Nel Risorgimento italiano i contadini (la maggioranza della popolazione) furono per lo più estranei ai processi rivoluzionari, la guida del movimento nazionale era in mano alla borghesia moderata, in buona parte proprietari terrieri, che desideravano unificare la penisola, ma non volevano innescare rivolte popolari nelle campagne. I democratici come Mazzini avrebbero voluto una rivoluzione popolare, ma erano per lo più borghesi delle città, per cui non riuscirono a mettersi alla testa del malcontento contadino. T
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Nel Risorgimento italiano i contadini (la maggioranza della popolazione) furono per lo più estranei ai processi rivoluzionari, la guida del movimento nazionale era in mano alla borghesia moderata, in buona parte proprietari terrieri, che desideravano unificare la penisola, ma non volevano innescare rivolte popolari nelle campagne. I democratici come Mazzini avrebbero voluto una rivoluzione popolare, ma erano per lo più borghesi delle città, per cui non riuscirono a mettersi alla testa del malcontento contadino. Tuttavia nelle grandi e nelle piccole città italiane vi furono insurrezioni popolari, basti ricordare le Cinque giornate di Milano nel 1848. Nella seconda fase della I guerra d’indipendenza la città di Brescia, nel marzo-aprile 1849, fu protagonista di una rivolta antiaustriaca che le valse il titolo di “leonessa d’Italia”. Dopo la sconfitta del re piemontese Carlo Alberto a Novara il 23 marzo, il popolo di Brescia, guidato dal mazziniano Tito Speri, non volle arrendersi e insorse contro la guarnigione austriaca trincerata nel Castello e munita di numerosi cannoni. Gli austriaci iniziarono il bombardamento della città e ricevettero rinforzi dal generale Nugent, le sue truppe furono però fermate dagli insorti. Ma dopo nove giorni di battaglia arrivarono le truppe del generale Haynau, la “iena di Brescia”, che conquistò la città con enorme violenza. I bresciani ebbero circa 1.000 morti e centinaia di feriti. Il milanese Cesare Correnti, ex segretario del Governo provvisorio lombardo, scrisse nel 1849 il libro “I dieci giorni della insurrezione di Brescia nel 1849 nel quale denunciò le devastazioni dei bombardamenti sulle abitazioni e la violenta repressione austriaca: “…le membra dilacerate delle vittime scagliavano giù dalle finestre e contro le barricate, come si getta ai cani l’avanzo d’un pasto. Teste di teneri fanciulli divelte dal busto e braccia di donne e carni umane abbrustolite cadevano in mezzo alle schiere bresciane […] immolati i prigioni con acqua ragia, li incendiavano […] legati strettamente gli uomini davanti gli occhi loro vituperavano e scannavano le mogli ed i figliuoli. E alcuna volta (Dio ci perdoni se serbiamo memoria dell’orribile fatto) si sforzarono di far inghiottire ai malvivi le sbranate viscere dei loro diletti. Di che molti morirono d’angoscia e più assai impazzirono”. Tito Speri fuggì dalla città, vi ritornò nel 1850 continuando la sua lotta antiaustriaca, fu arrestato e impiccato nel 1853.
Anche a Genova, di forte tradizione repubblicana, vi fu una ribellione popolare. Quando si sparse la voce che la città sarebbe stata occupata dagli austriaci (ma non era vero) il 31 marzo la folla, guidata da studenti universitari, s’impadronì del palazzo ducale e dell’arsenale. Il governo regio di Torino, forse temendo una rivolta repubblicana o una rivoluzione democratico-socialista, ordinò al generale Alessandro La Marmora di convergere con 25.000 uomini su Genova, vi entrò il 10 aprile e i suoi soldati per diversi giorni commisero saccheggi e violenze, come testimoniato da Costantino Reta, membro del Governo della città durante l’insurrezione, in un suo libro di memorie pubblicato in Svizzera nel 1850: “Verso il meriggio del 5 aprile un fiero bombardamento intronava l’intiera città … il quartiere di Portoria ne fu sopra tutti malconcio, e mentre una sola bomba non cadde sovra i signorili palagi, le povere case ed i tuguri de’ popolani ebbero forate le mura da que’ micidiali tormenti … sedici bombe caddero sovra l’ospitale di Pammatone …. allo scoppio degli omicidi proiettili assorgeano gli ammalati dal letto dei loro dolori; e brancolando tentavan fuggire; taluni rimanevano uccisi, taluni feriti, altri fatti alcuni passi cadeano tramortiti a terra … se tutti noi ci facessimo a dire le nefandigie, i soprusi, le devastazioni, gli stupri, i sacrilegi, perpetrati dal piemontese soldato, forse i lontani ci negherebbero fede. In ben oltre trecentocinquanta famiglie di S.Rocco degli Angioli, di S.Teodoro e di S.Lazzaro, come risulta dai documenti raccolti al Municipio, infuriò la bestialità delle forsennate milizie, che sfondavano gli usci delle pacifiche case, e tutto mandavano a ruba. Oltre agli averi dei cittadini si diè di piglio ai vasi sacri, ed agli arredi dei templi, si stuprarono vergini, le madri insultavansi; nel palazzo del Principe Doria si fecero ingollare ad alcuni de’ nostri prigionieri gallette inzuppate di sangue. Diversi ufficiali, quelli in ispecie de’ bersaglieri furono i primi a bottinare (alcuni di essi già scontano nel carcere le loro scelleratezze) animando coll’esempio i soldati.”.
Anche a Como, quando si venne a sapere che il Piemonte aveva ripreso la guerra con l’Austria, si formò un Governo provvisorio che si sciolse subito non appena arrivò la notizia della sconfitta di Novara. Alcuni repubblicani, guidati da Andrea Brenta, già protagonista della rivolta nel 1848, cercarono di far insorgere la Valle d’Intelvi. Attaccarono un contingente austriaco, ma furono poi catturati e fucilati il 14 giugno 1849 nei pressi della Chiesa di S.Carpoforo. Andrea Brenta venne seppellito in una fossa comune nel vicino cimitero del Baradello, il suo corpo fu riesumato undici anni dopo per essere trasferito con gli onori nel cimitero maggiore di Como.