Quinta puntata della storia dei mondiali di calcio. Con un plebiscito del Comitato esecutivo Fifa, viene assegnata all’Italia la 14^ edizione della fase finale dei Mondiali, quinta Coppa FIFA. In Italia viene istituito il COL, Comitato Organizzatore di Italia ’90. La macchina organizzativa sembra perfetta. Tuttavia, anche l'organizzazione del Mondiale diviene occasione di ruberìe, come dimostrarono, qualche anno dopo, le inchieste di Tangentopoli. Favorita dai pronostici, l'Italia esce in semifinale.
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Il Comitato esecutivo Fifa ha assegnato all’Italia la quattordicesima edizione della fase finale del Campionato del Mondo di Calcio, quinta Coppa FIFA. Per la seconda volta nella storia della manifestazione, dopo l’esperienza del lontano 1934, abbiamo l’onore e l’onere di organizzare la rassegna mondiale. Il 19 maggio 1984 a Zurigo, una votazione quasi plebiscitaria ci affida la rassegna del 1990; da quel momento si mette in moto la macchina organizzativa. Viene istituito il COL, Comitato Organizzatore di Italia ’90. Il principale artefice del successo della nostra candidatura, Artemio Franchi, Presidente per anni della Federazione Calcio, non vedrà purtroppo realizzato il suo sogno: un tragico incidente stradale lo aveva portato via per sempre l’anno prima, il 12 Agosto 1983. Il Comitato prevede Franco Carraro nella veste di Presidente e Luca Cordero di Montezemolo, forte dell’esperienza maturata in Formula 1, in quella di Direttore Generale. Il COL ottiene un considerevole successo politico quando, a differenza di tutte le precedenti edizioni della coppa del mondo, riesce ad ottenere piena autonomia gestionale sull’avvenimento. In precedenza infatti, i Comitati Organizzativi locali avevano sede in Svizzera, presso la FIFA, svolgendo nella nazione luogo dell’evento calcistico attività meramente promozionale. Un’ altra significativa vittoria politica l’otteniamo sul delicato tema delle sponsorizzazioni legate all’evento. Carraro e Montezemolo, riescono ad evitare che la ISL, società con sede a Lucerna, e partner della FIFA, possa concedere ad aziende straniere concorrenziali con aziende italiane leader del settore, i diritti di partecipare come sponsor ufficiale dell’evento. Il COL ottiene che venga inserita una nuova categoria di partners, quella dei “Fornitori Ufficiali”. Oltre agli Sponsor internazionali, fra i quali Coca Cola, Fuji Film, Canon e Gillette, sono ammessi i Fornitori ufficiali, tutti italiani: Alitalia, Stet, Olivetti, Fiat, Ferrovie dello Stato, Ina-Assitalia e Banca Nazionale del Lavoro. Queste ultime versarono al COL sessantaquattro miliardi di cash flow, utili al Comitato per iniziare l’attività senza contrarre debiti con istituti di credito.
Il 12 dicembre 1987 si svolgono a Zurigo le operazioni di sorteggio per definire i gironi di qualificazione; ventidue nazionali avrebbero superato il turno e sarebbero giunte a Italia 90, per affiancare Italia ed Argentina, ammesse direttamente alla fase finale, in quanto rispettivamente paese ospitante e detentrice del titolo. In quell’occasione Ornella Muti rappresenta l’Italia come madrina, mentre Luciano Pavarotti, in collegamento diretto da New York, interpreta superbamente “Torna a Surriento”: si esibiscono anche Gianna Nannini ed Eduardo Bennato, che due anni dopo, al sorteggio di Roma, avrebbero cantato l’inno ufficiale dei mondiali, composto da Giorgio Moroder.
L’Italia ci prova
L’Italia gioca la carta del mondiale per tentare un rilancio in grande stile, oltre che sul versante sportivo, anche su quello industriale. Nel passato si perse sciaguratamente un’occasione formidabile negli anni sessanta, quando il nostro paese vantava poli di eccellenze scientifico-tecnologici che il mondo ci invidiava. Pensiamo al settore informatico, con il genio imprenditoriale di Adriano Olivetti: il predecessore dell’attuale Personal Computer fu l’Elea 9003, primo calcolatore a transistor ad uso commerciale, frutto dell’inventiva dell’ingegnere della Olivetti, Mario Tchou e del design di un giovane architetto e futura archistar, Ettore Sotsass. Il settore chimico gravitava intorno al gruppo Montecatini; Giulio Natta, inventore del polipropilene, ottenne il riconoscimento del premio Nobel. Nel petrolchimico, l’Agip di Enrico Mattei sfidò apertamente il cartello delle “Majors” del petrolio mondiale, conosciute come “le Sette sorelle”, le più ricche compagnie petrolifere del tempo. Infine l’ambito fisico-nucleare; erede della grande scuola di via Panisperna degli anni trenta, dei premi Nobel Enrico Fermi ed Emilio Segre, negli anni cinquanta e sessanta, grazie all’opera di Felice Ippolito e del CNRN, rappresentò una eccellenza mondiale nel settore. Si riveleranno purtroppo tutte occasioni mancate; l’Italia non riuscì ad avviare una seria politica industriale, sfruttando le varie eccellenze presenti nella penisola.
In occasione del campionato mondiale di calcio, il nostro paese cerca di rilanciare il settore turistico e, soprattutto, quello della integrazione tecnologica, ottenendo alcuni risultati che non riuscirà però, una volta di più, a convogliare in altrettanti piani strategici di investimento industriale. Gli sforzi, pur lodevoli, rimangono contestualizzati all’avvenimento, non trovando seguito per evidenti difetti di visione strategica.
Alcuni esempi servono a chiarire meglio: per la prima volta nella storia dei mondiali, i giornalisti accreditati hanno a disposizione la “Banca dati della Coppa del Mondo FIFA”, consultabile in cinque lingue. Nata da una partnership strategica SEAT e Olivetti, la banca dati contiene i tabellini delle 2424 partite disputate dal 13 luglio 1930 (Francia-Messico 4-1) al 19 novembre 1989 (Tunisia-Camerun 0-1), ultima partita di qualificazione, oltre a tutti i numeri statistici di squadre e giocatori.
La Posta elettronica “Italia 90”, consente a ciascun accreditato in sala stampa di consultare qualsiasi terminale del sistema per leggere i messaggi pervenuti alla casella di posta a lui dedicata. I giornalisti possono accedere a banche dati con informazioni turistiche, contenenti le ultime news dal mondo (Ansatel); in tutti i centri stampa sono posizionate stampanti laser per ogni tre postazioni di lavoro. Più di 150 tecnici della Olivetti e della SEAT, garantiscono assistenza informatica 24 ore su 24.
Molte novità anche sul versante della tecnologia televisiva: ogni partita prevede uno standard minimo di 11 telecamere e 4 replay. La RAI in collaborazione con l’azienda Telettra ed il Politecnico di Madrid, mette a punto un sistema di compressione digitale HDTV, che permette la visione delle partite con lo standard dell’alta definizione in otto sale cinematografiche. Viene compresa l’importanza della compressione digitale, ma la mancanza in commercio di schermi televisivi di grandi dimensioni e la difficoltà del trasporto del segnale HDTV, affidato ancora a sistemi di compressione analogici, non permette al sogno RAI di avere seguito. Per inciso l’azienda del gruppo Fiat, Telettra, sarà acquistata dalla Alcatel, che trasferirà nelle sue aziende americane lo studio della compressione digitale.
Sul versante politico nel nostro paese è in corso la decima legislatura; il VI Governo Andreotti presenta una coalizione pentapartitica formata da DC, PSI, PSDI, PRI, PLI. Il 10 marzo al raduno della Bolognina, è nato il nuovo Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto.
Fuori dai confini nazionali si vive un’epoca di profondi cambiamenti. Nel 1989 si assiste a quello che viene definito l’”Autunno delle Nazioni”. Diversi regimi comunisti sono rovesciati. In Polonia, il movimento sindacale di matrice cattolica “Solidarnosc”, trionfa alle elezioni ottenendo una maggioranza schiacciante ed insediando il primo governo non comunista nei paesi dell’Europa orientale. L’Ungheria abolisce le restrizioni alla frontiera con l’Austria e adotta delle riforme democratiche che prevedono libertà di assemblea, associazione e stampa. Anche in Bulgaria, nel febbraio di questo 1990, il partito comunista rinuncia al potere e, poco prima dell’inizio del Campionato Mondiale di calcio, sono indette le prime elezioni libere. In Cecoslovacchia nel dicembre del 1989 viene nominato un governo non comunista e Dubcek diviene Presidente del Parlamento Federale. In Romania la transizione è cruenta; alla fine del 1989, al ritorno da un breve viaggio in Iran, Ceausescu ordina di reprimere le sommosse che stavano diffondendosi per tutta Bucarest; in un primo momento l’esercito obbedisce sparando sulla folla, ma il 22 dicembre le forze armate catturano il dittatore e la moglie e, dopo un processo sommario, li giustiziano in diretta televisiva il giorno di natale. Inizia da quel momento un lento e contraddittorio processo di rinnovamento politico. Nel corso del 1990, Ion Iliescu diviene il primo Presidente liberamente eletto in Romania dal dopoguerra. Nella Germania Democratica, il leader della DDR, Erich Honecker, è costretto alle dimissioni e il 9 novembre 1989, il ministro della propaganda Shabowski, annuncia, in diretta televisiva, che ai berlinesi dell’est è concesso un permesso per attraversare il confine. A migliaia si riversano oltre cortina; il muro è preso d’assalto e nei giorni seguenti sarà distrutto dai “Mauerspechte”, i picconatori del muro. Il 18 marzo di quest’anno si sono tenute nella Germania Democratica le prime elezioni libere. Il prossimo 3 ottobre 1990, si assisterà al processo di riunificazione delle due Germanie.
Nell’Unione delle Repubbliche Sovietiche, nel mese di febbraio il Comitato centrale del Partito comunista sovietico ha rinunciato al suo stato di partito unico. La “glasnost” e la “perestrojka” - trasparenza e ricostruzione – di Gorbacev, dal 1985 Segretario del partito comunista sovietico, se da un lato pongono lentamente fine all’isolamento sovietico, dall’altro acuiscono problemi di natura economica fino ad allora tenuti nascosti. I contrasti razziali e le spinte indipendentistiche aumentano. Nell’anno dei mondiali italiani, le quindici repubbliche sovietiche indicono elezioni libere; le repubbliche costituenti cominciano a dichiarare la propria sovranità nazionale nei confronti del governo centrale di Mosca; fra le prime, i paesi baltici, Lituania, Estonia e Lettonia. L’ultima sarà alla fine dell’anno ’Uzbekistan.
L’eco dei sommovimenti europei giunge fino in Cina, dove un movimento di studenti, intellettuali ed operai, nella primavera del 1989, improvvisa una marcia per le strade di Pechino, per poi stabilizzarsi in modo stanziale in piazza Tienanmen, per chiedere libertà di stampa ed un dialogo formale con i vertici del partito. Deng Xiaoping, l’uomo forte del partito comunista cinese, ancor più del Segretario Zhao Zijang, il 3 giugno ordina all’esercito di caricare i manifestanti. Sarà un massacro. Nessuno riuscirà mai venire a conoscenza del numero ufficiale delle vittime. L’opinione pubblica internazionale considera quanto accaduto in quella primavera in Cina, uno degli episodi simbolo del più generale movimento internazionale per la conquista della democrazia. In patria e in Oriente in generale, l’argomento rimarrà invece tabù, per l’azione di disinformazione e censura esercitata sui media dal Partito Comunista Cinese.
Partecipano alla fase finale ventiquattro squadre suddivise in sei gironi di qualificazione. Le prime due qualificate accedono agli ottavi di finale, per poi procedere con i quarti di finale e le semifinali, secondo la classica impostazione ad eliminazione diretta. Nella competizione che si disputa dal 8 giugno al 8 luglio, sono coinvolte dodici città: a Roma si disputano sei incontri, così come a Milano; cinque sono previsti a Torino, Bari e Napoli; quattro a Genova, Verona, Bologna e Firenze; tre a Udine, Cagliari e Palermo.
La mascotte della manifestazione è il burattino Ciao, costituito da mattoncini tricolori. Si gioca col pallone “Etrusco” dell’Adidas.
Il programma televisivo “Galagoal”, trasmesso dall’emittente monegasca Telemontecarlo, con il celebre sgabello di Alba Parietti in cui si dimostra che il calcio è questione di gambe.., fa scuola. La RAI risponde con il collaudato Processo di Biscardi, con Gianni Brera ospite fisso. Di li a poco la Legge Mammi obbligherà tutti i circuiti televisivi all’uniformità dei programmi su tutto il territorio nazionale, concedendo l’estensione delle programmazione alle ventiquattrore. Cominceranno le dirette Mediaset, ed i primi telegiornali al di fuori dei confini di “Mamma Rai”, come il Tg 5 di Enrico Mentana.
FRAMMENTI ITALIANI
L’Ex portiere
L’Irlanda ha una grande tradizione religiosa. Cattolica fino al midollo, più di ventimila tifosi stanno arrivando nella città santa per assistere alla partita contro gli azzurri. I più sono privi di biglietto; c’è una certa preoccupazione da parte del Comitato Organizzatore. Intanto, il 27 giugno, l’intera delegazione irlandese è ricevuta da Papa Giovanni Paolo II. I giocatori apprenderanno con una certa meraviglia dei trascorsi calcistici del Pontefice: un ottimo portiere, anche nei racconti di chi lo vide all’opera.
La lametta
Quella nascosta nei guanti del portiere cileno Roberto Rojas, nella gara decisiva del girone di qualificazione sudamericano, disputata a Rio de Janeiro contro il Brasile. Approfittando della confusione creata dal lancio di un petardo, Rojas si ferisce di proposito al viso, crollando a terra come tramortito. La gara è sospesa ed il Cile abbandona il campo rifiutandosi di continuare l’incontro, sperando in una vittoria a tavolino. Le immagini di un fotoreporter smascherano però il portiere cileno, che ammetterà di essersi tagliato di proposito, nel contesto di un piano architettato per favorire la propria nazionale. Verrà squalificato a vita.
Schillaci
Potere del tifo! Ad Alicudi, nelle isole Eolie, per seguire le imprese del celebre conterraneo, un prete ha deciso di piazzare sul sagrato della chiesa un televisore a batteria con annessa antenna parabolica. I fedeli, fra una preghiera di penitenza ed un Ave Maria, potranno tranquillamente vedere le partite dell’Italia e, con la benedizione di Qualcuno lassù, sperare in qualche miracolo. Potere del tifo! Per inciso, il prete si chiama Antonio Schillaci ed è parente del Totò nazionale.
Hooligans
La Fifa scegli l’Inghilterra come testa di serie, preferendola alla Spagna. Non verranno mai fornite esaurienti spiegazioni in merito, ma motivi politici portano a pensare che la piaga degli hooligans abbia pesato in questa scelta.
La parola Hooligan nasce nel primo novecento, dalla “Hooley’ Gang”, banda giovanile di teppisti irlandesi appartenenti alla working class, che imperversa nell’east-end di Londra. Negli anni cinquanta, i “Teddy Boys”, anch’essi appartenenti alla working class, cominciano a frequentare gli stadi e cercano di recuperare i valori di inizio secolo, come il maschilismo ed una certa rudezza nei modi. Si registrano I primi episodi di violenza sui convogli ferroviari che riportano le tifoserie a casa. Negli anni sessanta e settanta, si affaccia una nuova tipologia di tifoso, che si appropria delle curve degli stadi, le così dette “ends”. Sono gli “Skinheads”, con i capi rasati, sciarpe del colore delle squadre, giubbotti imbottiti e anfibi appuntiti. Lo stadio diventa un luogo di aggregazione, dove domina la violenza e la legge del più forte; ben presto le “football ends”, le tribune dietro le porte degli stadi, diventano territorio di riserva per violenti, e prendono nome. Così la end del Liverpool sarà la “Kop”; quella dell’Arsenal la “North Bank”; quella del Chelsea la “Shed”; e la “Stretford” quella di Manchester, sponda United. Si assiste a vere e proprie battaglie fra tifosi, con lo scopo di prendere la end degli avversari; sono assalti per mettere in fuga il gruppo nemico. Negli stadi cominciano a vedersi imponenti schieramenti di polizia, spesso a cavallo e sono introdotte le telecamere a circuito chiuso. Negli anni ottanta alcune tifoserie prendono contatti con il Fronte Nazionale di estrema destra che individua nelle ends un possibile serbatoio di reclutamento politico. Nel corso di quegli anni i tifosi inglesi diventano una grave minaccia in tutti gli stadi d’Europa. Il 29 maggio 1985, allo stadio “Heysel” di Bruxelles, in occasione della finale di Coppa Campioni fra Liverpool e Juventus, un tipico attacco della tifoseria della Kop, - a cui si era unita quella pericolosissima del Chelsea, formata dai tristemente famosi “Headhunters”, i cacciatori di teste - allo scopo di spaventare gli avversari al grido di “take an end”, uso comune in Inghilterra ma sconosciuto in Italia, impaurisce e getta nel panico i tifosi juventini presenti nel settore Z dello stadio. Questi tifosi, organizzatosi la trasferta in modo autonomo, sono stati separati da due semplici reti metalliche alte un metro, dai tifosi inglesi. E il dramma! I tifosi italiani nella fuga, si accalcano contro un muro di recinzione che crolla; molti rimangono schiacciati dalla folla. Altri, per evitare di rimanere intrappolati, si gettano nel vuoto. Le forze dell’ordine belghe dimostrano nell’occasione la loro impreparazione ed inadeguatezza. Il tragico bilancio sarà di trentanove morti, di cui trentadue italiani. Nei giorni seguenti, l’Uefa esclude le squadre inglesi a tempo indeterminato dalle Coppe europee. L’ostracismo durerà fino all’anno dei mondiali italiani, dopo che l’anno precedente, un'altra tragedia aveva scosso l’opinione pubblica inglese e quella di tutto il mondo. A Sheffields, nello stadio “Hillsborough”, in occasione della semifinale di Coppa d Inghilterra fra Liverpool e Nottingham Forrest, clamorosi errori organizzativi hanno causato la morte di novantasei persone. Questi poveri tifosi, moltissimi dei quali giovanissimi, rimangono schiacciati a causa dell’incredibile calca che si determina in un settore dello stadio, il “Leppings Lane”, capace di contenere fino a duemila posti; determinante per il suo infausto esito, la decisione di permettere, a pochi minuti dall’inizio dell’incontro, l’affluire in quel settore di migliaia di tifosi rimasti fuori dallo stadio.
Nascono da quel tragico evento le misure straordinarie grazie alle quali, il governo di Margareth Thatcher riuscirà a debellare la patologia endemica del tifo violento negli stadi inglesi. Il famoso “Taylor Report”, porta ad un investimento iniziale di 350 milioni di sterline per costruire o ristrutturare gli stadi, con obbligo per le società di prevedere soli posti a sedere, eliminando altresì le barriere tra campo di gioco e tribune. Le società vengono inoltre responsabilizzate anche mediante la gestione diretta del servizio di sicurezza interno agli impianti, operato da steward e non più dalla polizia, che riduce in tal modo dell’80% la propria presenza in occasione di gare. Altre misure predisposte riguardano Il divieto di vendere alcolici fuori dagli stadi ed il divieto da parte delle società di intrattenere rapporti con i propri tifosi. Sono previsti processi per direttissima e celle negli stadi per i violenti. Nasce il sistema “Crimestoppers”, con un numero verde a disposizione per chiamate anonime che segnalano episodi di violenza e conseguente ricompensa ai cittadini che permettono la cattura dei teppisti. Viene creato da parte di Scottland Yard il “National Football Intelligence Unit”, squadra speciale anti hooligans, con agenti dedicati ad ogni squadra che viaggiano al seguito della tifoseria e che porta alla conseguente schedatura dei tifosi violenti. A tutto ciò si aggiunge la gogna mediatica che colpisce gli hooligan, con la stampa pronta a pubblicare foto e filmati dei tifosi che si macchino di violenza. E’ stato un processo in cui si è inciso culturalmente su un fenomeno di massa apparentemente irrisolvibile; nei successivi vent’anni i club d’oltremanica investiranno 3,3 miliardi di sterline in infrastrutture, costruendo 29 nuovi stadi. I prezzi dei biglietti lieviteranno enormemente. L’attenta strategia, iniziata con Margareth Thatcher, ha sortito l’effetto di allontanare la working class dalle gradinate, a favore di un pubblico appartenente alla middle-class, optando per un ambiente più adatto alle famiglie rispetto a gruppi di facinorosi spesso ubriachi. Oggi lo spettacolo della Premier league è il più apprezzato ed il meglio pagato dai network televisivi internazionali. La violenza non è certo scomparsa nel Regno Unito; è stata delocalizzata in altri contesti: pub, boulevard di periferia, discoteche; purchè lontana dalle telecamere dello spettacolo meglio pagato al mondo.
Ciao
Per scegliere la mascotte dei mondiali, fu lanciato un concorso che riscosse una partecipazione entusiastica: giunsero più di sessantamila elaborati. Una giuria, che includeva fra gli altri Sergio Pininfarina ed Armando Testa, scelse il burattino con mattoncini tricolore ideato da Lucio Boscardin. Per scegliere il nome, il Totocalcio promuove una votazione fra cinque preselezionati: Ciao, Amico, Bimbo, Beniamino e Dribbly. Giungono oltre trenta milioni di segnalazioni; la sera del 25 giugno, la mascotte fu ufficialmente battezzata Ciao, la parola italiana più diffusa nel mondo.
La Delusione
L’Olanda rappresenta la sorpresa negativa del torneo. Dopo aver vinto in modo entusiasmante i Campionati Europei due anni prima, e dopo essersi qualificata agevolmente alla fase finale del mondiale, nel gruppo F di qualificazione agli ottavi, affronta l’Egitto, l’Inghilterra e l’Irlanda del nord, non andando oltre a tre non esaltanti pareggi. Nell’ottavo disputato a Milano domenica 24 giugno, affronta la Germania Ovest in una sorta di derby milanese, vista la presenza dei tre interisti Brehme, Matthaus e Klinsmann nella Germania, e dei milanisti Rijkaard, Gullit e Van Basten nelle fila dell’Olanda. Gli “Orange” vengono sconfitti ben al di la del risultato di 2-1, in un match cattivo nel quale vengono espulsi Voeller e Rijkaard, venuti alle mani. I tre giocatori olandesi sono fuoriclasse assoluti e stanno dominando con il Milan di Sacchi il panorama europeo. Ruud Gullit, Marco Van Basten e Frank Rijkaard rappresentano il meglio del calcio olandese, tre lustri dopo la generazione dei Cruijff, dei Neeskens e dei Krol. Alti circa 1,90, sono la versione extralarge di quei grandi campioni, dimostrazione plastica dell’evoluzione del calcio verso una ipertrofia dei corpi, impensabile solo alcuni anni prima. Arduo trovare un simile concentrato di tecnica, forza fisica, rabbia agonistica, abbinate a personalità da maschio “Alfa”. Dal 1987 al 1992 compaiono di continuo nelle prime tre posizioni della classifica del Pallone d’Oro, collezionando 4 primi posti (tre volte Van Basten ed una Gullit),1 secondo posto (Gullit), e 2 terzi posti ( Rijkaard). A volte il confronto con gli avversari risulta addirittura imbarazzante, tanto è il loro strapotere tecnico e agonistico. Se al trio “orange” aggiungete la classe di Baresi e Donadoni, la folgorante presenza di Maldini, lo stile inimitabile dei Savicevic e dei Boban, la personalità e la tecnica di Costacurta, Massaro, Ancellotti e Tassotti, il tutto amalgamato dalla lucida follia di Arrigo Sacchi, ecco in gran parte spiegato il Milan di quel periodo. Ancor maggiore quindi la delusione rappresentata da una nazionale, in cui militano anche altri buoni giocatori: da Winter, a Vanenburg, da Koeman, a Kieft.
Improvvisata
La nazionale del Costa Rica ha raggiunto la sua prima qualificazione ad una fase finale del Campionato del mondo. Dall’Italia non si riesce a comunicare con il centro federale situato nella capitale San Josè. Non arrivano comunicazioni ufficiali che prevedano con sicurezza la data dell’arrivo della delegazione del centro America. Finalmente il console del Costa Rica comunica la fatidica data: il 28 maggio. Grande sconcerto da parte del COL nell’apprendere che l’8 maggio, gli uomini del C.T. Bora Milutinovic sono visti aggirarsi all’interno dell’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma, inaspettati ospiti, con venti giorni di anticipo rispetto a quella che doveva essere la data di arrivo.
Il Costa Rica risulterà una delle più piacevoli sorprese del torneo, riuscendo a qualificarsi per gli ottavi di finale, dopo aver battuto Svezia, per 2-1, e Scozia, per 1-0. Perderà con la Cecoslovacchia 4-1 nell’ottavo disputato allo stadio “San Nicola” di Bari.
Milano e la moda
La moda eccessiva e colorata della “Milano da bere”, legata alla campagna pubblicitaria dell’amaro Ramazzotti, e simbolo dell’ “edonismo reaganiano” degli anni ottanta, secondo l’ efficace locuzione coniata dal giornalista Roberto D’Agostino, si affaccia nell’enclave calcistica durante la cerimonia di inaugurazione. Le indossatrici introducono bellezza ed eleganza. Rosse come le rose, le ragazze dello stilista Valentino sono il simbolo dell’America; nere, le donne di Missoni, come l’Africa dei tam-tam; gialle, le ragazze di Mila Schoen, esotiche come principesse indiane; verdi, come l’erba del prato dello stadio, le modelle di Ferrè, simbolo dell’Europa. Sono presenti all’inaugurazione quattro Capi di Stato: Francesco Cossiga, l’argentino Carlos Menem, il camerunense Paul Biya ed il brasiliano Collor de Mello.
La Danza
Quella improvvisata dal camerunense Roger Milla, dopo il suo goal contro la Romania, a Bari il 14 giugno. Milla balla a ritmi di “Makossa”, sorta di Rumba Africana molto popolare nel suo paese. Davanti alla bandierina del calcio d’angolo, lo show del camerunese è un atto liberatorio, spontaneo, che allarga gli orizzonti mentali e trasmette a tutti un po’ di “mal d’Africa”.
Il Calcio
La nazionale della Jugoslavia, per l’ultima volta unita prima della prossima frantumazione, si è presentata ai mondiali senza la sua giovane stella, Zvonimir “Zorro” Boban. Un mese prima dell’inizio di Italia 90’, in occasione della sfida di campionato fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado, le due tifoserie, i “Bad Blue Boys” di Zagabria ed i “Delijè di Belgrado, questi ultimi guidati da Zeljko Raznatovic – a breve tristemente noto col nome di Comandante Arkan -, notoriamente divise da un’annosa rivalità, prima che l’incontro abbia inizio vengono in contatto. Ne scaturisce una guerriglia con la polizia a maggioranza serba, che carica i tifosi di casa. Sul campo i giocatori della Stella Rossa riescono a raggiungere gli spogliatoi senza danni, mentre alcuni calciatori della Dinamo rimangono feriti. Boban, capitano della Dinamo Zagabria, ripreso dalle telecamere si attarda sul terreno di gioco; lo si vede chiaramente difendere un giovane tifoso di casa aggredito dalla polizia e lo si distingue mentre sferra un calcio ad un poliziotto serbo. Viene squalificato dalla federazione jugoslava per nove mesi. Quel calcio da simbolicamente inizio alla guerra di indipendenza. Boban, dovrà rinunciare ai mondiali, ma diviene un eroe nazionale per i croati.
Stadi: una vicenda italiana
Nel bilancio di previsione del 2011 di palazzo Chigi, c’è un capitolo di spesa che riguarda mutui accesi per costruire gli stadi in occasione dei mondiali di Italia 90’: 55 milioni di euro.
Per opere edilizie previste su tutto il territorio della penisola in occasione della manifestazione italiana, lo Stato prevede un investimento di circa 3000 miliardi di lire per costruzione ed ammodernamento degli stadi; 450 milioni di lire per strutture alberghiere ed altre opere strutturali; infine 150 milioni per tecnologie. Questi preventivi di spesa lieviteranno molto, e risulteranno aumentati di circa il 70%, nel momento in cui saranno consuntivate le spese effettivamente sostenute.
Molte opere previste risulteranno incompiute: si pensi all’albergo a Ponte Lambro, in provincia di Milano, iniziato e mai terminato; oppure alla stazione ferroviaria romana di Farmeto, costo originario 15 milioni di lire, che viene utilizzata solo per quattro giorni. Ma l’esempio paradigmatico è lo stadio Delle Alpi di Torino; quasi 70.000 posti a sedere, una pista di atletica che allontanava molto la visibilità del terreno di gioco al pubblico. Costato 226 miliardi di lire, sarà demolito diciotto anni dopo per costruire un nuovo stadio di proprietà della Juventus.
Anche il San Nicola di Bari, progettato da Renzo Piano, si rivelerà un’opera sovradimensionata per le esigenze della città e le aspirazioni calcistiche della squadra locale.
Pesante fu pure il tributo umano pagato per tutte questi lavori: ventiquattro morti e circa settecento feriti.
IL CAMMINO DEGLI AZZURRI
L’Italia si presenta al mondiale dopo la disastrosa prova dell’edizione messicana e dopo il discreto Campionato europeo disputato in Germania due anni prima, che ci aveva visto approdare in semifinale, battuti dall’URSS. Il Commissario Tecnico dall’8 ottobre 1986, è Azeglio Vicini, passato attraverso la felice esperienza dell’Under21, compagine che esprimeva un gioco di buona qualità con ottimi interpreti, alcuni dei quali ritroveranno il loro allenatore nella nazionale maggiore.
Il calcio italiano in quegli anni sta vivendo un momento d’oro a livello di club. Gli stranieri sono tre per squadra: i russi Zavarov ed Alejnikov della Juventus; i tedeschi Brehme, Matthaus e Klinsmann dell’Inter; Maradona, Alemao e Careca del Napoli; Voller della Roma; Sosa della Lazio e soprattutto gli olandesi Gullit, Rijkard e Van Basten del Milan, sono il meglio del calcio internazionale dell’epoca. Proprio i rossoneri hanno vinto da poco la loro quarta Coppa dei Campioni, battendo nella finale di Vienna il Benfica per 1-0, concedendo il bis dell’anno precedente, quando si erano imposti ai rumeni dello Steaua Bucarest con un netto 4-0. Il campionato appena concluso e’ stato appannaggio del Napoli, al suo secondo tricolore, che, sul filo di lana, aveva superato di due punti il Milan dopo un appassionante duello.
Gli azzurri sono una nazionale dal tasso tecnico leggermente inferiore rispetto ai campioni del mondo di Spagna. Il portiere è Walter Zenga, dell’Inter. L’”Uomo Ragno”, questo il soprannome datogli dai tifosi interisti, continua la tradizione dei grandi numeri uno italiani. Combi a Ceresoli negli anni trenta; Sentimenti IV e Bacigalupo nei Quaranta; Ghezzi a Buffon negli anni cinquanta; Albertosi e Zoff negli anni sessanta e settanta. L’interista, subentrato a G. Galli, che aveva difeso la nostra porta durante i precedenti mondiali messicani, non sfigura rispetto ai predecessori. Buon senso della posizione, attitudine al comando del reparto arretrato, discreta capacità nelle uscite, Zenga risulta fortissimo in acrobazia, anche se a volte con qualche concessione allo spettacolo; non sempre è efficace invece negli interventi che lo impegnano in conclusioni radenti il terreno di gioco.
La coppia di marcatori è composta dagli interisti Giuseppe Bergomi e Riccardo Ferri. Il primo, capitano della formazione, e l’unico reduce dai mondiali spagnoli e disputa il suo terzo campionato mondiale. Negli anni non ha del tutto mantenuto le promesse di inizio carriera, quando sembrava avviato a diventare uno dei più forti difensori del mondo. Ha ridotto le devastanti incursioni offensive degli esordi, limitandosi ad interpretare, a buon livello, il tipico ruolo del difensore puro. Specialmente nel suo club, non è riuscito a diventare leader riconosciuto ed indiscusso, anche a causa del carattere introverso. Riccardo Ferri lo affianca nel ruolo di marcatore, sia nella squadra di club che in nazionale; difensore di ottime potenzialità, in possesso di grandi mezzi fisici, molto veloce e forte negli stacchi aerei, in possesso pure di un gran tiro col piede destro, denuncia durante la partita momenti di disattenzione e nervosismo, spesso fatali per le sorti della sua squadra. La difesa azzurra è completata dalla coppia del Milan, composta da Paolo Maldini e Franco Baresi. Il primo, figlio di Cesare, buon difensore negli anni sessanta ed allenatore della Nazionale Under 21, è un grande terzino; destro naturale adattato con ottimi risultati sulla fascia opposta, a soli ventidue anni ha già disputato più di venti partite in nazionale. Ha tutte le caratteristiche del campione ed è l’erede naturale di Giacinto Facchetti. La natura è stata generosa con lui: in possesso di un gran fisico e di ottima tecnica, abbina velocità e rapidità; le sue incursioni offensive risultano spesso letali per le difese avversarie. Difficile trovare lacune in questo grandissimo campione, che farà la storia della nazionale oltre che del suo club. Il suo compagno nel Milan Franco Baresi, è il leader difensivo della squadra. Fenomeno già dieci anni prima, il milanista è l’erede simbolico del povero Scirea, ricordandolo in certe movenze ed è l’erede tecnico del tedesco Beckenbauer, per la disinvoltura e lo stile inimitabile con la quale appoggia l’azione dei centrocampisti, terminando a volte la stessa con potenti conclusioni di destro. Dotato di un grandissimo senso della posizione e dell’anticipo, ha una impressionante rapidità nelle ripartenze palla al piede dalla propria linea di difesa; in poche falcate riesce a ribaltare il fronte di gioco, spesso mettendo l’attaccante nelle migliori condizioni per battere a rete, dopo averlo servito con radenti passaggi di interno o di esterno piede.
Il centrocampo prevede tre interpreti capaci all’occorrenza di scambiarsi la posizione.
Il mediano di fatica: oltre a garantire corsa, deve essere in grado di operare spostamenti orizzontali di copertura sulle fasce, in aiuto alla difesa; il ruolo è ricoperto da Ferdinando De Napoli del Napoli. Umile e generoso recuperatore di palloni, è infaticabile nel gioco di raccordo fra difesa e centrocampo possedendo l’attitudine naturale all’aiuto del compagno in difficoltà.
Il centrale di regia: deve avere attitudini sia nella regia a “tutto campo”, sia nell’appoggiare il gioco degli attaccanti; il ruolo è ricoperto da Giuseppe Giannini della Roma, ribattezzato “il Principe” dai tifosi giallorossi per l’eleganza nell’incedere. Dotato di ottima tecnica, bravo sia nelle triangolazioni veloci spesso concluse con tiri precisi, che nei lanci di lunga gittata, Giannini disputa un buon mondiale riuscendo a trovare una buona continuità di rendimento.
La mezzala di movimento: deve essere abile negli spostamenti verticali senza palla e capace altresì di presidiare la zona centrale del campo, fornendo una alternativa a Giannini, sia per il disimpegno dei difensori, che per l’effettiva impostazione del gioco d’attacco; questo ruolo propone diverse alternative: Carlo Ancellotti del Milan, ne offre un’interpretazione più statica ma di grande esperienza e solidità; Luigi De Agostini della Juventus, è un buon laterale mancino bravo negli sganciamenti offensivi, spesso conclusi con precisi cross dall’out oppure con conclusioni in porta; infine Nicola Berti dell’Inter, giocatore non sempre disciplinato tatticamente, ma in grado di garantire gran corsa possedendo fra l’altro un’ottima progressione; l’interista è anche un abilissimo incursore e spesso si materializza in attacco come centravanti aggiunto, pronto a concludere di piede o di testa l’azione offensiva della sua squadra.
A fianco dei tre centrocampisti agisce Roberto Donadoni del Milan. Ottima ala, praticamente ambidestra, è prevalentemente schierato sull’ out di destra, ma non disdegna di disimpegnarsi anche sulla fascia opposta. Giocatore molto tecnico, rapidissimo, in possesso di un dribbling ubriacante condotto prevalentemente in senso verticale, il milanista è l’elemento che può sparigliare le retroguardie avversarie per la capacità di superare l’avversario in duelli “uno contro uno”, creando situazioni di superiorità numerica.
L’attacco degli azzurri si compone di due elementi.
Il centravanti è Antonio “Totò Schillaci della Juventus. Ha esordito da poco in nazionale e sarà la grande sorpresa del mondiale. Il suo sguardo “spiritato” e quella espressione di apparente sorpresa che trasmettono i suoi occhi, rimarranno la fotografia del mondiale; una intera nazione adotta questo palermitano schivo e di poche parole. Dal punto di vista tecnico Schillaci ricorda in certi movimenti il suo corregionale Pietro Anastasi, acquistato all’età di vent’anni nel 1968 dalla Juventus, stregata da una sua tripletta in un famosissimo 5-0 inflittole dal Varese, squadra nella quale militava. La rapidità d’esecuzione è la sua caratteristica principale. In possesso di una buona velocità, specie nei primi metri, riesce a mettere in difficoltà i difensori con rapidi movimenti del corpo, spostandosi la sfera sul piede preferito, il destro, ed andando alla conclusione improvvisa con forti tiri che spesso colgono di sorpresa i portieri. Segna sei reti nel campionato mondiale, che può essere considerato il suo periodo di massimo fulgore, in una carriera tutto sommato breve. Entra in uno di quei stati di grazia che durano il breve arco di una manifestazione, non riuscendo più a ripetersi a quei livelli. Si pensi che delle sue sette reti complessive in nazionale, sei sono segnate a Italia ‘90. E’ capocannoniere e miglior giocatore del mondiale; a fine anno si classificherà addirittura al secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro, dopo Lothar Matthaus. A trent’anni, dopo aver disputato due stagioni incolori nell’Inter, si trasferisce in Giappone dove il suo mito è sopravvissuto al tempo, primo calciatore italiano a giocare nel campionato giapponese. Sarà accolto come un idolo e, nelle fila del club Jubilo Iwata, disputerà cinque buone stagioni.
Lo affianca in attacco Gianluca Vialli, reduce da una stagione non proprio brillante nella Sampdoria, nella quale ha segnato 10 reti in 22 partite. Si è rifatto nella finale di Coppa delle Coppe, giocata a Goteborg il 9 maggio; in quella finale due sue reti, segnate nel volgere di tre minuti nel secondo tempo supplementare, hanno permesso alla sua squadra di aggiudicarsi la coppa. Vialli è un attaccante di movimento, esuberante e forte fisicamente, in possesso di una buona velocità. Si fa apprezzare per i continui scambi di posizione con il compagno di reparto, a seconda delle circostanze R. Mancini, Schillaci, oppure Serena. La sua azione tipica è la progressione sull’out, con susseguente conversione per la conclusione in porta, specialmente col piede destro.
Alternative ai due titolari d’attacco sono l’interista Serena, e R. Baggio della Fiorentina. Serena è un attaccante vecchia maniera, piuttosto statico, che si fa molto rispettare in area di rigore, dove i suoi colpi di testa o le sue deviazioni volanti risultano spesso letali.
R. Baggio ha da poco perso la finale di Coppa UEFA; la sua Fiorentina è stata infatti battuta dalla Juventus in una finale tutta italiana. Baggio, non ancora “divin codino”, è il talento più fulgido del panorama calcistico nostrano, risposta italiana a Diego Maradona. Purtroppo una serie di infortuni, fra cui la doppia rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro, ne condizionerà in parte la carriera. Devoto buddista, appartenente da due anni alla corrente della “Soka Gakkai”, Baggio è un talento unico, nato per giocare al calcio e per far divertire i tifosi. Il suo è calcio d’artista, che oltrepassa schemi e tattiche. Difficile trovare paragoni con altri calciatori italiani del passato; limitandosi all’Italia, la classe di Rivera, l’abilità nelle punizioni di Corso, anche se calciate col piede destro, a differenza del grande mancino interista, il dribbling verticale di Causio. Ma quello che lo distanzia nettamente da questi giocatori, come da altri del passato, è la sua prolificità in zona goal, pari a quella di un grande centravanti; questo è l’elemento distintivo, che verrà rimarcato nel proseguo della carriera e che lo porterà a terminare il campionato per dodici volte in doppia cifra realizzativa. Forse Meazza negli anni trenta; ma il “Balilla” era più attaccante e, comunque, si trattava di un altro calcio, completamente diverso dall’attuale. In seguito Totti e Del Piero sicuramente lo eguaglieranno in capacità realizzatrici. Ma R. Baggio è stato il primo fantasista, il primo “n° 10”, a segnare così tanto in Italia. A livello assoluto, la sua immensa classe lo avvicina ai migliori giocatori di sempre, con l’unico neo nel carattere, non proprio da leader.
Sabato 9 giugno ore 21,00 Roma, stadio “Olimpico” Italia-Austria 1-0 (79’ Schillaci)
L’esordio degli azzurri
Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferri, Ancellotti (dal 46’ De Agostini) Donadoni, De Napoli, Vialli, Giannini, Carnevale (75’ Schillaci)
L’esordio dell’Italia avviene contro l’Austria che si era qualificata ai danni della Turchia e della Germania Est. Quella austriaca e’ una squadra dal modesto tasso tecnico, basata sui blocchi delle due compagini della capitale: l’Austria Vienna ed il Rapid Vienna. L’unico elemento che si eleva dalla media è il centravanti Anton “Toni” Polster, che abbiamo visto militare per un anno nel campionato italiano, nelle fila del Torino.
Gli azzurri giocano una bella partita che risolvono però solo nel finale, dopo aver sprecato tante occasioni da rete. Nei primi venti minuti di gioco, prima Giannini impegna il portiere Lindenberger con un tiro da lontano; poi è Vialli a sprecare a lato dopo aver approfittato di un errato retropassaggio della difesa austriaca; infine Ancellotti coglie il palo con un tiro dal limite dell’area. Il primo tempo termina senza altre emozioni. Nella ripresa assistiamo ad un forcing degli azzurri; Giannini spedisce di poco a lato di testa; successivamente sia Vialli che De Agostini vanno vicini alla segnatura. Ad un quarto d’ora dal termine, Vicini decide di far esordire Schillaci al mondiale: Il siciliano, entrato al posto di Carnevale, ripaga la fiducia del C.T. segnando il goal della vittoria azzurra; vediamo come: scorre il 79’ di gioco; Donadoni, accentratosi, gioca il pallone servendo in profondità Vialli, che si e’ smarcato sulla destra dell’area di rigore austriaca; il sampdoriano, dopo un rapido controllo a seguire di destro, effettua un preciso cross verso il centro area, dove “Totò” Schillaci, appostato fra i due difensori centrali austriaci, colpisce di testa e batte a mezz’altezza il portiere Lindenberger. Non ci saranno altre emozioni. L’Italia ha vinto, e lo stadio Olimpico può incendiarsi di vessilli tricolore.
Giovedì 14 giugno ore 21,00 Roma, stadio “Olimpico” Italia Stati Uniti 1-0 (11’ Giannini)
Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferri, Berti, Donadoni, De Napoli, Vialli, Giannini, Carnevale (dal 52’ Schillaci)
L’Italia incontra nel secondo incontro del girone di qualificazione agli ottavi di finale gli Stati Uniti, reduci da un clamoroso rovescio per 1-5, subito dalla Cecoslovacchia. Berti sostituisce l’infortunato Ancellotti. Gli azzurri hanno una partenza sprint e all11’ sono già in vantaggio. Sulla tre quarti avversaria Berti serve Donadoni che, di coscia, fa proseguire di prima all’indirizzo di Vialli; questi con una bella finta fa scorrere il pallone per Giannini che sta accorrendo alle sue spalle; il romanista, superati con un guizzo due difensori avversari, di sinistro batte Meola sul primo palo. Al 32’ gli azzurri hanno l’occasione per raddoppiare. Berti in una delle sue tipiche azioni a percussione, supera di slancio tre difensori venendo atterrato appena entrato nell’area di rigore dal centrocampista statunitense Caliguri; per l’arbitro, il messicano Mendez, non ci sono dubbi; è rigore. Si incarica di batterlo Vialli: breve rincorsa e piatto destro ad incrociare che spiazza Meola ma va a colpire il palo. La prima frazione di gioco termina senza altri sussulti. Dopo l’intervallo l’Italia cerca di controllare il gioco, riuscendovi anche per l’inconsistenza offensiva degli Stati Uniti, i quali, hanno però una grande occasione per raggiungere la parità: su una punizione da circa venti metri, Caliguri calcia di destro in modo violento; la palla si infila nella barriera predisposta dagli azzurri ed impegna seriamente Zenga che respinge sulla riga di porta; sulla respinta si avventa il centravanti Vermes, in anticipo sui nostri difensori e di sinistro da posizione leggermente defilata calcia in porta, ma Zenga è ancora bravo a ribattere il tiro col corpo; Ferri poi libera definitamente la nostra area di rigore. La partita finisce e l’Italia ottiene la matematica qualificazione agli ottavi; resta da definire se finirà prima o seconda nel proprio girone
Martedì 19 giugno ore 21,00 Roma, stadio “Olimpico” Italia Cecoslovacchia 2-0 (9’ Schillaci, 78’Baggio R.)
Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferri, Berti, Donadoni (dal 51’ De Agostini), De Napoli ( dal 66’ Vierchowod) , Schillaci, Giannini, Baggio R.
La Cecoslovacchia affronta gli azzurri dopo due vittorie, vantando nei nostri confronti una migliore differenza reti, che le permetterebbe di finire prima nel girone anche in caso di pareggio. I Ceki, non sono più lo squadrone vincitrice del Campionato Europeo nel 1976; la generazione dei Panenka, Ondrus, Masny, Nehoda, non ha trovato degni sostituti, se si eccettuano alcuni elementi dello Sparta Praga: il capitano Hasek, il centrocampista Nemececk e, soprattutto, il centravanti Tomas Skuhravy. Quest’ultimo, gigantesco terminale offensivo imbattibile nel gioco aereo ed in acrobazia, si mette in mostra in questo mondiale marcando fra l’altro cinque segnature, tanto da attirare l’attenzione del Genoa che lo acquista alla fine della competizione. Nel capoluogo ligure disputerà sei stagioni ad altissimo livello, mettendo a segno 58 reti in 163 partite e formando con l’uruguaiano “Paco” Aguilera una grande coppia offensiva. L’Italia presenta una novità in attacco: il ventitreenne R. Baggio della Fiorentina fa il suo esordio al mondiale. Lo scoglio ceko si dimostra meno temibile delle previsioni; al 9’ infatti glia azzurri si trovano già in vantaggio: su calcio d’angolo battuto da Donadoni, Giannini tenta una difficile conclusione volante di sinistro; ne viene fuori una battuta non “pulita”, col pallone che, invece di indirizzarsi verso la porta avversaria, compie un rimbalzo sul terreno tanto da sortire un assist involontario per Schillaci, il quale, prontissimo di riflessi, indirizza di testa in rete a mezza altezza sorprendendo il portiere Stejskal. Lo stadio Olimpico può inneggiare la “Ola”; l’Italia continua ad attaccare sulle ali dell’entusiasmo sfiorando il raddoppio prima con Baggio, poi con lo stesso Schillaci. Dopo l’intervallo gli azzurri si ripresentano subito votati all’attacco; corre il 59’: a seguito di un tiro di Donadoni ribattuto da un difensore, Schillaci entra in area sulla sinistra avvicinandosi alla linea di fondo campo; nell’accentrarsi, sposta la sfera di destro con un movimento rapidissimo venendo atterrato nettamente da Skuhravy. L’arbitro, il francese Quiniou, fa cenno di proseguire mimando il segno del tuffo; la reazione del “Totò” nazionale è un’altra fotografia di Italia 90’: quegli occhi spalancati che esprimono sorpresa e meraviglia, rimangono nella memoria calcistica di quel mondiale. Dopo un salvataggio del capitano Hasek su tiro di Giannini, al 65’ la Cecoslovacchia pareggia con un colpo di testa di Bilek, su assist di Skuhravy, ma l’arbitro annulla su segnalazione del guardalinee. Al 78’ gli azzurri trovano il meritato raddoppio; Baggio riceve la sfera da Giannini sulla linea centrale del campo defilato sull’out sinistro; dopo una veloce triangolazione con lo stesso Giannini, la mezzala viola converge verso il centro e supera di slancio un primo difensore, avviandosi deciso verso l’area di rigore; qui, compie una delle sue magie: all’avvicinarsi di un difensore, finge di superarlo sulla sinistra compiendo un passo in quella direzione, salvo poi spostarsi il pallone in una frazione di secondo sul piede destro e battere Stejskal con un tiro ad incrociare. Grande prodezza, che fa letteralmente esplodere gli oltre settantamila presenti allo stadio ed i milioni di tifosi davanti ai teleschermi. Rimaniamo a Roma, dove affronteremo negli ottavi di finale l’Uruguay.
Lunedì 25 giugno ore 21,00 Roma, stadio “Olimpico” Italia-Uruguay 2-0 (65’ Schillaci, 83’ Serena)
Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferri, De Agostini, Berti (dal 52’ Serena), De Napoli, Schillaci, Giannini, Baggio R. (dal 79’ Vierchowod).
In una serata calda, l’Italia affronta l’Uruguay dovendo rinunciare a Donadoni leggermente infortunato. In attacco è confermata la coppia Schillaci e R. Baggio. Gli uruguaiani sono un buona squadra, con diversi giocatori che militano nel nostro campionato: dai difensori Gutierrez del Verona e Perdomo del Genoa; agli attaccanti Aguilera del Genoa e Sosa della Lazio, mentre Fonseca sarebbe stato acquistato nell’estate dal Cagliari. La nazionale sudamericana è sempre un avversario molto ostico da affrontare, grazie al suo calcio arcigno ma al contempo molto tecnico; è forse la nazionale più “europea” fra quelle sudamericane, per l’atteggiamento tattico ed il modo di interpretare l’incontro.
Il primo tempo dell’Italia è ben condotto, ma il gioco aggressivo dei sudamericani non ci permette di essere pericolosi tranne che al 12’quando R. Baggio, ricevuta la sfera da Giannini sulla fascia destra, opera un cross per Schillaci che con una mezza rovesciata manda di poco a lato. Per il resto del primo tempo ne l’Italia ne l’Uruguay offrono altre emozioni.
Nella ripresa, al 52’ Vicini rinforza l’attacco inserendo Serena al posto di Berti. Subito dopo, su improvviso lancio di Ferri dalle retrovie, Schillaci, approfittando della prima vera disattenzione della difesa uruguaiana viene a trovarsi a tu per tu con il portiere Alvez, ma si vede respingere il tiro scagliato col destro da un grande intervento dell’estremo difensore. Finalmente i nostri attacchi vengono premiati al 65’; su un lungo rilancio difensivo, Baggio addomestica il pallone e, pur pressato da un difensore, riesce a far scorrere la sfera all’indirizzo di Serena; questi l’allunga di sinistro in profondità favorendo lo scatto di Schillaci che, dopo aver compiuto alcuni brevi “passettini”, lascia partire un gran tiro di sinistro che si insacca imparabile alle spalle di Alvez. La partita ora è nelle mani degli azzurri che trovano il raddoppio al’83’ con Serena, che di testa schiaccia in rete da centro area un calcio di punizione battuto da Giannini. E’ un altro tripudio per gli spettatori presenti all’Olimpico. Continuiamo la nostra marcia trionfale. Approdiamo ai quarti di finale senza aver ancora subito una rete. Affronteremo l’Irlanda del Nord, che si è sbarazzata della Romania di Hagi e Raducioiu, dopo i calci di rigore.
Sabato 30 giugno ore 21,00 Roma, stadio “Olimpico” Italia-Irlanda 1-0 (38’ Schillaci)
Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferri, De Agostini, Donadoni, De Napoli Schillaci, Giannini (dal 63’ Ancellotti), Baggio R. (dal 71’ Serena)
L’impegno contro gli irlandesi allenati dal grande stopper degli anni sessanta Jackie Charlton, fratello del più famoso Bobby, si presenta ostico per la proverbiale caparbietà dei nostri prossimi avversari, sorretti fino a qui da una invidiabile condizione atletica. Un settore dello stadio è riservato ai tifosi ospiti, giunti a migliaia dall’Irlanda. Il Regno Unito è rappresentato in questo mondiale dall’Inghilterra, dalla Scozia ed appunto dall’Irlanda del nord. Molti giocatori dei verdi d’Irlanda giocano nel campionato inglese: da Staunton e Houghton del Liverpool, a Mc Grath dell’Aston Villa; da Sheedy dell’Everton, a Townsend del Norwich. I nostri avversari sono imbattuti, pur avendo affrontato l’Olanda e l’Inghilterra, in un derby quest’ultimo disputato a Cagliari l’11 giugno e terminato 1-1.
All’inizio dell’incontro gli irlandesi si rendono pericolosi, impegnando Zenga con un colpo di test di Quinn su cross di Mac Grath. Gli azzurri si riprendono e controllano il gioco senza permettere più ai nostri avversari di impensierirci, Al 37’ Baggio si invola in dribbling superando tre avversari e servendo Schillaci, che, di prima, porge all’indietro in direzione di Giannini; costui, fatti tre passi, serve Donadoni che sta sopraggiungendo a sostegno sulla fascia sinistra; pronto controllo del milanista ed immediato tiro di destro che viene respinto di pugni dal portiere Bonner; sulla respinta si avventa il solito Schillaci, che di piatto destro sigla l’1-0. Il primo tempo non offre altre emozioni e si va all’intervallo con in tasca il biglietto di qualificazione per la semifinale.
Nella ripresa, al 52’, ancora Schillaci con un gran destro su calcio di punizione supera per la seconda volta Bonner, ma si vede i tiro respinto dalla traversa. Gli irlandesi tentano un forcing finale ma ogni loro tentativo risulta inutile; al 90’ è ancora Schillaci a segnare in contropiede, ma il suo goal viene annullato per un dubbio fuorigioco. E’ finita! Siamo in semifinale. A Napoli affronteremo l’Argentina, in una rivincita di Spagna 1982.
Martedi 3 luglio ore 20,00 Napoli, stadio “San Paolo” Italia- Argentina 3-5 d.t.s. e rigori (17’ Schillaci, 68’ Caniggia)
Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferri, De Agostini, Donadoni, De Napoli, Schillaci, Giannini (dal 75’ Baggio R.), Vialli (dal 70’ Serena)
La vendetta di Maradona
Partecipiamo per la quinta volta ad una semifinale di Campionato del Mondo. Le notti magiche stanno trascinando una intera nazione. C’è la speranza che, otto anni dopo il trionfo di Madrid, gli azzurri possano coronare con un successo un mondiale ben riuscito anche sotto l’aspetto organizzativo. Schillaci e R. Baggio sembrano ripercorrere le gesta di P. Rossi e Tardelli, ed a loro sono affidate le speranze di un intera nazione. C’è un protagonista annunciato, che alla vigilia del torneo doveva essere il trascinatore della squadra ma che, anche a causa di un infortunio, non ha saputo recitare questo ruolo: è Gianluca Vialli. A lui, non senza una certa sorpresa, il C.T. Azeglio Vicini affida il compito di affiancare Schillaci in attacco, rinunciando in partenza a R. Baggio. Per il resto la squadra è la stessa, con De Agostini preferito a Berti in mediana.
I nostri avversari sono giunti a Napoli dopo aver superato solo come migliore terza il gruppo di qualificazione, sorprendentemente sconfitti dal Camerun nella partita d’esordio. Nell’ottavo di finale disputato il 24 giugno a Torino, ha eliminato fortunosamente il Brasile. I Carioca hanno letteralmente dominato l’incontro, colpendo due pali con Dunga ed Alemao e mancando facili occasioni con Careca. Quando mancavano dieci minuti al termine, un contropiede condotto da Maradona permetteva a Caniggia di involarsi solo verso il portiere Taffarel, driblarlo e segnare a porta vuota. Nel quarto di finale giocato il 30 giugno a Firenze, gli argentini se la devono vedere con la Jugoslavia, che propone una delle sue squadre più competitive di sempre, forte dei fuoriclasse della Stella Rossa di Belgrado, Stojkovic, Savicevic e Prosinecki oltre che della non più giovane ala Susic, del Paris Saint-Germain. Gli iugoslavi rimangono in inferiorità numerica già alla mezz’ora per l’espulsione del difensore Sabanadzovic e la partita si protrae sullo o-o fino ai rigori, dove l’Argentina si impone per 3-2.
La nazionale albiceleste è inferiore sia a quella campione del mondo del 1978, sia alla squadra dell’edizione spagnola. La difesa è guidata da Ruggeri, centrale del Real Madrid, ottimo difensore pericoloso nei suoi sganciamenti offensivi. I difensori Olarticoechea, Serrizuela e Simon sono dei discreti comprimari. Il portiere è Goycochea che, subentrato all’infortunato Pumpido, si dimostra all’altezza e disputa un buon mondiale. Il centrocampo è composto da buoni giocatori fra cui si distinguono Burruchaga del Nantes e Basualdo dello Stoccarda. L’attacco offre i suoi elementi migliori: il forte ventitreenne Caniggia dell’Atalanta, è la punta di diamante del complesso. Non manterrà negli anni le promesse degli esordi, quando la sua straripante velocità – vantava un passato da velocista in atletica -, unita ad una buona tecnica, faceva prevedere per lui grandi scenari. Dezotti della Cremonese, e Balbo dell’Udinese, sono due buoni attaccanti non certo paragonabili però ai Kempes e Luque di alcuni anni prima. Infine c’è lui: Diego Armando Maradona. Lo abbiamo lasciato deluso ed in lacrime allo stadio “Sarria” di Barcellona in un caldo pomeriggio estivo del 1982. Dopo aver trascorso due annate al Barcellona, in cui vinse una Coppa de Re e dove subì un grave infortunio causato dal difensore basco Giokoetxea, che lo condizionerà non poco nel prosieguo di carriera, avendogli tolto il 30% di mobilità della caviglia destra, viene acquistato dal Napoli di Ferlaino per tredici miliardi di lire. Maradona diviene ben presto l’idolo di una intera città, conducendo i partenopei alla vittoria in due campionati, di cui l’ultimo appena concluso. Sotto il Vesuvio Maradona si aggiudica anche una Coppa Italia ed una Coppa UEFA. Napoli rappresenta il suo luogo d’adozione e tutte le contraddizioni di questa bellissima città si riflettono in lui. Un certo temperamento argentino, miscuglio di tristezza, risentimento ed orgoglio, si integra alla perfezione con le caratteristiche dell’ambiente, creando un sentire comune condiviso ed un sentimento di aperta rivalità contro il sistema calcio e lo strapotere degli squadroni metropolitani del nord. Il “Pibe d’Oro” intanto, come calciatore è maturato tatticamente ma è soprattutto diventato il leader indiscusso dello spogliatoio, prendendosi molte volte sulle spalle l’intera squadra e conducendola oltre le secche di crisi temporanee determinate dagli scadimenti di forma dei compagni. Col tempo ha perso parte dell’agilità che lo aveva contraddistinto nei primi anni di carriera, anche a causa di una morfologia particolare e ad una certa tendenza ad accumulare grasso. In compenso è diventato essenziale nelle giocate ed esiziale sui calci da fermo.
Un capitolo a parte merita quanto Maradona esibì ai mondiali di Messico 1986. Quei campionati furono la consacrazione definitiva per il calciatore argentino, capace di prodezze veramente uniche e forse irripetibili a certi livelli. Le magie di “Dieguito” nuovo capitano dell’Albiceleste contro l’Inghilterra nei quarti di finale e, contro il Belgio in semifinale, entrano di diritto nella storia del calcio. Nessun giocatore prima di Maradona riuscì a determinare l’evolversi delle partite di un mondiale in maniera così profonda; il secondo goal contro l’Inghilterra è probabilmente la più bella rete mai segnata in un Campionato del mondo; è una rete che tutti i bambini sognano di segnare; ed è un goal che chissà quante volte è stato marcato e chissà da quanti: ma sulla spiaggia, in un giardino tra amici o in remoti campi di periferia. Maradona ci riesce nella massima competizione, in campo avverso e con gli occhi di tutto il mondo addosso. Entra di diritto con Pelè nell’Olimpo dei Super. Tutti gli altri possono solo contemplarli col naso rivolto all’insù.
La partita ha finalmente inizio e si capisce che Azeglio Vicini non ha studiato una marcatura particolare per Maradona; sulle sue tracce va Bergomi, mentre Ferri si occupa di Caniggia; quando i due argentini si scambiano le posizione, i nostri difensori rimangono al loro posto. Al’8’ Maradona porge a Basualdo che vede Burruchaga; pronto tiro di destro e Zenga devia in calcio d’angolo. Al 17’ Schillaci, decentrato sulla sinistra, si libera di un paio di giocatori argentini e porge a De Napoli che, di prima, serve in verticale Vialli; questi offre un triangolo all’occorrente Giannini che si incunea in area di rigore argentina dove, ancora Vialli è lesto a calciare in rete di destro; Goycochea respinge ma proprio sul piede destro di Schillaci che, con la tibia, calcia verso la porta rimasta sguarnita. E’ l’1-0. Il San Paolo esplode! Schillaci ha segnato il suo quinto goal e sembra proprio l’uomo della provvidenza, erede designato da Paolo Rossi: eroi predestinati che si materializzano dal nulla per permettere ad un popolo intero di vivere un sogno. L’Argentina sembra la vittima designata. Una fastidiosa formalità da espletare al più presto per potersi concentrare sulla finalissima di Roma. Tanto più che, nei restanti minuti del primo tempo gli azzurri controllano con tranquillità lo sterile forcing offensivo dei nostri avversari.
Durante l’intervallo i trentacinque milioni di telespettatori pregustano una finale che sembra già scritta; si cerca solo di prevedere chi, fra Germania Ovest ed Inghilterra, che giocheranno il giorno dopo a Torino la loro semifanale, potrà essere l’avversario degli azzurri.
Dopo l’intervallo il C.T. argentino Carlos Bilardo toglie un difensore, Calderon ed inserisce il centrocampista della Lazio Troglio. Il gioco dei sudamericani ne guadagna acquisendo più pericolosità. Al 55’, Giusti impegna al Zenga in un deviazione in angolo. Al 61’ è Caniggia, lanciato da Troglio, a sfiorare il goal, ma il suo tiro verso la porta e’ deviato provvidenzialmente da Ferri. Gli azzurri appaiono impauriti proprio a pochi passi dal traguardo e l’Argentina, guidata da Maradona se ne accorge e serra i ritmi. Al 67’ il patatrac! Maradona controlla la sfera nella tre quarti azzurra e serve sull’out di sinistra il terzino Olarticoechea; questi fa partire un morbido cross indirizzato verso l’area di porta. Quelli che seguono sono fotogrammi che porteremo a lungo impressi nella memoria. Primo fotogramma: si vede la testa bionda di Caniggia che si eleva in anticipo su Ferri. Secondo fotogramma: vediamo Zenga, con la sua maglia grigia stile anni 70’, lanciarsi in uscita sul pallone. Terzo fotogramma: sempre Caniggia, con una leggera rotazione del corpo sta colpendo la sfera di nuca, con Zenga e Ferri in dolorosissimo ritardo. Ultimo fotogramma: distinguiamo Caniggia che si appresta a correre per manifestare la propria esultanza e, soprattutto, la sagoma di spalle di Ferri che lo slancio ha portato fuori dal terreno di gioco, quasi in una simbolica e surreale corsa verso un altrove indefinito. La palla intanto è rotolata lentamente in rete. Vicini cerca di scuotere la squadra, che ha subito il primo goal di questa rassegna mondiale, sostituendo il deludente Vialli con Serena e solo al 28’ si decide ad inserire R. Baggio al posto di Giannini. Un’ovazione accoglie il suo ingresso in campo. Negli ultimi minuti dei tempi regolamentari si registra una’occasione per De Agostini, respinta di pugno da Goycochea e poco altro. Si va ai supplementari. La squadra italiana appare scossa nel morale ma all’11’Donadoni viene atterrato al limite dell’area: la punizione viene calciata benissimo da Baggio con un destro ad effetto; purtroppo il portiere argentino, con un grande intervento devia la sfera oltre la traversa. Poco dopo Giusti viene espulso per un fallo a gioco fermo su Baggio. Il primo tempo supplementare si prolunga incredibilmente per 8’ oltre il quindicesimo, per un svista dell’arbitro francese Voutrot. Nel secondo tempo supplementare la partita risulta molto spezzettata per l’evidente intento degli argentini di voler puntare alla lotteria dei rigori; i nostri preferirebbero evitare il rischio, ma molti appaiono stremati, in particolare Ferri vittima di crampi che non gli permetteranno di far parte della lista dei rigoristi. I tempi supplementari terminano senza altre emozioni. E’ destino che questa semifinale venga decisa dalla roulette dei tiri dagli undici metri.
I massaggiatori cercano di fare miracoli sui muscoli dei calciatori ormai allo stremo delle forze. Azeglio Vicini predispone la lista dei rigoristi; c’è qualche rinuncia, come spesso avviene in questi casi.
Il primo rigorista è Baresi, che segna con un forte tiro alla destra del portiere; per gli argentini, Serrizuela tira centralmente ma purtroppo Zenga non riesce a trattenere; è parità sul 2-2; R. Baggio tira a sua volta alla destra di Goycochea, che intuisce ma non trattiene la sfera; è la volta di Burruchaga, che spiazza Zenga alla sua destra; di nuovo parità sul 3-3; De Agostini tira anch’egli alla destra del portiere e segna il 4-3; Olarichoichea, spiazza Zenga sulla sua sinistra e riporta le sorti nuovamente in parità, sul 4-4; ora per gli azzurri si appresta al tiro Donadoni, che a differenza dei compagni decide di cambiare angolo e calcia alla sinistra di Goycochea; il portiere argentino si lancia in tuffo e respinge il pallone!; per gli argentini scocca l’ora di Maradona; dopo una breve rincorsa,”Il Pibe d’Oro” appoggia di sinistro alla destra di Zenga spiazzandolo; Ora l’Argentina è in vantaggio 5-4. Per gli azzurri, si appresta al tiro Serena. E’ l’ultimo dei cinque rigoristi designati da Vicini; purtroppo il suo tiro calciato forte ma centrale è parato dal numero uno sudamericano. E’ finita. Siamo eliminati! “Sono immagini che non avremmo mai voluto commentare” è l’amaro epilogo del telecronista Bruno Pizzul. “Italia noo !“ , titolerà la Gazzetta dello Sport il giorno dopo. Maradona, perfidamente, ha compiuto la sua vendetta attesa otto anni da quel caldo pomeriggio allo stadio “Sarria” di Barcellona; e l’ha fatto proprio davanti ai tifosi che ogni domenica lo acclamano. L’anno dopo sarà costretto a scappare nottetempo da Napoli, gravato dalle inchieste per uso di droga, presunti rapporti con la camorra ed evasione fiscale.
E’ finito il sogno delle notti magiche; rimane tanto amaro in bocca per essere stati eliminati senza aver mai perso sul campo. E un’Italia incompiuta quella che esce mestamente dallo stadio napoletano. Col sogno del mondiale finiscono anche gli anni ottanta, segnati da eccessi ed illusioni. Un’altra Italia continua ad essere incompiuta: da li a poco si risveglierà bruscamente dal sogno effimero indotto dal decennio che volge al tramonto. Tragedie e scandali attendono al varco un paese ancora bambino, che non si decide a crescere. Ma tutto ciò fa parte di un ‘altra storia; quella di questo mondiale deve ancora concludersi.
Sabato 7 luglio ore 20,00 Bari, stadio “san Nicola” Italia – Inghilterra 2-1 (72’ R. Baggio, 82’ Platt, 86’rig. Schillaci) Italia: Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Vierchowod, Ferrara, De Agostini (dal 64’ Berti), Ancellotti, Schillaci, Giannini, (dl 89’ Ferri) R. Baggio.
L’Italia conclude il suo mondiale con la finale di consolazione per l’assegnazione del terzo posto. Incontriamo l’Inghilterra sconfitta, come gli azzurri, solo ai calci di rigore dalla Germania Ovest. Vicini ripropone Baggio dal primo minuto e presenta Vierchowod della Sampdoria e Ferrara del Napoli nell’undici iniziale. La partita risulta piacevole ed è giocata a viso aperto da entrambe le formazioni. Il primo tempo non registra particolari emozioni, se si eccettua una conclusione di Ferrara deviata dal portiere Shilton.
Nella ripresa le reti: al 72’ Shilton si attarda nel rinvio dopo aver ricevuto un retropassaggio di Wright; R. Baggio gli sottrae la sfera, venendo atterrato dallo stesso estremo difensore; sulla carambola il pallone finisce a Schillaci che avanza e serve R. Baggio prontamente rialzatosi che, dopo aver superato Walker, indirizza nella porta rimasta sguarnita. Italia in vantaggio. All’82’, su cross di Dorigo dalla destra, Platt di testa schiaccia alle spalle di Zenga ristabilendo la parità. Passano quattro minuti e Schillaci, in una percussione palla al piede viene atterrato appena dentro l’area di rigore da Parker; l’arbitro, il francese Quiniou, decreta il rigore e Schillaci, che non era stato scelto fra i rigoristi contro l’Argentina, spiazza Shilton con un morbido tiro alla sua sinistra. Poco dopo Berti di testa segna il punto del 3-1, ma l’arbitro non convalida per un fuori gioco molto dubbio.
L’Italia finisce terza, ma è una magra consolazione. E’ forse mancato quel pizzico di fortuna necessario. Mancava però l’epica del 1982; e forse lo spessore umano di un gruppo di giocatori che in Spagna giocavano contro tutto e tutti.
LA PARTITA
Domenica 1 luglio a Napoli si affrontano per i quarti di finale Inghilterra e Camerun.
Gli inglesi sono imbattuti ed hanno eliminato nei quarti di finale il Belgio, grazie ad un goal di Platt al 119’. Sono una squadra solida senza un blocco base proveniente da un solo club. Dopo aver vinto sei Coppe Campioni consecutive, dal 1977 al 1982, le squadre inglesi non vincono la prestigiosa competizione da sette anni, risentendo dell’ostracismo imposto ai propri tifosi dall’UEFA. La squadra dispone di alcune buone individualità: l’inossidabile portiere quarantunenne Shilton, del Derby Country; il rapido difensore Walker, del Nottingham Forest, che vestirà per un anno la maglia della Sampdoria senza peraltro lasciare eccessivi rimpianti nei tifosi blucerchiati. La difesa presenta due personaggi “folcloristici”: il difensore dei Rangers Glasgow Butcher, classico “nomen omen” ( butcher significa macellaio), che fa onore al suo cognome con interventi spesso assassini sugli attaccanti avversari; ed il terzino Pierce del Nottingham Forrest, soprannominato “Psyco” per l’inequivocabile espressione del suo sguardo prima di scendere in campo. I centrocampisti Robson del Manchester United e Waddle dell’Olimpique Marsiglia, sono due ottimi giocatori; più regista con attitudine al goal il primo; più esterno d’attacco il secondo, dotato di un ottimo piede mancino. Altro centrocampista è Platt dell’Aston Villa, agile mezz’ala con un grande istinto per l’inserimento in zona goal; lo vedremo nel nostro campionato, prima nelle fila del Bari, poi in quelle della Juventus. L’attacco vede Barnes del Liverpool punta esterna. Il giamaicano entrerà nella storia dei “reds”e sarà per molti anni un idolo della Kop; gran fisico, ottima velocità di base, sapeva involarsi su entrambe le fasce per vertiginose discese, spesso concluse con potenti conclusioni a rete. Il centravanti è Lineker del Tottenham. Ottimo centravanti, secondo miglior realizzatore della nazionale d’oltremanica, Lineker si è fatto notare nei mondiali messicani ottenendo un ingaggio da parte del Barcellona, dove si ferma per tre stagioni vincendo una Coppa del Re ed una Coppa delle Coppe. Non molto alto, ricorda in certi movimenti Gerd Muller di cui è anche più agile, ma molto meno freddo e preciso in zona goal. Infine in quella nazionale gioca un giovane giocatore del Tottenham che ha da poco compiuto ventitré anni: Paul Gascoigne. Talento assoluto, dotato di un gran fisico che gli permette di resistere ai più rudi interventi dei difensori, possiede cambio di passo ed una abilità unica nel proporre dribbling verticali palla al piede, conclusi con assist o conclusioni in prima persona. Sarà acquistato dalla Lazio nel 1992 e lo vedremo militare nel nostro campionato per tre anni. La vita privata dissoluta, con ricorrenti problemi di alcolismo, impediranno all’inglese di raggiungere quei successi che il suo talento avrebbe meritato. Più volte arrestato, oggetto di frequenti ricoveri coattivi per episodi di violenza, Paul Gascoigne è tutt’ora impegnato nella partita più importante della sua vita: quella contro la dipendenza da alcool.
Gli africani del Camerun, guidati dal C.T. sovietico Valerij Nepomnjascij, rappresentano la rivelazione del torneo. Qualificatosi nella fase pre-mondiale ai danni della Nigeria, il Camerun ha battuto nella partita di esordio i campioni del mondo uscenti dell’Argentina per 1-0. Dopo aver sconfitto anche la Romania per 2-1, crollano nella terza partita contro l’URSS per 4-0 ma si qualificano ugualmente primi nel girone. Approdano ai quarti, dove incontrano la Colombia del portiere Higuita e del centrocampista del Montpellier Valderrama, giocatore statico ma in possesso di gran classe. Dopo i tempi regolamentari conclusi sullo 0-0, una doppietta di Milla rende vano la successiva segnatura di Redin, e porta per la prima volta una squadra africana ai quarti di finale di un Campionato del Mondo. Tutti sono esaltati dai “Leoni Indomabili”, come sono chiamati i giocatori in maglia verde. A tutt’oggi l’exploit dei camerunensi ai mondiali italiani resta lo standard da emulare per ogni compagine africana. Il gioco mostrato è infatti un ottimo mix di tecnica ed atletismo, con l’aggiunta di una disciplina tattica inconsueta per una compagine africana, grazie all’ottimo lavoro dell’allenatore Nepomnjascij. I verdi coprono il terreno di gioco in tutta la sua latitudine, spesso proponendo scambi di posizione sorprendenti ed improvvisi. Purtroppo rimangono dei limiti a livello di distrazione, fatali a questi livelli. Molti calciatori militano nei campionati europei: il portiere N’Kono dell’Espanol, dalle movenze feline: Gianluigi Buffon chiamerà Thomas suo figlio, in onore del portiere africano. Il capitano è Tataw del Tonnerre Yaundé, forte di testa, commovente nell’impegno inesauribile profuso sul terreno di gioco. A centrocampo troviamo i centrocampisti Kana-Biyk del Metz, e Makanaky del Toulon, elementi dotati di buona tecnica e molto mobili. L’attacco è rappresentato dal possente Omam-Biyk del Laval. Ma la grande sorpresa della squadra è il trentottenne Roger Milla. Dopo una buona carriera trascorsa nel campionato francese, soprattutto nelle fila del Saint-Etienne, Milla abbandona la nazionale dopo l’improvvisa morte della madre ed in polemica con la sua federazione, rea di non averle assicurato le promesse cure mediche in strutture private. Poco prima dell’inizio dei mondiali il Presidente del Camerun lo convince personalmente a far parte della spedizione. Nei successivi mondiali americani Milla diventerà, a quarantadue anni, il più anziano giocatore ad aver segnato nella storia dei mondiali; entrerà nella partita Russia-Camerun e dopo un minuto dal suo ingresso in campo segnerà un gran goal.
Quella sera, tutto lo stadio tifa per i “Leoni Indomabili”, che lasciano prudentemente in panchina il “vecchietto terribile” Milla, fin li autore di quattro reti. Gli inglesi si portano in vantaggio al 25’ con Platt, abile a schiacciare di testa un cross di Pierce. Nel secondo tempo entra Milla ed in tre minuti gli africani ribaltano il risultato; prima con un rigore battuto dal difensore centrale Kunde, già autore due anni prima del rigore decisivo che fece vincere la Coppa d’Africa al Camerun ai danni della Nigeria. Poi è EKele, su assist dello stesso Milla, a battere Shilton. Il sogno dei leoni si infrange contro un altro rigore, questa volta a favore dell’Inghilterra causato dal difensore Massing e realizzato da Lineker a 7’ minuti dalla fine. Nei tempi supplementari un altro penalty, sempre causato da Massing, permette a Lineker di portare alla semifinale gli inglesi.
I CAMPIONI
La Germania Ovest, allenata da Franz Beckenbauer, si presenta fra le favorite del mondiale. Dopo aver eliminato l’Olanda negli ottavi 2-1, la Cecoslovacchia nei quarti 1-0, si sbarazza ai rigori dell’Inghilterra in semifinale.
Nella finalissima di Roma, in una delle più grigie finali della storia dei mondiali, la Germania batte l’Argentina per 1-0. I sudamericani rimangono in inferiorità numerica a partire dal 65’ per l’espulsione di Monzon, primo giocatore espulso in una finale di Coppa del Mondo. La partita viene decisa da un rigore concesso dall’arbitro messicano Mendez per fallo non chiarissimo subito da Voeller e realizzato da Brehme quando mancano 5’ alla fine.
La Germania Ovest presenta al mondiale una formazione molto competitiva. Da sette anni le compagini teutoniche non vincono la Coppa dei Campioni; da tredici la Coppa delle Coppe (ultima vincitrice, in entrambi i casi l’Amburgo), e da undici anni la Coppa UEFA, con l’eccezione del Bayer Leverkusen, vincitore nel 1988.
Franz Beckenbauer propone uno schieramento tattico inconsueto per quei tempi, una specie di riedizione del “metodo” anni trenta, proposto in versione dinamica e con alcuni accorgimenti aggiuntivi. In quella formazione, il poco acclamato Guido Buchwald dello Stoccarda è l’elemento di equilibrio dell’intero complesso, svolgendo il doppio ruolo di centromediano aggiunto a protezione della coppia difensiva centrale e di centrocampista di sostegno alla coppia formata da Matthaus e Hassler. Quella tattica, che viene comunemente letta come un 5-2-3, poteva assumere le sembianze dell’odierno 4-2-1-3, credo di Mourinho e del Bayern onnivoro di Jupp Heinkes, dove l’elemento d’equilibrio è il secondo centrocampista della linea a due, ruolo spesso ricoperto da uno stopper (David Luiz nel Chelsea, Javi Martinez nel Bayern). Guido Buchwald, ex stopper dai piedi buoni, svolgeva egregiamente quel doppio incarico.
Nella Germania, l’estremo difensore è Illgner, del Colonia, un buon portiere che prosegue la tradizione di Maier e Schumacker. In difesa giostrano i terzini Berthold della Roma a destra, e Brehme dell’Inter a sinistra. Più che terzini vecchio stampo, sono laterali pronti a coprire l’intera fascia di appartenenza. Brehme soprattutto, è un grande laterale mancino in pratica ambidestro, potendo svolgere con grande efficacia e disinvoltura il ruolo su entrambe le fasce; proverbiali le sue scorribande offensive concluse con cross “a banana”, nella migliore tradizione dei laterali tedeschi. Augenthaler e Kohler del Bayern Monaco, sono la coppia centrale. Giocatori attenti e solidi, privi di fronzoli e velleità stilistiche, rappresentano una coppia molto affidabile ed affiatata. A centrocampo troviamo Hassler del Colonia. Costui è un piccolo fantasista, molto agile, in grado di superare l’avversario con disinvoltura e di rendersi pericoloso con conclusioni velenose e spesso vincenti. Durante l’estate sarà acquistato dalla Juventus, andando ad infoltire la schiera dei giocatori tedeschi che militano nella Serie A (altri tempi…). Littbarski del Colonia è l’altro elemento di raccordo fra centrocampo e attacco. Col tempo ha in parte perso la rapidità e l’imprevedibilità che lo distingueva agli esordi; in compenso ha acquisito esperienza e sagacia tattica. Klinsmann dell’Inter è l’attaccante di movimento, bravo ad aggredire spazi e profondità ed a scambiarsi spesso la posizione con il compagno di reparto. Buona tecnica, discreta progressione, l’interista ha anche una certa confidenza con la rete; giocatore molto generoso, spesso questa sua caratteristica lo porta a sprecare tesori di energie a discapito di una certa lucidità nelle conclusioni. Il terminale offensivo della squadra è Voeller della Roma. Centravanti di grande dinamismo, fa da continuo pendolo orizzontale nell’area di rigore sapendo fronteggiare i difensori indifferentemente sia sull’out destro, che su quello mancino. Forte fisicamente, riesce a “coprire” egregiamente col corpo la sfera rendendo la sua marcatura ostica per i difensori avversari. Molto tempestivo nei colpi di testa, ha come unica lacuna una velocità non eccelsa. Infine l’undici titolare è completato dalla stella della squadra: Lothar Matthaus dell’Inter. Prendete una nazionale forte e quadrata come quella tedesca; fatela guidare da un tecnico intelligente e carismatico come Beckenbauer; ora, a quella squadra aggiungete un calciatore dalle caratteristiche di Matthaus al massimo della forma come in quel mondiale: beh, quella squadra è molto facile che diventi Campione del Mondo….Per un paio di stagioni i tifosi interisti hanno potuto ammirare uno specie di folgore saettare sul prato di San Siro. Temperamento, tecnica, potenza, dinamite nel piede destro e una devastante accelerazione palla al piede: questo, in estrema sintesi Lothar Matthaus.
ISTANTANEE
E’ appena finita la partita di Napoli. I giocatori del Camerun sono stati eliminati dall’Inghilterra, dopo una grande partita ed un grande mondiale. In lacrime, fanno il giro del campo sommersi da un uragano di applausi. Fascino, spensieratezza e orgoglio di un popolo. Il calcio africano, fino a quel momento solo folcloristico sparring partner per gli avversari, è riuscito a spezzare le catene simboliche che lo relegavano al ruolo di semplice comprimario. Ha ottenuto dignità e rispetto! Ora i giocatori in maglia verde possono far ritorno a casa. Saranno per sempre ricordati come i “Leoni Indomabili” di Italia 90’