La modesta cifra politica del dibattito pre-elettotale fa emergere la perdita di identità dei partiti italiani i cui programmi, oltre ad essere pervasi da un tasso di demagogia senza precedenti, ridondano di contraddizioni, spesso bizzarre e grossolane. La crisi economica degli ultimi anni ha determinato l'eclissi della tradizionale distinzione tra destra e sinistra, entrambe incapaci di dare una risposta ai problemi posti dall'Europa e dal mercato globale. Oggi, la vera contrapposizione sembra essere quella tra establishment e popolo o, se vogliamo, tra élite e società civile.
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Destano preoccupazione i sondaggi degli ultimi giorni secondo i quali un terzo degli elettori non andrà a votare e un altro terzo è fortemente indeciso se andarci. Si tratta di un dato sintomatico della crescente disaffezione del cittadino nei confronti della politica che sembrerebbe non preoccupare più di tanto i leader dei partiti impegnati in una campagna elettorale che rappresenta un “unicum” nella storia della nostra repubblica. La modesta cifra politica del dibattito pre-elettotale fa emergere la perdita di identità dei partiti italiani i cui programmi, oltre ad essere pervasi da un tasso di demagogia senza precedenti, ridondano di contraddizioni, spesso bizzarre e grossolane. La crisi economica degli ultimi anni ha determinato l'eclissi della tradizionale distinzione tra destra e sinistra, entrambe incapaci di dare una risposta ai problemi posti dall'Europa e dal mercato globale. Oggi, la vera contrapposizione sembra essere quella tra establishment e popolo o, se vogliamo, tra élite e società civile. Da questa inedita polarizzazione, sorta sulle ceneri delle classi medie, è nata una singolare partita tra due soggetti intrinsecamente “impolitici” che, in quanto tali, non sono in grado di fornire una risposta politica: da una parte la tecnocrazia e, dall'altra, il populismo. Sono questi, pertanto, i temi che l'opinione pubblica avrebbe diritto di capire al fine di verificare se ha ancora un senso recarsi alle urne o se, al contrario, la “sovranità popolare” è solo uno specchietto per le allodole, se non una battuta di spirito. Ad esempio, sull'Europa, sarebbe utile chiarire il comportamento del prossimo governo in ordine ai vincoli imposti dal fiscal compact: ratificarli, significherebbe esporre il paese a conseguenze devastanti; rifiutarli, potrebbe perfino risultare letale. Nessuno, pertanto, osa parlare di questo: solo sussurri e grida dai quali, tuttavia, si possono arguire i reali intendimenti, astutamente occultati per esigenze elettorali. La sinistra italiana, europeista per vocazione, vorrebbe fare da terza sponda all'asse franco-tedesco ma non dispone di un leader in grado di interloquire autorevolmente con Macron e la Merckel. Proviamo a metterci nei panni dei nostri alleati. Ci guardano con circospezione e, talora, perfino con aria divertita. Ci hanno sbeffeggiato per anni per le guasconate di Berlusconi prima, e di Renzi dopo, ma ora si vedono costretti a caldeggiarne l'alleanza al governo per mancanza di alternative. Infatti, per i nostri partner europei, Lega e 5 Stelle rappresentano una iattura tant'è che Berlusconi si è sentito in obbligo di giustificare l'alleanza con Salvini garantendone la fede europeista (!). A differenza di Renzi che è sempre stato schifiltoso nei confronti dei 5 Stelle, Berlusconi non esita a stringere alleanze con chiunque gli garantisca un ritorno da primattore. Occorre riconoscere che questa incomparabile capacità di aggregazione del Cavaliere ha finito per mettere in crisi il progetto originario di Matteo Renzi di recuperare a destra i consensi perduti a sinistra. Per queste ragioni, l'esito delle prossime elezioni appare scontato: la sera del 4 marzo Berlusconi non esiterà a scaricare la Lega per andare al governo con Renzi. Proprio come vuole l'Europa. Con una differenza, tutt'altro che marginale: infatti, Renzi continuerà a rappresentare una sinistra convintamente europeista, Berlusconi, invece, no. Il diavolo sta nei dettagli. Dal confuso dibattito di questi giorni è emerso che la cosiddetta “flat tax” viene propugnata dagli stessi esponenti che teorizzano la contestuale uscita dall'euro. In verità, esiste una parte significativa della destra italiana che, ritenendo il fiscal compact un mortale cappio al collo, accarezza l'ipotesi di una brexit tutta italiana in grado di trasformare il nostro paese in un porto franco. Fare, dunque, dell'Italia un vero e proprio paradiso fiscale: questo è il sogno di una parte importante della destra italiana, tanto bello quanto inconfessabile. Ecco perchè Francia e Germania non si fidano di noi, perchè sembriamo inaffidabili. Ci servirebbe un De Gasperi, o un De Gaulle, in grado di riaccreditare la nostra immagine internazionale nonché in grado di dire chiaramente agli italiani: l'Europa è un male necessario, dobbiamo restarci ma occorre restare uniti per far valere le nostre ragioni. Già, ma dov'è?