L'invasione dell'Ucraina dimostra la necessità di portare a compimento un processo comunitario rimasto colpevolmente monco a causa delle forze sovraniste e, soprattutto, di quella tecnocrazia che ha stolidamente identificato l’unione dei paesi europei come mera unione monetaria. A questa tecnocrazia vanno imputate tutte quelle responsabilità che hanno concorso a determinare l’attuale situazione internazionale: aver flirtato per anni con Putin, avere adottato quelle politiche di austerità che hanno alimentato le sirene populiste ma, soprattutto, avere abdicato all'obiettivo di costruire un'Europa in grado di confrontarsi con le altre potenze con l'autorevolezza di un rinnovato atlantismo. Essere alleati degli Usa senza essere vassalli: deve essere questo l'obiettivo di un'Europa forte.
Malgrado le apparenze, esiste una parte corposa del paese che risulta apertamente schierata con Putin o che vorrebbe le dimissioni di Zelensky al quale si imputa il “suicidio” del popolo ucraino. Gli argomenti sono noti: non si risponde alle bombe con le bombe; Putin ha solo reagito ad una provocazione della Nato; Zelensky è un fantoccio della Cia; Putin, “forse”, sta esagerando ma Zelensky se l'è cercata. Naturalmente, gli argomenti più suggestivi restano quelli di natura economica: le sanzioni alla Russia sono un boomerang; il costo del gas e l'arrivo dei profughi ci ridurranno alla fame; Putin si sta pagando la guerra con il gas venduto all'Europa. La verità è un'altra.
Questa guerra non nasce dalla follia di un tiranno paranoico o malato. Ci piace pensarlo perché ci solleva dalla responsabilità di un passato in cui l'intero Occidente ha vezzeggiato e lusingato Putin nella convinzione che l'economia, cioè, gli affari, potessero renderlo simile a noi. Questa è la vera, grande colpa dell'Occidente, quella, cioè, di credere che il mercato globale avrebbe permeato il pianeta dei propri valori. Dopo aver celebrato per anni Putin, oggi ne siamo atterriti. La verità è che le autocrazie rappresentano regimi politici strutturalmente incompatibili con le democrazie liberali. Aver creduto che la globalizzazione potesse “democratizzare le dittature”, rappresenta un errore macroscopico che pagheremo duramente.
Le sanzioni economiche rappresentano per Putin una grave incognita che finirà per incidere non tanto sulle sorti della guerra quanto sulla sua durata, così come vogliono Europa e Nato le quali cercano di indebolire l'apparato economico della Russia per compensare e svilirne la schiacciante superiorità militare. Allo stato, purtroppo, non ci sono alternative: occorre logorare lo zar rendendone vulnerabile l'economia e attendere, poi, che il malcontento interno possa minare gradualmente le basi del suo consenso, sia all'interno della società civile che nella cerchia dei famigerati oligarchi tra i quali, non è un mistero, inizia a serpeggiare un crescente malumore per il blocco dei beni disposto dall'Occidente.
Un’altra volta la guerra: non pensavo proprio e non avevo, per la verità mai temuto, vecchio come sono, di doverla ancora vivere una guerra. Anche se molto da lontano, per fortuna, ma con il timore che di trovarcela più vicina, addirittura di esserne tragicamente coinvolti. Speriamo, dunque, che non succeda. Nell’aria, nel nostro bel cielo di Lombardia spirano però arie assai sinistre: come fossero avvoltoi. Noi vecchi della guerra ne sappiamo qualche cosa, dei suoi orrori, degli spaventi, dei dolori, della fame, delle bombe.
L'errore più macroscopico commesso da Putin è stato di contare sull'appoggio della Cina che, di contro, vede questa guerra come l'occasione storica per ritagliarsi una leadership mondiale che nessuno potrà mai più contestare. Grazie a questa guerra dissennata, infatti, la Cina è destinata ad accreditarsi definitivamente sul pianeta come una grande potenza politica, oltre che economica. In questo senso, Putin non ha ancora capito di aver fatto un assist a Xi Jinping la cui neutralità ricopre un significato altamente simbolico. La Storia sta andando ad Oriente e Putin, senza saperlo, ci sta soffiando sopra.
La retribuzione dei docenti rappresenta il punto di partenza per realizzare un sistema scolastico moderno e competitivo. Oggi, come ieri, nessun laureato coltiverebbe mai l’obiettivo dell’insegnamento nel proprio orizzonte professionale: chiediamoci perché. Un paese che ambisce ad essere annoverato tra le democrazie più avanzate, non può continuare a mortificare i propri talenti condannandoli ad uno stipendio da fame. Ricordiamoci di quello studente, laureatosi brillantemente alla Normale di Pisa, il quale, dopo aver percepito il primo stipendio da supplente, é scappato indignato all’estero dicendo: “dovrei, forse, sentirmi un disertore ma, in realtà, é il mio paese ad essere il vero traditore!”.
La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale promosso dall'Associazione Luca Coscioni. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, non ci resta che sperare nella saggezza di un legislatore che, con il giusto equilibrio, riesca a contemperare il principio della indisponibilità della vita con il dovere di comprendere il dramma di tutti quei soggetti che versano in gravi condizioni di sofferenza e di patologia irreversibile. Impresa ardua, certamente, sulla quale si misurerà la statura etica di un paese che, purtroppo, per quieto vivere, troppo spesso preferisce non prendere posizione. Come diceva Leo Longanesi, “Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa”.
SuperMario e superbonus, un binomio apparentemente distante ma che è sottilmente legato dai vizi tipicamente italici, dai quali è impossibile uscire. Il primo vizio, che Draghi pagherà in modo sempre più pesante, è che siamo un Paese in perenne campagna elettorale. Ora che l'orizzonte è davvero vicino le divisioni nell'esecutivo si fanno più nette. La bocciatura di alcuni emendamenti nelle commissioni bilancio, con il rinvio sine die dell'abbassamento del limite del contante, è il primo segnale. Draghi ha capito l'antifona, convocando i capigruppo dei partiti, ma ora i contorni della sua mancata elezione a presidente della Repubblica diventano cinici e chiarissimi.
Il “centrismo” fu la formula politica con la quale la Dc si pose al centro del sistema politico legittimandosi come unica forza in grado di preservare le istituzioni democratiche. Nella cosmogonia politica di De Gasperi, il centrismo coincideva perfettamente con il governo: opporsi alla Democrazia Cristiana avrebbe significato, per chiunque, precipitare negli abissi dell'opposizione. La formula centrista, pertanto, finì per caratterizzare questa vocazione a governare il paese lontano dal fervore ideologico della destra e della sinistra. In questo senso, come scrisse Bobbio, centrismo e moderatismo finirono per coincidere