La scuola italiana ha urgente necessità di riscoprire l'importanza di un progetto educativo in grado di consentire ai ragazzi di espandere la propria personalità, quindi, le proprie potenzialità critiche, emotive, creative. Il modesto livello di istruzione dei nostri alunni ci obbliga a prendere atto che la scuola dei contenuti, la scuola delle celebratissime “competenze”, deve cedere il passo ad una scuola innovativa la cui prassi pedagogica dovrà porsi l'obiettivo di formare un cittadino dotato di curiosità e di coscienza critica. Come diceva Plutarco, “i giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”.
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L'inizio del nuovo anno scolastico rappresenta un momento storico per la nostra società perchè, per la prima volta, nelle scuole italiane ci saranno solo ragazzi nati nel terzo millennio. Infatti, a parte i ripetenti, tutti gli alunni che si accingono ad entrare in classe sono nati dal 2000 in avanti. Sembra un dettaglio insignificante ma non é così, come ha ben illustrato Paolo di Stefano sulle colonne del Corriere della Sera del 31 agosto. Sul piano emotivo, oltre che culturale, esiste il rischio che possa originarsi uno iato sempre più profondo tra alunni e professori. Infatti, mentre per i docenti il secolo precedente é l'Ottocento, per i “nativi digitali” il secolo scorso é rappresentato dal Novecento. Questa diversa percezione temporale rischia di alimentare ulteriormente la distanza tra docenti e alunni i quali rappresentano, spesso, due mondi lontani, due linguaggi incompatibili, due cosmogonie a tratti inconciliabili. La verità é che la scuola italiana vive da decenni una profonda crisi di identità che la società italiana ha colpevolmente sottovalutato. Si legge spesso che il nostro sistema scolastico non riesca a stare in sintonia con i bisogni della società. Il problema, tuttavia, é capire quali siano esattamente questi “bisogni”. Da questa incertezza nasce la confusione che ha portato la nostra scuola a smarrire la funzione precipua dell'istruzione che, non andrebbe mai dimenticato, resta quella di concorrere alla formazione della personalità dell'alunno. Sotto la costante pressione dell'universo produttivo, la scuola italiana ha finito per smarrire la sua vocazione educativa (e-ducere, condurre verso) che è stata progressivamente soppiantata dalla passiva adesione ad un paradigma economicistico di cui gli stessi professori sono rimasti per lungo tempo ignari. Sulla loro pelle, il sistema formativo della nostra società ha subito una lenta metamorfosi che ha decretato il declino del ruolo dei docenti, la caduta verticale del prestigio sociale di una categoria che, oltre a subire un trattamento retributivo mortificante, ha vissuto una crescente burocratizzazione che ha svilito l'originaria dimensione intellettuale. Se vogliamo, sono proprio i professori le vittime inconsapevoli di questa grave dicotomia che é esplosa all'interno della società italiana di cui oggi stiamo pagando le conseguenze: da una parte un mondo in continua trasformazione che richiede competenze tecniche, dall'altra un sistema scolastico che, vedendosi costretto a piegarsi al mondo che cambia, ha smarrito la consapevolezza del valore formativo dell'esperienza scolastica. Occorre anche ammettere che una delle ragioni del declino della scuola italiana é da ricondurre a quel debordante burocratismo che infligge ai docenti un profluvio di adempimenti che servono solo a salvare la forma di un sistema incapace di percepire la propria deriva. Lo studente apatico, talora dozzinale, spesso privo di interessi culturali, rappresenta la costante di una scuola che, anziché interrogarsi sulla propria inadeguatezza, seguita ancora oggi a celebrare inutili liturgie improntate ad un vacuo formalismo. Le facili promozioni rappresentano il triste e malinconico approdo di un processo degenerativo della didattica nel quale, essendo gli studenti tutti colpevoli, giocoforza tutti sono da assolvere. Nelle nostre scuole, da tempo, l'obiettivo della formazione é stato sacrificato sull'altare delle procedure e della spasmodica redazione di schede, modelli, piani di lavoro, che celebrano l'inanitá di un sistema di cui anche l'Ocse ha certificato il sostanziale fallimento. Infatti, nella classifica dello scorso anno, il nostro paese risulta in Europa all'ultimo posto nella capacità di comprensione di un testo scritto. Solo questo dato dovrebbe essere sufficiente per capire che la scuola italiana ha urgente necessità di riscoprire l'importanza di un progetto educativo in grado di consentire ai ragazzi di espandere la propria personalità, quindi, le proprie potenzialità critiche, emotive, creative. Il modesto livello di istruzione dei nostri alunni ci obbliga a prendere atto che la scuola dei contenuti, la scuola delle celebratissime “competenze”, deve cedere il passo ad una scuola innovativa la cui prassi pedagogica dovrà porsi l'obiettivo di formare un cittadino dotato di curiosità e di coscienza critica. Come diceva Plutarco, “i giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. Buon anno scolastico a tutti.
Editoriale apparso su "La Provincia"del 10 settembre 2018