E' domenica 4 marzo, ore 9: io sono davanti alle specchio dell'anta dell'armadio e mi sto annodando una cravatta rossa di mio padre. Ma scende oltre l'inguine, prova e riprova, non c'è niente da fare. Guardando nello specchio, mi accorgo che mio padre, dopo avere appoggiato la bicicletta, si dirige verso il panificio. Poco dopo sento bussare alla porta del negozio, vado ad aprire e vedo due “briganti neri” che mi chiedono: il sig Vanini? Segue
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E' domenica 4 marzo, ore 9: io sono davanti alle specchio dell'anta dell'armadio e mi sto annodando una cravatta rossa di mio padre. Ma scende oltre l'inguine, prova e riprova, non c'è niente da fare. Guardando nello specchio, mi accorgo che mio padre, dopo avere appoggiato la bicicletta, si dirige verso il panificio.
Poco dopo sento bussare alla porta del negozio, vado ad aprire e vedo due “briganti neri” che mi chiedono: il sig Vanini? Li squadro in un attimo, uno ha un paltorello corto all'ultima moda e il moschetto, l'altro ha un fucile 91, il cappotto lungo e le fasce alle gambe come si usava nella Grande Guerra 15/18.
”Mio padre si è recato dal suo vecchio datore di lavoro poiché, come vedete, il negozio è chiuso” (per 14 giorni, per ordine della annona, perchè mio padre, per alcune persone ammalate, confezionò del pane bianco).
E aggiungo: “Il panificio Noseda è in cima alla via Zezio”. Appena congedati, mi dirigo verso il panificio e vedo mio padre sopra il tetto del nostro microscopico pollaio. “Sono venuti due briganti neri a cercarti”, gli dico; e lui mi sussurra allarmato: “Ah sì? Vai, vai!”. Ritorno in camera e faccio ancora qualche tentativo di annodarmi per bene la cravatta rossa. Bussano ancora alla porta, naturalmente non lo hanno trovato, e mi dicono: “Il Noseda ha detto che tuo padre ha portato il pane al negozio della signora Ferro Amalia, accompagnaci!”. Il negozio si trova nella stessa via, 150 metri più in basso. I due entrano e si rivolgono alla prima persona che vedono ripetendo la stessa domanda. Mia madre risponde: “Ma è appena stato qui a portare il pane e se ne è andato”. I due si guardano in faccia, con fare interrogativo, ma forse non si sono resi conto che li ho beffati. Mia madre, allarmata, si dirige verso il panificio in cerca di mio padre, trova il nascondiglio, ma mi tiene all'oscuro. Dopo un'ora arriva un motocarro militare Guzzi con a bordo 14 Militi delle Brigate nere. Si sparpagliano, chi guarda nel forno dove si cuoce il pane, chi nel forno dove si brucia la legna e il carbone, chi entra in casa e ispeziona i cassetti del comò, e ancora chi ispeziona la credenza. “Ah, ecco!”, esclama il capitano, “in questa ciotola vi sono alcune monete da 10 cent e 5 cent di rame! Invece di darle alla patria affinchè si possano ricavare delle pallottole, questi accaparratori le accumulano di nascosto”. Con rapido gesto della mano si mette le monete in tasca. Mia madre spaventata li guardava senza battere ciglio. Sotto la carta che rivestiva il ripiano si trovava la bandiera rossa di seta pura, ben ripiegata. In camera trovano la mia macchina fotografica, una Bessa Voiglender. “Ecco!”, esclama il capitano, “questa serviva per fare le foto e darle al nemico”. Faccio presente che la macchina è scarica e non vi è nessuna foto in casa ma, ciò malgrado, la sequestrano ugualmente.
Io mi metto a piangere, a quel punto il capitano urla: “Invece di piangere, pensa ai tuoi coetanei che con grande coraggio e sprezzo della vita stanno combattendo contro gli invasori!”. Poichè gli americani erano arrivati in prossimità di Volterra, dove abitava mio cugino Giorgio, io l'ho immaginato con i pantaloni bianchi della prima comunione, come appare nell'unica foto che possedevo, contrastare l'avanzata degli americani. L'immagine era alquanto buffa e così io ho smesso di piangere. Terminata l'ispezione mi portano alla casa del Fascio per interrogarmi: “Dove si trova tuo padre?”. Qualsiasi direzione io potessi indicare poteva essere quella scelta da mio padre, avevamo parenti da tutte le parti, in Tremezzina, a Milano, verso Brunate e sulle montagne del lago. Dopo alcuni minuti, inventano uno stratagemma. Chiamano un partigiano che si trovava in una stanza attigua, lo fanno sdraiare per terra e fingono di dargli dei pugni nello stomaco. Lui recita bene la parte e si mette a gridare, riprende l'interrogatorio, ma io non mi scompongo. Allora, con fare suadente e gentilissimo, mi dicono: “Sai, noi vorremmo fare una partita a carte con il tuo papà”; “Sì, sì”, riprende un altro, “noi siamo amici di tuo papà”. Alla fine della commedia, ritorno a casa. Mia madre, intanto, ha trovato il nascondiglio: si era immerso nella fuliggine che dopo molti anni si era depositata sopra il forno nel quale si brucia la legna. Una sera al buio lo accompagnamo in via Anzani 39 dove avevamo una stanza per conservare degli alimenti. Ma sullo stesso piano vi abitava un fascista.Visitandolo
giornalmente era necessaria la massima accortezza. Dopo 15 giorni riusciamo a trovare il modo per farlo fuggire in Svizzera tramite un nostro vicino che bazzicava gli ambienti fascisti. Il costo è enorme: 5000 lire!, pari al costo di un appartamento. Tutti i giorni un nostro cliente comunista e buontempone si presentava alla porta del negozio e diceva sorridendo: “Signora Vanini, sta arrivando suo marito”. Io correvo alla porta ma la via era deserta. Il 5 di maggio, domenica, verso le 15, il signor Stoccoro si affaccia alla porta e, con lo stesso raggiante sorriso, ripete la solita frase, la stessa frase. Io urlo “ma la smetta di torturare della povera gente!”. Mia madre esce subito e non rientra, passano alcuni minuti e non rientra, allora esco anch'io. Era proprio vero! Mia padre avanzava con passo sicuro, indossando il vestito migliore di seta e lana cruda e mi guardava sorridente. Non so perchè, ma ritorno sui miei passi e rimango immobile. Lui entra in casa, mi abbraccia e, per la prima volta nella mia vita, piango dalla gioia. Durante il periodo bellico si era presentato un tizio con tre tagli di stoffa di cotone sotto il braccio: uno di colore nocciola che se lo prese mia madre, uno di colore bianco con il quale mi confezionarono un paio di pantaloni, e uno verde vivo con il quale ebbi una giacca verde. Quella famosa domenica io indossavo i pantaloni bianchi, la giacca verde e, naturalmente, la famigerata cravatta rossa!