Quando parliamo di declino del nostro paese si tende a sottovalutare il fatto che in numerosi posti di comando esiste un tasso di incompetenza che rivela la vera natura del nostro sistema. Al di là dei proclami, infatti, siamo ancora un capitalismo di relazioni che mortifica il merito e premia la fedeltà, le “giuste” frequentazioni e le conoscenze. In un libro uscito di recente, dal titolo eloquente, “Mediocrazia”, l'autore, Alain Deneault, scrive: “Non c'è stata nessuna presa della Bastiglia, non è stato sparato un solo colpo di cannone, eppure l'assalto è avvenuto con successo: i mediocri hanno preso il potere!”.
---------------
Qualche mese fa l'economista Luigi Zingales, commentando il 44° posto dell'Italia nella classifica dei paesi più competitivi redatta dal World Economic Forum (Wef), non esitó ad attribuire tale responso alla mancanza di meritocrazia esistente nel nostro paese. Zingales ebbe a definire "peggiocrazia" quel malcostume tipicamente italiano a causa del quale "alla competenza viene preferita la lealtá dei manager peggiori". Quando parliamo di declino del nostro paese si tende a sottovalutare il fatto che in numerosi posti di comando esiste un tasso di incompetenza che rivela la vera natura del nostro sistema. Al di là dei proclami, infatti, siamo ancora un capitalismo di relazioni che mortifica il merito e premia la fedeltà, le “giuste” frequentazioni e le conoscenze. E' triste ammetterlo ma la quotidianità continua ad essere costellata di episodi in cui soccombe il merito e prevale il privilegio. Esiste una patologia di massa che si fonda sull'aberrante accettazione di devianze che risultano costitutive di un sistema che appare irriformabile. Ogni abuso serve a legittimare quello successivo, nella totale indifferenza del cittadino la cui assuefazione si è ormai trasformata in rassegnazione. Bisogna ammettere che la politica ha contribuito notevolmente ad alimentare questo vizio atavico della “raccomandazione” che nessun politico ha mai voluto scalfire. Rispetto al passato, oggi il clientelismo ha solo cambiato pelle. Tangentopoli rappresenta la punta parossistica di un sistema che si fondava su una illegalità pervasiva che si era ormai radicata nelle imprese, nelle professioni e nelle istituzioni. Negli anni Ottanta la tangente ha rappresentato un salto di qualità nelle modalità di esercizio del potere politico: una prassi di governo o, come disse Piercamillo Davigo, un vero e proprio modo di governare. Al cospetto della tangente, oggi la raccomandazione ha acquistato le candide sembianze di una illegalità innocua, quasi innocente, definitivamente assurta al rango di legge, seppur non scritta: una vera e propria costituzione materiale che ha fatto strame, in un colo colpo, dell'etica e del diritto. In questo modo la Costituzione formale, la “Grundnorm” di Kelsen, su cui poggiano tutte le leggi che regolano il comportamento del cittadino, si trasforma in una sorta di florilegio di principi dal vago sapore escatologico: norme, cioè, che appartengono ad un mondo che verrà. Bisogna ammetterlo, un paese che non riconosce il merito è un paese destinato a perdere, in modo irrimediabile, la propria identità e qualunque forma di coesione sociale. La corruzione continua a dilagare perchè nel corpo sociale preesiste questo inveterato abito mentale che rappresenta l'humus da cui germoglia il malaffare. Tollerare i piccoli abusi ci ha condotto, alla lunga, a tollerare anche quelli più macroscopici finendo per alterare in profondità i nostri tratti identitari più nobili. In un libro uscito di recente, dal titolo eloquente, “Mediocrazia”, l'autore, Alain Deneault, scrive: “Non c'è stata nessuna presa della Bastiglia, non è stato sparato un solo colpo di cannone, eppure l'assalto è avvenuto con successo: i mediocri hanno preso il potere!”. Spetta ai giovani opporre resistenza e fermare il declino del paese visto che, alla fine, saranno loro a dover pagare il conto di questa immarcescibile “peggiocrazia”.