Accerchiata dalla crisi economica e dal terrorismo, oggi l'Europa si trova nel pieno di una tempesta che troppo semplicisticamente si vorrebbe domare ponendo fine all'esperimento unitario. In realtà, come si diceva, le variabili in campo sono numerose e non sempre governabili dagli Stati. Ad esempio, la crescente desertificazione di ampie regioni dell'Africa rappresenta un elemento che ha finito per aggravare ulteriormente la crisi economica da cui trae origine la mancata integrazione degli immigrati di seconda e terza generazione.
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Il declino economico dell'Europa inchioda l'Ue all'evidenza di un povertà crescente che, solo venti anni fa, nessuno avrebbe osato mai immaginare. Tutti gli indicatori economici dimostrano che la ricchezza media degli europei è stata pesantemente falcidiata da una crisi che l'Europa non ha saputo governare per cui è diventato inevitabile chiedersi se “questa” Europa può rappresentare la soluzione ai problemi posti dal mercato globale o se, di contro, rappresenta essa stessa il vero problema da sciogliere. Anche in Francia il tema centrale della campagna elettorale si è fondato su questo dilemma i cui prodromi si erano già manifestati in occasione della Brexit. Risulta, tuttavia, velleitario credere che la soluzione dei problemi che affliggono il cittadino europeo possa dipendere solo da questa opzione perchè le variabili da considerare sono molteplici e, talora, di difficile lettura. Partiamo da un'altra verità, difficilmente confutabile, che ha per oggetto il declino dell'egemonia americana. Si tratta di un declino che ha smentito, in modo beffardo, i cantori dell'imperialismo americano che avevano salutato il crollo dell'Urss come l'inizio di un nuovo evo nel quale il libero mercato avrebbe generato un mondo definitivamente pacificato e proiettato alla prosperità di tutti i popoli del pianeta. Questo è l'errore iniziale da cui traggono origine tutti gli altri, ben più tragici, che hanno determinato l'attuale instabilità nel Vecchio Continente. Occorre ammettere che la vocazione interventista degli Usa, derivante dall'intima convinzione di essere “sentinella nel mondo”, rappresenta la vera causa dell'esplosione del terrorismo islamico che ha designato l'Europa come campo d'azione da privilegiare per ovvie ragioni di natura geopolitica e militare. Accerchiata dalla crisi economica e dal terrorismo, oggi l'Europa si trova nel pieno di una tempesta che troppo semplicisticamente si vorrebbe domare ponendo fine all'esperimento unitario. In realtà, come si diceva, le variabili in campo sono numerose e non sempre governabili dagli Stati. Ad esempio, la crescente desertificazione di ampie regioni dell'Africa rappresenta un elemento che ha finito per aggravare ulteriormente la crisi economica da cui trae origine la mancata integrazione degli immigrati di seconda e terza generazione. Da questa emarginazione nasce quella rabbia sociale che, in modo demagogico, si tende a collocare nel campo di una contrapposizione religiosa del tutto pretestuosa. Come ha scritto Carlo Galli, “la verità non è l'islam che si radicalizza ma il radicalismo che si islamizza” a causa di una crisi economica devastante di cui tuttora non si intravede la fine. Un'altra variabile da non sottovalutare è costituita dal tentativo di Trump di creare un' “entente cordiale” con Putin dalle chiare finalità anti-cinesi. Questa alleanza, singolare e del tutto imprevedibile fino a qualche anno fa, sembra piacere alla destra europea che tende a strumentalizzare la penetrazione cinese in Europa per caldeggiare la fine dell'euro e dell'Ue. Da questo quadro, sintetico e semplificativo, emerge nitidamente la necessità di capire che, fuori dall'Europa, continuano ad agitarsi tante altre forze che non saremmo in grado di governare da soli. Ecco perchè serve rafforzare l'Europa e non indebolirla.