Come si è visto in Senato in occasione della legge di stabilità, la virulenza dello scontro politico continua a rappresentare, tuttora, il grande problema del nostro paese che, anche a causa di questa costante, non è in grado di proporsi in Europa come un partner credibile e, quindi, sufficientemente affidabile. Come nella vita, anche in politica vale la regola aurea secondo cui, prima di attaccare gli altri, bisogna essere inattaccabili. Noi, purtroppo, non lo siamo: è questo il vero problema, non la Merkel!
La visione del berlusconismo come l'ennesimo “incidente della storia” rappresenta una chiave di lettura distorta e fuorviante che non consente di capire la natura dei grandi cambiamenti che si stanno consumando nel sottosuolo della società italiana. Interpretare gli anni del berlusconismo come una parentesi sciagurata, o semplicemente una patologia del nostro sistema, impedisce di capire perchè l'eclissi del Cavaliere ha prodotto, per gemmazione, l'esplosione di nuovi leader che ne hanno mutuato lo stile, il lessico e la grammatica politica.
Il filo rosso che lega le recenti inchieste giudiziarie é costituito dall’indifferenza del corpo sociale e dei partiti davanti ad una patologia del sistema che imporrebbe una serie di riforme divenute ormai indifferibili. E' giunto il momento che Matteo Renzi dica chiaramente come intende riaccreditare il nostro paese che, secondo Transparency Internazional, vanta il triste primato del paese più corrotto d’Europa. In caso contrario, quando noi alzeremo la voce, i nostri partners alzeranno le spalle ridacchiando divertiti.
Il fallimento delle politiche economiche varate negli ultimi anni dai governi italiani è legato alla scarsa incidenza che esse hanno avuto sull’andamento del debito pubblico. Malgrado i grandi sacrifici imposti al cittadino, il debito pubblico non ha mai arrestato la sua ascesa raggiungendo oggi la cifra-record del 133,8 per cento del Pil. Il buon senso suggerirebbe di non abbattersi ma, neppure, di fingersi ottimisti per evitare di dare ai nostri partners la sensazione che, come diceva Ennio Flaiano, in Italia, come sempre la situazione è grave ma non è seria.
Prima dell’avvento dell’Ue, esisteva già una corruzione dilagante, una classe politica avvezza al malaffare, un’economia criminale che svolgeva una preziosa attività di supplenza facendo da polmone all’economia legale. Per tacere delle innumerevoli consorterie, delle infinite camarille che si autodefiniscono associazioni, che hanno contribuito ad instillare nel cittadino quella atonia morale che costituisce l'inconfondibile tratto identitario di una certa idea di “italianità”. Resta, dunque, questo il problema più grave, non l'Europa.
14 settembre 1923. Buenos Aires trepida per le sorti della gloria nazionale Luis Firpo, impegnato sul suolo americano in un proibitivo incontro di pugilato contro il fuoriclasse Jack Dempsey. In quegli anni, la capitale platense è ammaliata dall’astro del tango, Carlos Gardel, ma è anche turbata dalle imprese criminali degli anarchici, capeggiati da Severino Di Giovanni. In questo contesto a tinte fosche, la boxe assurge al rango di arte nobile e di evento di massa.
A Matteo Salvini spetta il compito di ridare credibilità al progetto federalista conferendo alla Lega quella dimensione nazionale necessaria per una riforma dello Stato in senso “autenticamente” federale. Per fare questo questo, Salvini dovrà spiegare bene ai nuovi elettori che il centralismo resta un problema tuttora irrisolto del nostro paese; di contro, al suo vecchio elettorato, dovrà spiegare che federalismo deriva da “foedus”, che significa patto: e un patto unisce, non divide, come insegnano Usa e Germania
Il 6 giugno 1928, a Berlino, il tedesco Max Scmelling incontra e sconfigge il pugile italiano, prediletto del Duce, Michele Bonaglia. Sul piano simbolico è la vittoria della democrazia sulla dittatura, anche se, cinque anni dopo, l'ascesa di Hitler avrebbe spazzato via quella che la storia conosce come gloriosa "Repubblica di Weimar". Sull’onda dell'esempio americano, in campo artistico la boxe diventa, anche in Europa, la perfetta allegoria con cui le avanguardie intendono ritrarre la rottura con la tradizione.
Agli apologeti della globalizzazione non interessa rendere più libero il cittadino affrancandolo dal bisogno. Essi, infatti, seguitano a coltivare il mito di un mercato globale in grado di dispiegare un potenziale terrificante di profitto: in quest’ottica, anche la guerra è funzionale all'obiettivo primario di espandere il mercato usando il nobile pretesto di espandere la democrazia. Svanisce per sempre la grande utopia della fratellanza tra genti, etnie e religioni e si impone la logica universale del mercato che omologa costumi e consumi.
Si va diffondendo nel paese una grave insofferenza nei confronti dell'ansia riformatrice di un legislatore schizofrenico. Ogni giorno il cittadino assiste, atterrito, all'implacabile proliferazione di leggi, decreti, regolamenti, circolari che tracciano una sorta di immane reticolato, spesso di difficile comprensione, tra sè e le istituzioni. Legge elettorale, fisco, lavoro, scuola, giustizia, pubblica amministrazione: uno stillicidio di riforme che, col passare del tempo, diventa sempre più impenetrabile e spietato.