Le infinite stagioni vissute da Don Piero sono state tutte luminose: da sacerdote, come parroco, organizzatore infaticabile, pragmatico e fantasioso delle attività pastorali e parrocchiali, da protagonista di rischiosissime azioni partigiane. La sua impresa partigiana più importante fu quella di evitare che Como fosse bombardata, come era stato programmato dai comandi alleati negli ultimi mesi della guerra.
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«Quando ti guardava con quei suoi occhi vivaci e buoni era come se il suo sguardo scendesse direttamente dal Paradiso», questo pensiero così bello e spirituale, è di una persona che ha incontrato più volte, don Piero Arrigoni, il sacerdote morto due anni fa a Caglio, ormai centenario. Le infinite stagioni vissute da Don Piero sono state tutte luminose: da sacerdote, come parroco, organizzatore infaticabile, pragmatico e fantasioso delle attività pastorali e parrocchiali, da protagonista di rischiosissime azioni partigiane. E’ stato anche insegnante elementare e pure costruttore (anche se in senso lato) della strada che da Ballabio sale a Morterone. La sua impresa partigiana più importante fu quella di evitare che Como fosse bombardata, come era stato programmato dai comandi alleati negli ultimi mesi della guerra.
E’ vero: anch’io quando l’ho incontrato a Caglio, negli ultimi anni della sua intensa vita, non riuscivo a staccarmi da quel suo sguardo così tanto ascetico. La sua storia è così grande da meritare un libro. Ed ecco che a due anni dalla morte, oggi a Caglio è presentato un grosso volume che racconta don Piero Arrigoni. Il titolo è “Cento anni di ribelle obbedienza” (Memorie di don Piero Arrigoni): poche parole, una sintesi estrema che dà l’esatta immagine di questo grande uomo, di questo sacerdote. Don Piero nacque a Vedeseta, paese bergamasco della Valle Imagna ed è morto a Caglio, il 7 giugno 2015. Questa edizione delle “Memorie di don Piero” è sostenuta dai familiari di don Piero nelle persone della sorella Caterina e dei suoi figli Carlo, Andrea e Roberto, dalla Parrocchia di Vedeseta con il parroco don Massimo Gualdi. I testi sono stati in parte scritti e ordinati da Ermanno Arrigoni. Hanno collaborato Domenico Gatti, Massimo Maffioletti, Osvaldo Ornaghi, Osvalda Quarenghi, Edoardo Santamato e Mario Sesana.
Ermanno Arrigoni spiega che quella che viene offerta ai lettori è “una storia accattivante di un personaggio davvero originale: montanaro, contadino, sacerdote, “ribelle per amore”, battagliero, anche con la “sua” Chiesa, ma capace di misericordia, di grande umanità e di sentimenti di tenera amicizia e fratellanza. E sempre fedele alla sua missione sacerdotale”.
Il racconto autobiografico lasciato da don Piero si compone di 172 cartelle dattiloscritte. Nelle ultime pagine vi è la guerra partigiana, a Morterone.
C’è la storia di quando lui, povero parroco di montagna, riuscì a convincere i comandi alleati dell’Air Force ad abbandonare il folle progetto di bombardare le caserme De Cristoforis. Era la fine inverno del ’45: due soldati americani si sono introdotti in incognito nella canonica di Morterone, dopo essere stati paracadutati, oltre le linee, ai Piani Resinelli.
«Erano oriundi italiani, originari di Macerata –raccontava don Piero – e mi chiesero senza preamboli, in pratica mi ordinarono, di collaborare per dare informazioni precise sull’obiettivo “le caserme di Como”, dove, pareva, ci fossero ancora consistenti depositi di materiale tedesco. Dovetti accettare».
Era il 13 aprile del ’45, il mattino presto, quando don Piero inforcò la bicicletta e senza “dare nell’occhio” giunse fino alle porte di Como. Si piazzò su una curva della Madruzza e osservò la città. Si intendeva un po’ di topografia, di punti cardinali e di coordinate e, grazie a queste sue conoscenze, avrebbe dovuto rilevare la posizione delle caserme rispetto alle montagne. L’incursione sarebbe dovuta avvenire con gli aerei che, arrivando da Sud avrebbero sorvolato Camerlata e seguita la valle verso Nord, per poi virare sulla verticale della città e riprendere la direzione Sud.
«Mi resi subito conto –commentava il sacerdote- che le bombe avrebbero fatto una strage nella città: troppo esigui gli spazi».
Tornato a casa si adoperò con grande determinazione per indurre gli agenti segreti ad informare il loro comando che l’”obiettivo Como” era da scartare. L’incursione avrebbe provocato la strage. E la missione fu abbandonata.
Don Piero, ancora giovane, era stato mandato a Morterone, sotto il Resegone, luogo così fuori mano da essere lo spauracchio di parroci, insegnanti e funzionari comunali. Qui non arrivavano insegnanti e così il giovane parroco, studiando la sera a Lecco, prese il diploma magistrale e si mise lui sulla cattedra della pluriclasse. Ma c’era anche la guerra. Partigiani e tedeschi, su quelle montagne, si combattevano ferocemente. In Valsassina operava la 52ma brigata partigiana “F.lli Rosselli”. Avvenne che il 31 dicembre del ’44 alla Cascina Pianca un giovane partigiano, Franco Carrara della “Rosselli” cadde, fulminato dal piombo delle Ss. Era di Alzano Lombardo. Il cadavere fu recuperato da don Piero, assieme ad alcuni partigiani, e nascosto sotto un cumulo di neve vicino alla chiesa di Morterone. Fargli il funerale e seppellirlo al cimitero sarebbe stato troppo pericoloso perché fascisti e nazisti erano sul chi vive. Allora si attese che qualcuno del paese morisse per fare un doppio funerale. La salma del giovane partigiano fu sepolta in piena notte di nascosto il 27 febbraio con quella di un vecchio contadino di Morterone morto due giorni prima. Per un po’ di tempo una sola tomba accolse due salme, una regolare, l’altra clandestina.
Il generale Alexander gli concesse un riconoscimento per tutto il suo coraggioso impegno nella lotta di resistenza che sia in Valsassina che a Morterone fu cruenta.
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Ringraziamo l'autore per la gentile concessione di questo articolo apparso sulle pagine culturali del quotidiano comasco "La Provincia", domenica 18 giugno 2017.