Nel 128 d.C. Publio Elio Adriano volle festeggiare la completa edificazione dell’omonimo Vallo e la definitiva conquista della Britannia, incominciata nel 54 a.C. da “Gaio” Giulio Cesare, dispensando gratis ai cittadini romani (cives) centinaia di tonnellate di derrate alimentari e istituendo quattro mesi di festeggiamenti (fonti attendibili dell’epoca affermano senza mascherina), invitando “energicamente” all’uopo le Star dell’epoca, presso il Circo Massimo e il Colosseo. In quest’ultimo complesso, edificato per lo spasso e il divertimento dei cives, durante i “giochi” usava anche gettare in pasto alle belve centinaia di cristiani.
A noi italiani piace vincere e, soprattutto, sentirci amici dei vincitori. Ci ripaga delle nostre sconfitte quotidiane e ci restituisce la sicurezza perduta. La vittoria è importante perché rende importanti. La vittoria va celebrata, sempre e comunque, al di là dei meriti: inficiarne la legittimità è un’infamia inaccettabile perché l’etica non può scalfirne l’estetica. Nel nostro paese solo chi vince ha diritto di parlare perché chi perde ha sempre torto e chi vince ha sempre ragione. Per questo motivo, anche se ci piace vincere, in realtà non abbiamo mai imparato a vincere. Infatti, l'avversario sconfitto merita sempre di essere vituperato e sbeffeggiato perché la sconfitta obbliga i perdenti ad avere il buon gusto di tacere.
Se Giorgia Meloni aspira, come è giusto e legittimo, ad assumere la guida del paese, abbia il coraggio di avviare gli Stati Generali da cui far sorgere non l'Araba Fenice del ventennio che fu, come vorrebbero alcune frange (per fortuna, minoritarie) della destra italiana, ma da cui far nascere, per la prima volta nella storia repubblicana, una destra autenticamente liberale, europeista, atlantica, che non ha paura di essere apparentata al fascismo perché dichiaratamente antifascista, che ha il coraggio di ammettere a gran voce la gratitudine per gli americani per averci liberati dalla dittatura fascista, che non ha difficoltà ad ammettere che, se le responsabilità non sono uguali, i morti non possono essere uguali.
Da sempre si scrivono saggi sul nostro destino, tremendo e ineffabile, che culmina ineluttabilmente con la morte e forse con la dissolvenza. Ciò nonostante la società pare fondata su una sorta d’ipocrisia inconscia, tollerata ma devastante, tesa ad allontanare il problema dell’angoscia e della morte. È lo stesso inganno “cantato” dal grande Leopardi, con la sua tragica illuminazione sull’assenza di Senso della vita umana. Da millenni peraltro, cotanta avventura resiste, grazie all’astuzia di soffocare da subito le sacrosante “urgenze esistenziali”, che ogni bambino percepisce e delle quali chiede risposte.
Hamburg 12 agosto 2050 - Il vecchio alto e dinoccolato sorrideva perchè, ancora una volta, aveva eluso la sorveglianza di Laura la badante italiana, attraversò il prato fino a raggiungere la riva dell’Elba. Egli, nonostante l’età avanzata, si sedette sui talloni e osservò lo scorrere lento dell’acqua, che gli apparve come un infinito Broadsheet (*) lungo 90 anni, su cui era scritta la sua vita. Tutti gli abitanti di Hamburg amano l’acqua, il vecchio amava l’acqua e la lettura. Intorno a lui il silenzio e il vuoto …
Tutti sappiamo che, dietro le critiche all'architettura europea, vi è un chiaro disegno di demolizione di qualunque ipotesi di costruzione comunitaria. Quindi, apparentemente sembrerebbe che in campo ci siano, da una parte, i difensori di quella che, Popper, definiva “società aperta” e, dall'altra, chi tenterebbe strenuamente di difendere una certa idea di “patria” dove l'identità prevarrebbe sull'alterità, dove il mondo si dividerebbe in “noi” e “loro” (dove, naturalmente, i buoni saremmo noi e i cattivi sarebbero loro). In quest'ottica, l’inaspettato ritorno dei nazionalismi rappresenterebbe l'esito più nefasto di una globalizzazione che ha impoverito i popoli e alimentato le disuguaglianze sociali in modo dirompente. Ma è davvero così?
Siamo davanti ad una versione caricaturale della “democrazia rappresentativa” nella quale ai presunti rappresentati è stato sottratto il diritto di scegliere chi dovrà rappresentarli: praticamente, un mandato che si compone di mandatari senza mandanti. La “democrazia della delega”, come alcuni costituzionalisti usano definire la rappresentanza, ha ceduto il posto ad una “democrazia della ratifica” nella quale l'elettore è chiamato solo ad avallare, e non a selezionare, i componenti delle assemblee legislative che, per la peculiarità delle loro mansioni, dovrebbero vantare un profilo alto, sia sul piano etico che intellettuale. Senza possibilità di esprimere le preferenze, il diritto di voto non ha più alcun senso.
A differenza della sinistra, storicamente attraversata da irrefrenabili pulsioni frazioniste, la destra italiana ha saputo sapientemente comporre le varie anime che si agitano all'interno dello schieramento conservatore esistente nella nostra società, quello, per intenderci, accomunato da una inveterata idiosincrasia per lo Stato, per la pubblica amministrazione, per i sindacati, per la magistratura, per le tasse e per i “comunisti”. Questo è il vero capolavoro politico di Silvio Berlusconi che ha il merito di aver fatto coesistere un partito liberista ed europeo (Forza Italia), un partito localista, anti-europeo e filo-russo (la Lega) ed un partito nazionalista, lepenista e trumpiano (An prima e Fratelli di Italia dopo). Giorgia Meloni saprà fare altrettanto?
Nelle ultime due settimane gli scontri a bassa intensità tra l’esercito ucraino e i separatisti filo- russi della regione del Donbass hanno fatto presagire l’inizio di una nuova guerra in Ucraina che questa volta ha rischiato di essere più pericolosa e devastante di quella precedente (2013-2015) quando la proxy war tra Russia e USA è rimasta strettamente circoscritta all’Europa Orientale. In questi sette anni i rapidi mutamenti geopolitici a livello mondiale, accelerati dalla pandemia di Covid-19, rendono l’attuale contesa per l’Ucraina cruciale per il balance of power dell’ordine internazionale.
Forse sta tornando il momento di un sorriso. Adesso che il cielo oscuro della pandemia lascia intravedere qualche sprazzo di azzurro, si può forse scovare nel grande caos pieno di paure e di dolori qualche pur piccola luce capace di aprirci un po’ il cuore. Qualcuno di quelli che filosofeggiavano in grande e di cui mi scordo il nome mi pare abbia detto che anche se affondati nel male più crudele ci si può talvolta aggrappare a un appiglio di serenità. O forse non lo ha detto nessuno, ma è lo stesso. Ed è così che mi sono rimaste in mente alcune battute recentemente ascoltate in conversari con qualche amico.