Ci si chiede come sia possibile che il nostro paese, dopo decenni di tagli e con una pressione fiscale che presenta tratti perfino confiscatori, non sia in grado di uscire dalle secche di un deficit che rischia di vanificare i pesanti sacrifici finora sopportati dal corpo sociale. La verità è che l'impalcatura centralista del nostro Stato determina l'esistenza di una infinità di rivoli di cui, non solo i cittadini, ma perfino i parlamentari, stentano a individuarne l' “estuario”, cioè i destinatari finali. Storicamente il bilancio dello Stato italiano denota una intrinseca opacità come dimostra l'episodio che ha per oggetto l'acquisto di derivati da parte del Tesoro.
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L'attenzione che il dibattito pubblico ha posto, ieri, sul referendum costituzionale e, oggi, sulla legge elettorale, ha finito per mettere in secondo piano la vera, grande emergenza del paese che il ceto politico ha colpevolmente sottovalutato. Ci riferiamo al rischio di una possibile procedura d'infrazione che l'Ue potrebbe promuovere nei confronti del nostro paese a causa delle perduranti inadempienze nella gestione del deficit. Se è vero che la concomitanza di alcune contingenze (calamità naturali e immigrati) ha reso più complessa l'azione di risanamento dei conti pubblici, è altresì vero che il paese non ha saputo cogliere i benefici di alcuni fattori che i partner europei hanno, di contro, saputo ottimizzare: il prezzo del greggio, il corso del dollaro nonché il quantitative easing, cioè la manovra espansiva promossa dalla Bce da cui è sortita una benefica caduta dei tassi. Ci si chiede come sia possibile che il nostro paese, dopo decenni di tagli e con una pressione fiscale che presenta tratti perfino confiscatori, non sia in grado di uscire dalle secche di un deficit che rischia di vanificare i pesanti sacrifici finora sopportati dal corpo sociale. La verità è che l'impalcatura centralista del nostro Stato determina l'esistenza di una infinità di rivoli di cui, non solo i cittadini, ma perfino i parlamentari, stentano a individuarne l' “estuario”, cioè i destinatari finali. Storicamente il bilancio dello Stato italiano denota una intrinseca opacità che collide con l'obbligo di una democrazia di informare il cittadino sulle modalità di impiego delle entrate che derivano, in massima parte, da prelievi coattivi effettuati dal suo portafoglio. Solo da qualche anno stiamo scoprendo la selva di privilegi del mondo politico di cui tutti abbiamo, sempre, avuto sentore senza, tuttavia, avere esatta contezza delle sue reali dimensioni. I tempi sono cambiati. Oggi, infatti, l'opinione pubblica può disporre di dati e informazioni che, per anni, sono stati rigorosamente occultati o, nella migliore delle ipotesi, sottaciuti. Anche da questo motivo nasce quella profonda ostilità nei confronti della classe politica che, troppo corrivamente, viene liquidata come una forma di qualunquismo. In realtà, chiunque abbia a cuore le sorti della nostra democrazia, dovrebbe porsi alcune domande, come quella di cui si è fatto cenno: com'è possibile che ci troviamo ancora la spada di Damocle di una probabile procedura di infrazione? Il prossimo governo, che uscirà dalle prossime elezioni, dovrebbe avere il coraggio di raccontare, ad esempio, il rischio assunto dal nostro Stato nei confronti di alcune grandi banche (Morgan Stanley, Deutsche Bank, Ubs, Hsbc e altre) da cui è sortita una perdita di 23,5 miliardi di euro, dal 2011 al 2016, che, stando alle previsioni (vedi, “La voragine”, di Luca Piana) potrebbe ripetersi nei prossimi cinque anni. Le cause di queste perdite colossali, di cui il cittadino ignora l'esistenza, derivano dall'acquisto di una quantità imprecisata di derivati, da parte dello Stato italiano, che espone il paese a una debolezza permanente che lo rende vulnerabile. E' arrivato, pertanto, il momento che il cittadino sappia di questi contratti di cui si ignorano le condizioni, la durata e, in taluni casi, perfino le controparti. Senza questa trasparenza, parlare di democrazia diventa solo una battuta di spirito.