La politica italiana è diventata terreno di scontro e di lotte intestine che la straripante presenza di Mario Draghi contribuisce ad alimentare. A sinistra, il movimento 5 Stelle rischia di liquefarsi a causa dello scontro tra Conte e Di Maio sul quale incombe l'ombra silente del fondatore, Beppe Grillo, di cui tutti attendono frementi il responso provvidenziale. Per Enrico Letta non sarà facile convivere con le inquietudini dei 5 Stelle contro i quali continua a lanciare strali, senza requie, il solito Renzi che spera di raccogliere il lascito elettorale di Berlusconi con la benedizione di Verdini e di quella nutrita masnada di furbastri che, in vista del proporzionale, vagheggia il “grande centro” per poi giocare al rialzo.
La questione delle preferenze rappresenta una vera emergenza democratica che i partiti cercano di occultare parlando d'altro. Il tema del presidenzialismo, ad esempio, costituisce l'ennesimo pretesto “polverulento” per evitare di riconoscere che la crisi della democrazia nasce da questa crisi della rappresentanza che non può più essere sottovalutata. Diciamolo chiaramente: il ripristino delle preferenze costituisce il discrimine che consentirà di capire chi intende davvero rilanciare la democrazia parlamentare e chi, di contro, vuole coltivare la suggestione del presidenzialismo come astuto espediente per sferrargli il definitivo colpo di grazia.
Per decenni il centro-destra è riuscito a coniugare l'anima europeista di Forza Italia, l'anima localista della Lega e quella nazionalista di Fratelli d'Italia. Il vero cemento di questa alleanza è sempre stato Silvio Berlusconi che ha avuto la capacità di trasformare in cultura di governo la domanda di potere politico che proveniva da quei settori della società civile che non hanno mai sopportato l'invadenza dello Stato, il fisco, la sinistra, i sindacati, la magistratura. Grazie al carisma e alla potenza di fuoco delle sue televisioni, il Cavaliere ha chiamato a raccolta una parte del paese inaugurando una contrapposizione ideologica che, come un fiume carsico, era sempre stata presente nella nostra società e che la Democrazia Cristiana aveva sapientamente addosmesticato e steriizzato.
Berlusconi sa bene che, senza Mario Draghi, l'Europa non si fiderà mai di darci i denari del Recovery. Ma il Cavaliere sa anche di non essere gradito ad una larghissima parte del paese, alla magistratura, all'Ue, al Vaticano, perfino al governo americano. Ecco perché sta bluffando, e lo sta facendo da par suo, con l'abituale, incomparabile maestria. Berlusconi ha piazzato sul banco la sua candidatura per poi fissare da sé il prezzo del suo ritiro. Ci sono tanti, troppi soldi in arrivo perché un fuoriclasse della sua caratura rinunci a sedersi al tavolo. Rieccolo, dunque: l'ineffabile, intramontabile, immarcescibile Cavaliere!
Quando giudichiamo l'attualità, l'inganno più abituale è di credere ad un passato infinitamente migliore, come se ci fosse una cesura temporale da cui si sarebbe originato questo presente figlio di nessuno. In molti italiani nati nel Novecento, infatti, pare diffusa la convinzione che sia avvenuta una mutazione identitaria priva di continuità con il passato. Naturalmente, risulta comodo crederlo perché questo pensiero propizia un'auto-assoluzione collettiva che, in modo illusorio, libera da ogni responsabilità in ordine alle condizioni in cui versa, oggi, la nostra società. Ma non è così.
La prima comparsa del Natale sullo schermo appartiene al cinema primitivo: “Felice Natale” (1915) di Gino Calza Bini viene distribuito nelle sale proprio il 25 dicembre. Nel 1947 il pranzo di Natale a base di tortellini in brodo, è servito sulla tavola di un campo di prigionia in California ‒ in cui i detenuti italiani sono in attesa di essere liberati ‒ nel film a cartoline illustrate (ad ogni città di provenienza, evocata nei ricordi del personaggio, corrisponde una canzone di riferimento) “Natale al campo 119”, regia di Pietro Francisci e supervisione di Vittorio De Sica (anche interprete del film). Sei anni dopo Filippo Walter Ratti dirige la versione italiana di “Canto di Natale” di Charles Dickens.
Esiste una vulgata secondo cui il pianeta sarebbe controllato da una casta mondiale di potenti che avrebbe il controllo totale delle nazioni. La storia ci insegna che questi temi hanno sempre esercitato un grande fascino sui popoli e, proprio per questo, non sono mancati i personaggi che ne hanno astutamente cavalcato le pulsioni e il malcontento. Nelle fasi storiche caratterizzate da maggiore prosperità, la capacità di seduzione di certi temi si è sempre sensibilmente attenuata per poi riemergere in modo dirompente nei momenti di grande crisi. Questo è ciò che sta accadendo nelle società occidentali che, dopo anni di eldorado economico, non hanno saputo prevenire il riflusso di quell'ondata irrazionale che, come un fiume carsico, ha sempre attraversato la società dileguandosi senza mai estinguersi.
La compravendita di calciatori può essere utilizzata come schermo per occultare e giustificare il trasferimento di cospicui capitali. Questo è uno dei motivi per cui il calcio italiano si compone per il 43% di calciatori stranieri: si tratta, spesso, di brocchi che rappresentano soltanto una pretestuosa “figurina”. A differenza di altri paesi, il calcio italiano denota una singolare riluttanza a lanciare i giovani nella massima serie. Si badi, non si tratta di un problema culturale perché, come stanno dimostrando le inchieste in corso, spesso i settori giovanili sono utilizzati dalle società per generare plusvalenze fittizie al fine di inventarsi un equilibrio finanziario che, senza tale espediente, non ci sarebbe.
l presente articolo intende ricordare al grande pubblico il valore di una delle rare opere medievali che, al pari dell’opera dantesca per la letteratura, è diventata nel tempo icona del pensiero religioso medievale e parte del patrimonio comune della società umana. Come ammonisce Bernard McGinn, il maggiore studioso vivente di mistica e autore del prezioso La "Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino", pubblicato nel marzo di quest’anno da Vita e Pensiero: «Essa è una delle espressioni supreme del mondo medievale, e ciò la rende ancora oggi importante non solo per l’Europa, erede di quel Medioevo, ma, in questa era ecumenica, anche per le altre culture del mondo.
La rivolta dei No Vax non può essere derubricata ad una sorta di anarchismo dozzinale di gruppi minoritari che non credono all’efficacia dei vaccini. C’è anche questo e, probabilmente, non si tratta neppure di una parte marginale. Ma, guardando i volti dei leader delle rivolte che si sono succedute in queste settimane, è gioco facile arguire la presenza di una componente ideologica che non ha nulla a che vedere con la bontà dei vaccini. La rivolta del popolo contro le élite o, che dir si voglia, della società civile contro l'establishment, rappresenta un classico della letteratura che conserva sempre un grande fascino sui poveri del mondo. La povertà, è questa la vera emergenza del pianeta, prima ancora della pandemia.