L'errore più grande commesso da Matteo Renzi è di aver dato di sè l'immagine di un leader lontano dal popolo che, per queste ragioni, continua a ritenerlo espressione e garante dell'establishment. Se davvero Renzi punta ad una piena riabilitazione, dovrà rassegnarsi a cambiare registro chiamando a raccolta le migliori intelligenze del paese. Non solo: dovrà capire che un vero leader sa unire il suo partito e che, soprattutto, un vero statista sa unire il suo paese. Lo tenga bene a mente, diffidando di tutti quei devoti carrieristi e ciambellani che si servono di lui fingendo di servirlo.
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Dopo le inevitabili fibrillazioni post-referendarie, la politica italiana sembra avere accettato l'ipotesi di condurre la legislatura alla sua naturale conclusione. E' facile, pertanto, immaginare che abbiamo davanti dodici, lunghi mesi di campagna elettorale che metterà in secondo piano i nodi, tuttora irrisolti, della nostra economia che nessun attore tenterà di sciogliere per non pagarne lo scotto alle prossime elezioni. L'avvento di Filippo Gentiloni alla guida del governo è servito a stemperare il clima politico del paese, uscito stremato da una interminabile campagna referendaria che ha decretato la sconfitta di una riforma e di un progetto politico. Dopo tre mesi di inquieto purgatorio, Matteo Renzi è tornato con la consueta baldanza per cui, malgrado l'aplomb e l'irenismo del premier in carica, è facile prevedere un nuovo innalzamento della temperatura politica del paese. Sia le interviste che l'intervento al Lingotto inducono, infatti, a ritenere che Renzi non abbia fatto quell'autocritica che era lecito attendersi. I toni sono stati quelli, già noti, di un leader spavaldo e divisivo che appare strutturalmente incapace di unire e che, per tali ragioni, preferisce circondarsi di persone di provata fedeltà. Il ritorno di Renzi si annuncia, pertanto, foriero di nuovi scontri, sia all'interno che fuori dal partito. Le primarie serviranno all'ex premier per riaffermare il suo primato nel Pd ma serviranno, soprattutto, per riaccreditarsi davanti al paese riguadagnando la ribalta perduta. La candidatura alle primarie del ministro Orlando aiuterà Renzi a frantumare l'opposizione interna lasciando a Emiliano lo spazio angusto di un dissenso che avrebbe, comunque, preferito evitare. In questo senso, è facile credere che Renzi avrebbe gradito che il governatore della Puglia seguisse gli altri transfughi così da poter imprimere al Pd quella svolta centrista che avrebbe portato lui a diventare l'asse del sistema politico italiano: non il partito, dunque, ma il suo leader, al centro del dibattito pubblico e di tutte le operazioni di governo del paese. Così non è stato e non sarà facile ora ricollocare un partito che, fino a quando avrà tra le sue file gli ultimi scampoli della vecchia sinistra, non potrà annettersi quella parte di elettorato moderato, di fede berlusconiana, che ha in uggia Matteo Salvini, troppo dozzinale per assurgere alla successione del Cavaliere. Ci avviamo, pertanto, ad una nuova stagione di polemiche che vedrà il cittadino sempre più distante da un mondo che, da lungo tempo, ha perso il polso della società civile. L'errore più grande commesso da Matteo Renzi è di aver dato di sè l'immagine di un leader lontano dal popolo che, per queste ragioni, continua a ritenerlo espressione e garante dell'establishment. Se davvero Renzi punta ad una piena riabilitazione, dovrà rassegnarsi a cambiare registro. Governare l'Italia non è come governare Firenze: dovrà, pertanto, farsi interprete di un progetto autenticamente “nazionale” in grado di raccogliere le migliori intelligenze del paese. Non solo: dovrà capire che un vero leader sa unire il suo partito e che, soprattutto, un vero statista sa unire il suo paese. Lo tenga bene a mente, diffidando di tutti quei devoti carrieristi e ciambellani che si servono di lui fingendo di servirlo.