Risulta fin troppo facile prendersela con i governi che calpesterebbero la democrazia perché, in verità, siamo noi i primi a calpestarla. Quanti cittadini credono davvero al valore dell’uguaglianza, architrave della democrazia? Uguaglianza, da intendersi nell'accezione squisitamente costituzionale, cioè, “senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. Occorre riconoscere che noi italiani ci professiamo democratici ma non lo siamo mai stati. Non siamo mai cresciuti sul piano civile perché siamo rimasti profondamente individualisti e familisti. La famiglia, il clan, la cosca, la consorteria, l'associazione, il partito, il sindacato: tutti minuscoli surrogati sociali che coesistono all'interno di una società cronicamente malata di faziosità e settarismo, priva di un autentico spirito comunitario.
A pochi giorni dall'entrata in vigore del provvedimento che impone l'obbligo generalizzato del green pass, stiamo assistendo ad una forte escalation di polemiche da parte di chi continua a ritenere tale misura il balzo definitivo verso un sistema autoritario che usa l'emergenza sanitaria per legittimare il varo di provvedimenti illiberali. Quella che molti tendono a ritenere una “dittatura sanitaria”, rappresenterebbe il colpo di grazia alla nostra democrazia che la pandemia avrebbe indebolito pericolosamente non già per le insidie del virus ma per un preciso obiettivo strategico dei governi. In realtà, le cause del declino delle democrazie, che costituisce un dato incontestabile, sarebbero da ricercare altrove.
Ci sono soprannomi ridicoli e nomignoli azzeccatissimi. L’appellativo di “Inferno del Nord” abbinato alla classica monumento “Parigi-Roubaix” è senz’ombra di dubbio uno degli accostamenti migliori che mente umana potesse mai partorire. Nata nel 1896 - e dunque coetanea delle Olimpiadi decoubertiniane - una delle gare di un giorno più prestigiose ci ha regalato nel 2021 un’edizione storica da conservare negli annali ad imperitura memoria. L’insolita collocazione nel calendario mondiale (ad inizio ottobre anziché in primavera a ridosso della Pasqua), l’apertura alle donne a lungo attesa (due anni di rinvii tra pandemia e difficoltà organizzative), il tempo da lupi (più adatto al ciclocross che alle gare su strada) e due gare appassionanti sono, in sintesi, i punti chiave del sontuoso weekend datato 3 e 4 ottobre.
Siamo un popolo pieno di contraddizioni. Abbiamo la fama di essere socievoli ma siamo incapaci di vivere perfino in condominio: tendiamo a confondere la socialità con la socievolezza. Ci esalta essere tuttologi, quindi, anche medici e virologi: l'importante è sempre dare del pirla a chi dissente dalle nostre opinioni. Per molti italiani gli idioti sono sempre gli altri come pensava quel tale che, imboccata l'autostrada al contrario, era convinto che tutti guidassero contromano. Perfetta metafora di un paese che, a forza di giudicare gli altri, ha smesso di interrogarsi su se stesso, non si sa se per paura o codardia: tanto, fa lo stesso. Torna imperioso un pensiero di Simone de Beauvoir: non avendo la forza di ascoltare le risposte, evito di pormi le domande.
Domenica 12 settembre 2021 Novak Djokovic ha avuto il coraggio di essere umano. Ha lasciato negli spogliatoi la maschera del freddo robot calcolatore e si è lasciato travolgere dalle emozioni. Trasfigurato, paralizzato dalla paura e dall’affetto del tifo, soffocato dall’eco di un obiettivo più grande di lui, il serbo è stato sconfitto più da se stesso che da un Daniil Medvedev impeccabile ed ingiocabile. Il russo ha tremato per qualche istante in dirittura d’arrivo, incartandosi sul proprio servizio con due doppi falli su altrettanti match point. L’ennesimo errore di Nole ha posto fine alla mattanza e chiuso il discorso slam.
L’ultimo servizio tirato il più forte possibile. La palla che non ritorna indietro. Il giudice di sedia che pronuncia la formula magica: “Game, set and match Raducanu!”. Un ricordo che scorrerà molte volte davanti agli occhi della giocatrice britannica, magari al rallentatore, dilatando all’infinito il preciso istante in cui il tuo nome entra nella storia del tennis. Sugli spalti tanti volti noti - da Billie-Jean King a Kim Clijsters, da Virginia Wade a Tim Henman e Andy Roddick - si uniscono agli applausi di un ritrovato e rumoroso pubblico in delirio per la finale tra due ragazzine semisconosciute.Nell’abbraccio finale tra le due giocatrici gioia, incredulità, amarezza, soddisfazione, paura, euforia si fondono in un unico sentimento.
Ci piace stare con i più forti perché ci fa sentire forti: è il destino dei servi lusingati dalla benevolenza dei padroni. Ci piace essere ingannati per paura che le verità ci possano rattristare, per questo ci piacciono i politici che raccontano panzane: ci raccontano i nostri desideri. Siamo lunatici e incostanti ma sempre puntuali nel dividerci su ogni cosa perché stimiamo solo chi la pensa come noi. La pandemia come autobiografia della nazione: siamo faziosi perfino sul green pass. Dotti, medici e sapienti ci dicano: chi ha mai osato dubitare del “punturone” vezzosamente inoculato ai tempi della leva? La verità è che siamo un popolo mai diventato popolo.
Due persone tra loro assai diverse, perfino agli antipodi, ma al tempo stesso felicemente insieme e innamorate, ma anche complici, l’una complementare dell’altra: proprio una gran bella coppia, anche se forse, a prima vista, nessuno ci avrebbe giurato che riuscissero a stare assieme silenziosamente, quasi appartati, per trent’anni: Rossana Podestà, attrice cinematografica di successo, abituata al glamour, all’effimero del jet set, e un uomo come Walter Bonatti, asciutto un po’ rude, un tantino orso, pure intimamente sensibilissimo e sorridente, alpinista di fama mondiale ed esploratore. Ad età avanzata hanno scoperto assieme una vita nuova, dopo essersi conosciuti e incontrati in situazioni assai curiose.
L'emergenza sanitaria deve essere affrontata con misure straordinarie che presuppongono la necessità di contemperare la libertà individuale con la sicurezza collettiva. Si tratta di un assioma su cui stiamo discutendo da mesi ma che, spesso, si traduce in dotte disquisizioni o poco più: in ogni caso, pura accademia. Si abbia, pertanto, il coraggio di “svoltare” e, nel caso della scuola, di conferire ai dirigenti scolastici il diritto di non consentire la presenza ai professori e agli alunni non vaccinati obbligando entrambi alla Dad. Questo, nell'immediato. In prospettiva, piaccia o no, servirà un apparato di norme sanzionatorie per tutto il personale che, in modo del tutto ingiustificato, rifiuti il vaccino e non sia munito della green pass.
Uno degli effetti più devastanti della pandemia è quello di aggravare le divaricazioni sociali, di garantire i privilegiati e di penalizzare i più meritevoli i quali si vedono fatalmente ingoiati dal magma della pochezza di un paese che, fuori dalla retorica del merito, pullula di mediocri che hanno attinto livelli di eccellenza a scapito dei più meritevoli (vice-primari più bravi dei primari, assistenti universitari più bravi dei loro professori..). Parlare di queste cose risulta sempre disdicevole ma sarebbe utile insegnare ai nostri giovani che una democrazia forte deve poggiare su un sistema scolastico altrettanto forte: in caso contrario, finiranno sempre per prevalere quelli che sanno coltivare rapporti, tessere relazioni e frequentare le associazioni che contano. In fondo, il declino del nostro paese è tutto qui, il resto sono soltanto favole.