Un fisco sempre più rapace e vessatorio, sia esso statale o comunale, finisce inevitabilmente per fornire un alibi alle innumerevoli inadempienze fiscali commesse dal cittadino legittimandole come una sorta di autodifesa. L'aspetto paradossale è che nessuno si sentirà mai chiamato a risponderne. In modo pilatesco, tutti si sentiranno esenti da colpe: il governo centrale dirà che la colpa è dell'Europa, gli enti locali diranno che è colpa dello Stato e, alla fine, il cittadino dirà di essere costretto ad evadere per poter sopravvivere.
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Per capire la situazione in cui versa attualmente il nostro paese, può essere d'aiuto esaminare alcuni dati per poi sviluppare una riflessione di carattere più generale. Ad esempio, non tutti sanno che in Italia esistono ben 336 enti locali che sono già falliti o che stanno per fallire. Guardando solo gli ultimi anni, si può vedere che 74 sono falliti nel 2014 (66 Comuni, 4 Province e 4 Comunità Montane) e ben 100 sono falliti nel solo 2016 (98 Comuni e 2 Province). Altri 40 (39 Comuni e 1 Provincia) si sono dichiarati in stato di pre-dissesto (truenumbers.it). Le conseguenze di questa invisibile ecatombe finanziaria sono molteplici. Innanzitutto, la revisione della pianta organica, che costituisce la misura più immediata imposta dalla “Commissione centrale per la finanza e gli organici degli enti locali” la quale, nell'ottica di garantire un riequilibrio finanziario dell'ente, assume il compito di vagliare qualunque atto da cui derivino oneri a carico dell'ente. Tuttavia, l'impatto maggiore è di tipo sistemico dato che la “mala gestio” di numerosi amministratori ha finito per determinare l'avvento di una serie di principi contabili alquanto restrittivi che hanno imposto agli enti, in sede di bilancio di previsione, di prevedere, tra le altre cose, un “Fondo crediti di dubbia esigibilità” (FCDE, si tratta di accantonamenti diretti ad evitare l'utilizzo di entrate di incerta esazione: ben 3 miliardi nel solo 2016). Insomma, possiamo ben dire che, da anni, i Comuni italiani si stanno facendo carico del risanamento dei conti pubblici: secondo l'Anci (Associazione nazionale comuni italiani), ai Comuni lo Stato centrale ha tagliato del 6% la spesa per servizi e del 13,2% la spesa per il personale. Per queste ragioni, i Comuni italiani si vedono costretti ad inventarsi qualunque tipo di balzello. Notoriamente, quello più controverso ha per oggetto le multe automobilistiche che si sono progressivamente trasformate in un'entrata di rilevanza strategica per l'erario comunale. In proposito, risulta comprensibile la rabbia del cittadino che avverte questo come un'aberrazione giuridica e civile. Occorrerebbe riflettere sulle implicazioni di questa singolare filosofia che presiede ai conti pubblici. In proposito, si ponga mente a questo dato: sempre secondo l'Anci, grazie ai tagli lineari, nel 2016 il saldo del comparto dei Comuni è risultato positivo (+4,2 miliardi) a fronte del deficit di 46,8 miliardi delle amministrazioni centrali. Risulta, pertanto, inveritiera la tesi di chi sostiene che, negli ultimi anni, ci sia stata una diminuzione della pressione fiscale. Traslare, infatti, dal centro alla periferia il costo del risanamento delle finanze statali, significa, comunque, esasperare il cittadino. La trasformazione, di fatto, della multa in tributo induce il cittadino a sentirsi defraudato e a nutrire una crescente sfiducia nei confronti dei pubblici poteri. Non andrebbe mai dimenticato che la società italiana è afflitta, storicamente, da una spiccata “anomia” del cittadino il quale suole scorgere nella norma giuridica più un ostacolo ai propri interessi che una regola posta a fondamento di una civile convivenza. Da qui, lo scarso spirito comunitario e la mancanza di senso della “civitas”, tare storiche che hanno sempre reso fragile il tessuto sociale del nostro paese. Un fisco sempre più rapace e vessatorio, sia esso statale o comunale, finisce inevitabilmente per fornire un alibi alle innumerevoli inadempienze fiscali commesse dal cittadino legittimandole come una sorta di autodifesa. L'aspetto paradossale è che nessuno si sentirà mai chiamato a risponderne. In modo pilatesco, tutti si sentiranno esenti da colpe: il governo centrale dirà che la colpa è dell'Europa, gli enti locali diranno che è colpa dello Stato e, alla fine, il cittadino dirà di essere costretto ad evadere per poter sopravvivere. Andando avanti così, non ci rendiamo conto di essere, tutti, complici dello strappo a quel contratto sociale su cui poggia ogni democrazia. Occorre ripartire da questa verità se vogliamo ridare un orizzonte e una speranza ad una società ormai smarrita e priva di identità.