meno intensi del fervore anticomunista? La nostra borghesia, infatti, suole essere tollerante (e reticente) sulle magagne presenti nella destra e, di contro, è solita essere schifiltosa, e talora spietata, nei confronti di tutta la sinistra italiana, ritenuta congenitamente inaffidabile. Due pesi, due misure.
2) Berlusconismo: su Berlusconi la borghesia italiana ha fatto di peggio: si è cosparsa il capo di cenere ed ha promesso devota obbedienza. Ne ha avallato la sciagurata guerra in Iraq malgrado le palesi menzogne sulla democrazia da esportare (Blair e Bush hanno rischiato l’impeachment per questo motivo); ne ha avallato il crescente antieuropeismo; ne ha avallato la prepotenza censoria contro la stampa e contro la satira; ne ha avallato lo stupidario autocelebrativo; ne ha avallato l’uso strumentale delle questioni etiche (il Cavaliere, lui, strenuo difensore della famiglia e dei valori cattolici!). Tutto questo, e altro, davanti all’assoluta, tartufesca, indifferenza della nostra ineffabile borghesia.
3) Cattolicesimo e intolleranza: Noi che siamo ingenui vorremmo capire come sia possibile coniugare la cultura cattolica con l’intolleranza verso gli immigrati. Noi che siamo credenti vorremmo capire se la povertà è diventata una colpa e la ricchezza un merito, se è normale definirsi “partito dell’amore” e odiare lo straniero.
Potremmo continuare all’infinito in questo florilegio di incoerenze. La borghesia italiana dovrà rassegnarsi a diventare una vera classe dirigente perché la perenne contrapposizione tra Berlusconi e la sinistra può, nel lungo periodo, sortire esiti devastanti per la democrazia. Serve ritrovare un clima sereno e di reciproca fiducia. Il paese è sfibrato ed ha bisogno di ricompattarsi. Per questo abbiamo bisogno di una borghesia moderna, cosmopolita e solidale: come si diceva una volta, di una borghesia “illuminata”. Invece, guardandoci intorno, scorgiamo qua e là solo brandelli di una piccola, minuscola, borghesia “lampadata”.