Quest'anno ricorre il 70mo anniversario della nostra Costituzione. Malgrado questa nobile ricorrenza, siamo costretti ad assistere alla campagna elettorale piú indecorosa e menzognera della storia. Imbonitori, lestofanti e pataccari calcano la scena pubblica senza alcun ritegno, del tutto incuranti dei bisogni reali del cittadino: per costoro, la cosa più importante é preservare le proprie laute prebende. La stessa legge elettorale appresenta l'abito perfetto di un sistema che ha spesso premiato i mediocri e penalizzato i più meritevoli. Per questo fanno bene i giovani più talentuosi a lasciare il paese: di questo, gli adulti farebbero bene a vergognarsi.
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Come tutti sappiamo, quest'anno ricorre il settantesimo anniversario della nostra Costituzione. Malgrado questa nobile ricorrenza, beffardamente ci vediamo costretti ad assistere alla campagna elettorale piú indecorosa e menzognera della storia. Imbonitori, lestofanti e pataccari calcano la scena pubblica senza alcun ritegno, del tutto incuranti dei bisogni reali del cittadino: per costoro, la cosa più importante é preservare le proprie laute prebende che, oggi più che mai, appaiono sempre più incomprensibili. Se vogliamo, la stessa legge elettorale (c.d. Rosatellum) è stata concepita senza la minima preoccupazione di uscire dalla grave crisi di rappresentanza in cui versa l'intero ceto politico il quale, ben consapevole del proprio discredito, ha pensato bene di blindarsi con una legge che condannerà il paese ad un pantano senza precedenti. Questa legge elettorale rappresenta l'abito perfetto di un sistema che ha spesso premiato i mediocri e penalizzato i più meritevoli. Le ragioni di questo malcostume sono molteplici. Ad esempio, al di là dei proclami, la sinistra si è sempre dimostrata culturalmente ostile al merito al quale ha sempre anteposto il “bisogno”. Il primato del bisogno ha finito per generare il mostro di un egualitarismo che mortifica fatalmente i cittadini più talentuosi. La pubblica amministrazione rappresenta efficacemente questa aberrazione culturale secondo la quale tutti i "lavoratori" sarebbero uguali in tutto (basti pensare alla scuola, nella quale i docenti si differenziano solo per l'anzianità). Solo dopo il "lavacro" liberaldemocratico conseguente al crollo dell'URSS, la sinistra ha accettato l’idea che l’egualitarismo fosse un disvalore. Ma esiste un altro motivo per cui la sinistra ha storicamente diffidato del merito: il terrore di una deriva tecnocratica della democrazia che avrebbe concentrato il potere decisionale nelle mani di una oligarchia di “esperti” in grado di affrancarsi da ogni sorta di controllo sociale (come diceva Bobbio, “la tecnocrazia è intrinsecamente elitaria”). Per ragioni diverse, ma non meno incisive, tradizionalmente anche la destra osteggia il merito a cui essa antepone il censo e l'appartenenza. Ancora oggi la nostra democrazia appare monca perchè si fonda su un capitalismo di relazioni che privilegia le “giuste” frequentazioni, i “giusti” ambienti”, le “giuste” associazioni. Ci sono carriere professionali che, non è un mistero, sono state sapientemente costruite calibrando la “giusta” collocazione politica, sindacale o associativa. Non vi è campo che non risulti ammorbato da questa tabe: i vertici della pubblica amministrazione, le libere professioni, il giornalismo, il mondo delle imprese. Se la destra avesse creduto al merito, avrebbe creduto alla concorrenza e favorito le liberalizzazioni. In verità, la destra ha solo finto di credere alla competizione sociale e al mercato: di fatto, non ha mai perso occasioni per tessere legami, coltivare relazioni, cercare protezioni. Piaccia o no, anche la politica obbedisce a questa logica aberrante che penalizza i cittadini più meritevoli. In quest'ottica, la nuova legge elettorale non farà che perpetuare i vizi antichi della politica italiana: il trasformismo, il servilismo e il carrierismo. Pochi, pochissimi, entrano in politica con il sacro fuoco della passione civile: in tanti, troppi, vi fanno accesso per garantirsi un reddito prestigioso oppure per avere quella visibilità in grado di propiziare opportunità (incarichi, consulenze, promozioni, appalti). Se, pertanto, la sinistra ha la responsabilità storica di avere calpestato il merito in nome di un astruso egualitarismo, alla destra va imputata la responsabilità di averlo fatto in nome del privilegio. Un giorno la borghesia italiana dovrà fare ammenda di questo mercimonio sociale perché, come classe dominante, avrebbe dovuto innalzare l’etica pubblica con l'esempio della propria condotta. Purtroppo, in Italia è sempre mancata una borghesia "illuminata" in grado di farsi interprete dell’interesse generale, dunque anche del merito e della tutela dei più bravi. Per questo i giovani più talentuosi lasciano il nostro paese: di questo, noi adulti dovremmo provarne vergogna.