Il 1 gennaio del 1948 veniva varata la nostra Costituzione repubblicana. La riflessione di un giurista per capire il grande valore di un testo che molti vorrebbero superato.
-----------------
Il 2 giugno del 1946, per la prima volta nella storia del nostro paese, il popolo, con una sua libera scelta, venne chiamato a conferire legittimità alle istituzioni. Nello stesso giorno, con una doppia scheda, i cittadini italiani (per la prima volta le donne) vennero chiamati a decidere tra la forma monarchica e quella repubblicana e, al tempo stesso, ad eleggere i 556 componenti dell’Assemblea costituente incaricata di redigere il testo della Costituzione della Repubblica italiana. La comune esperienza antifascista delle diverse forze politiche, il ruolo svolto da ognuna all’interno del CLN, e il governo di “unità nazionale”(che sotto la guida di Ivanoe Bonomi sostituì il governo Badoglio), spinsero la DC, il PCI e il PSI ad unirsi in un “patto di unità di azione”. L’Assemblea costituente vide, quindi, il prevalere delle grandi forze politiche di massa, continuazione dei grandi partiti già emersi nel periodo immediatamente precedenti il fascismo. La Democrazia Cristiana, con De Gasperi, raccolse l’eredità del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo, diventando il partito con la maggiore percentuale di voti in seno all’Assemblea costituente, gettando, così, le basi per i futuri Governi a prevalenza Democristiana che avrebbero caratterizzato l’Italia sino ai primi anni novanta. Tutto questo, unito alla forza non indifferente del Partito Socialista e del Partito Comunista, spiega il carattere composito e, nell’insieme, compromissorio del testo costituzionale approvato. Esso fu, in particolare, l’esito di un compromesso fra le forze di ispirazione cattolica e quelle di ispirazione marxista. Nonostante le forti divaricazioni ideologiche e culturali, il compromesso risultò possibile per la spinta antifascista che aveva accomunato e unito i movimenti politici negli anni precedenti. L’Assemblea Costituente iniziò i lavori per dare al Paese la “Costituzione” in un momento estremamente difficile dovuto soprattutto alle incertezze sul futuro. Per questa ragione Calamandrei definì “presbite” l’Assemblea che lavorava con il “velo dell’ignoranza” proprio perché non era in grado di “vedere” cosa sarebbe accaduto anche nell’immediato futuro. Nonostante tutto questo, e pur partendo da basi politiche e culturali profondamente diverse, i Padri costituenti ebbero in comune una forte volontà di rinnovamento profondo dell’apparato statale e della società civile rispetto al modello dell’esperienza fascista. La forte tensione innovativa e riformista caratterizzò il clima unitario che si era creato tra le diverse forze che componevano l’Assemblea (parteciparono attivamente anche le forze liberali, seppur minoritarie). Il testo finale della Costituzione repubblicana fu il frutto di un “compromesso costituzionale”, una intesa e una mediazione tra le diverse concezioni dell’uomo e della società, tra l’ideologia cattolica, l’ideologia socialista e comunista e l’ideologia liberale. Un esempio di collaborazione che portò, attraverso reciproche concessioni e reciproci sacrifici, alla formulazione di un notevole testo costituzionale che non costituì affatto un compromesso al ribasso. Approvata il 22 dicembre 1947 con quasi il 90% dei voti, la Costituzione repubblicana venne promulgata dal Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Ogni partito contribuì ad arricchire il testo costituzionale e, in modo particolare, la Democrazia Cristiana, influenzò la formulazione dell’art. 2 della Cost. dove è affermata la “centralità della persona umana” come titolare di diritti naturali inviolabili, oltre alle “formazioni sociali” nelle quali si svolge la personalità dell’uomo e al principio “solidarista”. La stessa D.C. influenzò la nozione costituzionale di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29 Cost.), la possibilità di istituire libere scuole e istituti privati anche confessionali (il c.d. pluralismo educativo art. 33 Cost.), la regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica (art. 7 Cost. i Patti Lateranensi). I partiti politici di sinistra inlfuenzarono la Costituzione nella formulazione di alcune norme di principio e a contenuto programmatico, che costituirono delle vere e proprie promesse per il futuro. Tra queste norme ricordo in modo particolare l’art. 1 Cost. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, il lavoro come valore primario; l’art. 4, il diritto/dovere al lavoro; l’affermazione del principio di uguaglianza sostanziale (2° comma art. 3 Cost.); la libertà di organizzazione sindacale (art. 39 Cost.); il diritto di sciopero (art. 40 Cost.); lo Stato come regolatore dell’economia che interviene per fini di giustizia sociale (art.li 41, 42, 43 e 44). I partiti minoritari che rappresentavano le ideologie liberali ebbero un notevole ruolo di mediazione e di incontro tra le diverse posizioni, e riuscirono a incidere nella formulazione dei “diritti fondamentali di libertà” dei cittadini nei confronti della pubblica autorità. In modo particolare ricordo gli articoli della Costituzione che vanno dal 13 al 25 che si occupano della libertà personale, libertà di domicilio, libertà e segretezza nella corrispondenza, libertà di circolazione e di soggiorno, libertà di riunione, libertà di associazione, libertà di religione, libertà di manifestazione del pensiero, diritto alla difesa nei processi, principio del giudice naturale precostituito per legge e principio di legalità, oltre ad aver contribuito alla nascita del bicameralismo e del rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento e all’introduzione del principio della libera iniziativa economica privata.Lo straordinario insegnamento dei Padri costituenti che giunsero al “compromesso costituzionale” per il comune interesse generale del Paese, sembra oggi cadere nel vuoto visto che le diverse commissioni per le riforme costituzionali che si sono succedute nel tempo non hanno raggiunto alcun risultato. Sembra oggi che le tante auspicate riforme della Costituzioni (necessarie in alcuni punti, soprattutto sul ruolo delle due Camere, sul numero dei parlamentari, sullo snellimento delle procedure e sui costi stessi della gestione della Cosa pubblica), non siano realmente volute o quantomeno volute fino in fondo con la partecipazione trasversale di tutte o quasi le forze politiche. La Costituzione è patrimonio comune che permane nel tempo e deve essere necessariamente modificata (in alcuni articoli della seconda parte) con il concorso di tutti (come ci hanno insegnati i Padri costituenti) per renderla più vicina alle aspettative dei cittadini che vogliono sentire proprio non solo il testo costituzionale, ma, di più, la stessa Repubblica. Pensare di poter modificare la Legge fondamentale dello Stato senza la condivisione e la partecipazione della stragrande maggioranza del Parlamento (o peggio ancora non modificarla dove serve) costituisce in ogni tempo un gravissimo errore, poiché la Costituzione “è giacimento di valori comuni in cui tutti gli italiani si riconoscono” e in cui tutti gli italiani devono continuare a riconoscersi indipendentemente dalla loro appartenenza politica. Michele Spagnuolo