New York, febbraio 1924. Howard, uno scrittore in ristrettezze economiche, riceve la visita di uno strano personaggio di nome Ehrich Weisz. I due non potrebbero essere più diversi: tanto riservato, solitario e al limite della misantropia Howard, quanto espansivo e vulcanico Ehrich.
-----------------
Howard consultava il vecchio libro preso in prestito con l’attenzione di una civetta che dal ramo scruta il mondo attraverso le tenebre. Accanto a lui, fogli pieni di appunti dalla grafia incomprensibile.
“Howie, come puoi leggere, in queste condizioni? Fa’ almeno che ti porti altre candele!”, disse Sonia.
“Mmm, va bene”, mugugnò Howard senza distogliere lo sguardo dall’antico testo egizio scovato in qualche scaffale della biblioteca di Brooklyn.
La laconicità del marito non sorprese Sonia. Aveva imparato a convivere con i monosillabi che contrappuntavano i suoi prolungati silenzi. Soprattutto, aveva compreso che i pensieri che occupavano la mente labirintica di Howard rappresentavano un ostacolo anche alle più elementari forme di socializzazione. Diviso fra il mondo interiore e quello esteriore, da tempo Howard aveva scelto a quale dei due rivolgere le sue attenzioni.
Tornata con le candele, Sonia diede un’occhiata al libro che stava consultando il marito e la sua attenzione fu attratta da alcuni misteriosi simboli trascritti sui fogli di appunti. Le si insinuò il pensiero di chiedere spiegazioni; poi rinunciò, convincendosi che una sua domanda inopportuna avrebbe indispettito Howard, alimentando in lui la sensazione di non essere compreso e allontanandolo da una sia pur vaga idea di condivisione.
Sonia si chiedeva spesso cosa impedisse a Howard di parlarle, la sera, a cena, di quello che aveva scritto, durante la giornata. Più volte gli aveva chiesto spiegazioni, a proposito degli strani nomi che un paio di volte era riuscita a decifrare dai suoi appunti. Le sarebbe piaciuto sapere di Dagon, o di Nyarlathotep. Ma aveva ricevuto nient’altro che risposte evasive, quasi che il solo evocare quei mondi avvolti da un’eterna penombra avesse avuto il potere di illuminarli. E la penombra era il regno d’elezione dell’uomo dal volto emaciato e pallido che sedeva di fronte a lei.
“Howie, ora va meglio, non credi?”, disse Sonia dopo aver aggiunto un paio di candele all’unica presente sul tavolo.
Howard si limitò ad annuire, continuando a consultare il pesante volume che sembrava contenere rivelazioni da cui potevano dipendere i destini dell’umanità.
Sonia intravedeva simboli ignoti che un po’ la turbavano, ma sapeva bene che era proprio il regno dell’ignoto ad attrarre Howard.
Quando si erano conosciuti era rimasta affascinata dai tratti signorili di quell’uomo così distinto; alto e magro, con le spalle leggermente ricurve, Howard le aveva ricordato uno di quei nobili privati del lignaggio che conferiva lustro alla loro esistenza.
Poi, dopo che si erano sposati e trasferiti nel piccolo e modesto appartamento nella zona di Red Hook, a Brooklyn, comprese, suo malgrado, che la gioia di vivere non faceva parte delle priorità di Howard.
Inutilmente aveva pensato che la riservatezza di quell’uomo, la sua timidezza, l’acuta sensibilità, potessero trarre giovamento da una relazione stabile. Col passare del tempo aveva concluso che era la vita reale stessa a non interessarlo.
Evadere. Per Howard era importante evadere; scappare nei mondi fantastici che popolavano la sua fantasia, lontano da tutto e da tutti. Ma se la condizione naturale di Howard era la solitudine, ora Sonia malediceva la scelta di sposare quel misantropo, e durante le notti insonni imprecava contro se stessa, perché la lontananza che avvertiva nel marito le stava diventando sempre più insopportabile.
E certo, le ristrettezze economiche nelle quali erano costretti a vivere non miglioravano la situazione.
Fu mentre Sonia rifletteva su tutto ciò che si sentì bussare alla porta.
Per la prima volta in quella serata Howard sollevò gli occhi dal vecchio libro e rivolse alla moglie uno sguardo interrogativo.
“Chi può essere, a quest’ora?” chiese Sonia, che poi, senza aspettare risposta, si diresse alla porta per rivolgere la stessa domanda all’ospite inatteso.
“Sono Ehrich Weisz!”, tuonò una voce stentorea, “Potrei parlare con il signor Howard, lo scrittore? Mi manda Edwin Baird, il direttore di Weird Tales”.
A quelle parole Sonia si volse verso il marito che nel frattempo l’aveva raggiunta nel tinello.
“Apri”, disse Howard, mentre sulle sue labbra aleggiò un pallido sorriso.
Sull’uscio apparve un uomo di bassa statura, di mezza età, con le guance arrossate dal freddo e i capelli castani che coprivano quasi del tutto la parte sinistra del volto.
“Mi scuso per l’intrusione inattesa, signori”, disse l’ospite, che poi, accennando un inchino aggiunse, “i miei omaggi, signora. Lei è lo scrittore, suppongo”, continuò, porgendo la mano a Howard che quasi indietreggiò, sorpreso dalla gioviale irruenza di quell’uomo.
“Sì”, rispose Howard, “e se la manda Baird, mi può seguire, prego”. Poi, dopo aver scambiato con Sonia un segnale che doveva appartenere a una sorta di codice familiare, Howard si allontanò con l’ospite.
Rimasta sola nel tinello, Sonia strinse le labbra e si sentì invadere da una tristezza amara. Poi scrollò il capo e decise di andare a coricarsi.
Arrivati in cucina i due uomini si scrutarono cercando di cogliere nello sguardo dell’altro indizi che potessero rivelarne la natura. Poi, dopo aver chiuso la porta, Howard ed Ehrich si sedettero al tavolo.
Howard disse: “La aspettavo, signor Weisz. Il signor Baird mi aveva annunciato la sua visita”.
L’ospite rispose: “Ecco, sì, beh, voglio essere subito franco, con lei, signore. Avrei preferito scrittori come Seabury Quinn, oppure Clark Ashton Smith, ma sembra che in questo periodo i loro impegni non riescano a conciliarsi con i miei, purtroppo”.
A quelle parole il congenito pallore del padrone di casa si accentuò al punto da farlo assomigliare a un fantasma. Dopo essersi visto pubblicare alcuni racconti su “Weird Tales”, Howard, per arrotondare le esigue entrate, si prestava a fungere da ghostwriter per coloro che non disponessero di tempo o talento sufficiente.
Essere però considerato inferiore a Quinn e Ashton Smith, era un vero affronto.
“Lei vorrebbe un racconto, giusto?”, sibilò con la testa bassa e lo sguardo fisso sugli appunti.
“Le dicevo dei miei impegni”, fece l’altro, che nel frattempo si era tolto il cappotto riponendolo a lato del tavolo. “Vede, in questo periodo non dispongo di molto tempo libero. Forse Edwin Baird le avrà parlato delle mie ricerche. Le avrà accennato a Margery, suppongo. Ecco, ultimamente tutti i miei sforzi sono concentrati nello smascherare, come dire, ogni sorta di falsi speculatori di illusioni”.
Quelle parole accesero una piccola luce negli occhi del padrone di casa che sollevò lo sguardo verso il suo ospite osservandolo. L’improvviso segno di interesse di Howard non fu colto da Weisz, che proseguì nel suo monologo con la disinvoltura di un commesso viaggiatore impegnato a mostrare le ultime meraviglie in materia di economia domestica a un gruppo di massaie ritrovatosi per l’occasione.
“Vede”, continuò Weisz, “non so cosa ne pensi, lei. Intendo degli improvvisati indagatori dell’occulto. Beh, a me pare che si stiano moltiplicando ogni giorno di più. Deve sapere che negli ultimi dieci anni il sottoscritto ha sviluppato una certa intolleranza nei confronti di questi individui. Medium, spiritisti da strapazzo, teosofi dell’ultima ora: non immagina, caro signore, quanti ciarlatani alla ricerca di facile pubblicità ho avuto il piacere di smascherare. E mi creda, sono più che convinto che la famosa signora Crandon non si distingua molto, da costoro”.
Howard corrugò le sopracciglia, e l’espressione di imperturbabile distacco del suo volto ebbe un impercettibile cedimento. Lui, sommo indagatore dell’ignoto, non sopportava chi, dall’ignoto, potesse trarre indebiti profitti, e il pathos che coglieva nelle parole del suo ospite accese in lui una scintilla di simpatia verso il buffo personaggio che gli sedeva di fronte, facendogli dimenticare le precedenti incaute parole.
II fare risoluto e disinvolto di quell’uomo, unito alla natura sanguigna, cominciavano a incuriosirlo.
“Il signor Baird le avrà parlato della mia passione per l’Egitto, immagino”, proseguì Ehrich Weisz, “ecco, mi piacerebbe farne parte; beh, in un racconto, si intende”.
In quel momento lo sguardo dei due uomini si posò sul vecchio tomo posto sul tavolo. Weisz fece per prenderlo ma venne anticipato da Howard che, con un rapido gesto, ghermì il libro stringendolo al petto come uno scudo.
“Quindi, se ho ben compreso, lei vorrebbe essere il protagonista del racconto, dico bene?”, chiese Howard continuando a stringere il libro.
L’ospite rispose: “Certo, mi piacerebbe molto. Questo, dopotutto, è il motivo della mia visita”.
“Bene, allora. Mi creda, signor Weisz, ne possono accadere di cose, sotto le piramidi”.
“Non ho motivo di dubitarne, anzi, ne sono convinto, e pendo dalle sue labbra, pardon, dalla sua penna, signore.”
Nelle successive due ore i due confabularono in modo fitto. Beh, fu soprattutto merito di Weisz. L’ospite ebbe modo di informare Howard sul lavoro che gli aveva procurato gran fama in tutto il mondo, raccontandogli alcune delle imprese che lo avevano visto protagonista nelle più importanti città del pianeta.
Mentre Howard prendeva appunti, il fervore del suo ospite non ebbe requie. Quel piccolo individuo sprigionava un’energia prodigiosa che sembrava trarre alimento da qualche fonte misteriosa e inaccessibile ai suoi simili, e più volte Howard aveva dovuto fermare un inesauribile flusso di parole.
Infine, adducendo il riacutizzarsi di uno stato febbrile che gli aveva procurato tormenti nell’ultimo mese, il padrone di casa diede a intendere di essere stanco, e che era giunto il momento dei congedi.
Howard disse: “Bene, siamo d’accordo, signor Weisz, tra non molto le invierò il racconto per la cifra pattuita e, se sarà di suo gradimento, lo potrà consegnare direttamente al signor Baird per la pubblicazione.
Ehrich Weisz rispose: “Molto bene, signore, davvero molto bene, sarà mia premura versarle il dovuto sul conto che mi ha indicato”.
I due uomini si avviarono all’ingresso. Prima di congedarsi, Weisz si raccomandò di portare i suoi saluti alla signora. Howard ringraziò e aspettò che l’ ospite fosse sceso dalle scale prima di richiudere la porta dietro di sé.
Poi, stremato, si avviò verso la camera da letto.
Dopo quella sera di febbraio del 1924, Howard ed Ehrich Weisz, meglio conosciuto come Harry Houdini, non ebbero altra occasione per incontrarsi. Alcuni mesi dopo, su “Weird Tales” apparve un racconto dal titolo “Sotto le Piramidi” a firma Houdini.
Solo molti anni dopo, nel 1939, la ristampa del racconto uscì finalmente con la firma del suo effettivo autore: Howard Philips Lovecraft.