Ci troviamo davanti ad uno spettacolo surreale che neppure il più accanito anti-europeista avrebbe immaginato. In queste ultime settimane abbiamo assistito ad una sorprendente escalation di isteria collettiva che ha condotto alla costruzione di muri e alla chiusura di porti per impedire l'ingresso ad un pezzo di umanità a cui il ricco Occidente non perdona di essere povero. Non ci sono misteri dietro queste scelte dissennate: c'è solo il ritorno di antichi egoismi, il rigurgito di vecchi nazionalismi mai sopiti di cui le guerre del passato dovrebbero rappresentare un grande monito per tutti.
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Sotto i colpi di un'emergenza umanitaria di cui nessuno avrebbe mai osato immaginare le potenziali dimensioni, il nostro paese sta vivendo uno dei passaggi più drammatici della sua storia. Mafia e terrorismo ci riportano alla memoria momenti di ansia collettiva che tutti credevamo di avere superato per sempre. In realtà, la nostra democrazia ha imparato nel corso degli anni a metabolizzare tutte le devianze sorte nel tessuto sociale e istituzionale del paese. Siamo stati educati a coltivare l'idea che nel nostro paesi siano sempre esistite trame, relazioni, misteri davanti ai quali risulta inutile capirci qualcosa. E così, educati a questa grottesca cultura del mistero, la politica ha potuto creare attorno a sé una cortina inaccessibile che ha generato nel cittadino un senso di impotenza e di rassegnazione, tratto tipico, oseremmo dire atavico, di un paese condannato ad uno stato di perenne minorità. Il fenomeno dell'immigrazione non sembra fare eccezione a questa sorta di vocazione collettiva a ritenere “misteriose” quel grumo di forze e di interessi che vi gravitano attorno. Questa visione serve a de-responsabilizzare la politica da tutte le inadempienze di questi anni abilmente occultate con l'avallo di una stampa compiacente. La verità, pertanto, è che non vi è nulla di “misterioso” in questa “invasione” di immigrati perchè, da decenni, nelle università occidentali i più grandi esperti di demografia ne hanno preconizzato l'imminenza. In proposito, risulta utile ricordare la storica intervista di Alberto Moravia a “Nuovi Argomenti”. Da semplice scrittore, grande viaggiatore e profondo conoscitore dell'universo africano, Moravia non esitò a dire che, prima o dopo, l'Europa si sarebbe pentita per aver ridotto il “Continente nero” a deposito dei propri cascami. Interi popoli sarebbero fuggiti da guerre e repressioni di brutali dittatori appoggiati dall'Occidente e, aggiunse, ci saremmo trovati davanti ad un grave dilemma, riassunto mirabilmente in questa bellissima immagine: “quando in un cortile c'è posto per dieci persone, e poi ne entrano quaranta, saranno fatalmente calpestate le aiuole”. Cosa c'è, dunque, di misterioso in questa diaspora di disperati che cercano di scappare dalla guerra e dalla fame? La politica lo sa bene: non c'è assolutamente nulla. Diciamola tutta: in questo frangente, l'unico statista in grado di capire e interpretare le traiettorie della storia, risulta papa Francesco. Quando il Santo Padre sostiene che la ricchezza originaria dell'Europa risale al colonialismo, dice una verità che inchioda l'intero Occidente alle sue gravi responsabilità davanti al Tribunale della Storia. Piaccia o no, oggi l'Europa sta scontando la propria desolante miopia e, cosa ancor più grave, non appare in grado di governare un processo che, inutile nasconderlo, è destinato a durare per anni. Intere popolazioni, infatti, sono in cammino verso l'Europa, intere regioni divorate dalla desertificazione si stanno spopolando per la penuria di cibo. Davanti a questi scenari, che cosa fa l'Unione europea? Ci troviamo davanti ad uno spettacolo surreale che neppure il più accanito anti-europeista avrebbe immaginato. In queste ultime settimane abbiamo assistito ad una sorprendente escalation di isteria collettiva che ha condotto alla costruzione di muri e alla chiusura di porti per impedire l'ingresso ad un pezzo di umanità a cui il ricco Occidente non perdona di essere povero. Non ci sono misteri dietro queste scelte dissennate: c'è solo il ritorno di antichi egoismi, il rigurgito di vecchi nazionalismi mai sopiti di cui le guerre del passato dovrebbero rappresentare un grande monito per tutti.