L'accordo sulla legge elettorale lascia presagire che nella prossima legislatura assisteremo, piaccia o no, all'avvento di un governo Renzi – Berlusconi. Se ciò accadrà, dovremo ammettere che si tratta di un capolavoro del Cavaliere il quale, pur di sopravvivere a se stesso, non ha esitato, con una buona dose di cinismo, a riesumare le vecchie, care logiche consociative. Nato per dare il colpo di grazia alla Prima Repubblica, paradossalmente oggi Berlusconi ne reinventa una nuova edizione ponendosi al centro di un disegno politico che dovrà limitarsi, giocoforza, al piccolo cabotaggio.
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L'accordo sulla legge elettorale lascia presagire che nella prossima legislatura assisteremo, piaccia o no, all'avvento di un governo Renzi – Berlusconi. Se ciò accadrà, dovremo ammettere che si tratta di un capolavoro del Cavaliere il quale, pur di sopravvivere a se stesso, non ha esitato, con una buona dose di cinismo, a riesumare le vecchie, care logiche consociative. Nato per dare il colpo di grazia alla Prima Repubblica, paradossalmente oggi Berlusconi ne reinventa una nuova edizione ponendosi al centro di un disegno politico che dovrà limitarsi, giocoforza, al piccolo cabotaggio. Ci ritroveremo, pertanto, nella solita palude di un paese destinato a non crescere mai, di un eterno ritorno nel quale il cittadino ha la netta sensazione che presente e passato siano la medesima cosa. Il dibattito in corso sulla nuova legge elettorale ci fa capire che rischiamo seriamente di trovarci nel pieno di una restaurazione, in perfetta linea con la storia di un paese che ha fatto del trasformismo il suo peculiare tratto identitario. Oggi si possono capire le ragioni per cui circa un anno fa, in extremis, il Cavaliere avesse deciso di opporsi al referendum costituzionale di cui, fiutandone la disfatta, ne ha poi capitalizzato le conseguenze politiche. Malgrado le schermaglie degli ultimi mesi, il quadro politico è destinato a trovare un proprio assetto che, anche con qualche mal di pancia, scaturirà naturaliter dalla logica delle cose. Anche se di contraggenio, Berlusconi sa bene che dovrà puntare ad un'alleanza elettorale con Matteo Salvini. L'unico esponente in grado di ricucire un'intesa tra Lega e Forza Italia resta l'intramontabile Tremonti (rieccolo!) il quale, non a caso, dopo una lunga eclissi, ha ricominciato a fare capolino in tv. La candidatura a premier di un personaggio di alto lignaggio come Tremonti servirà a sgombrare il campo da tutte le altre candidature, sicuramente perdenti (ad esempio, la Meloni oppure lo stesso Salvini). Il percorso successivo alle elezioni appare scontato: mentre Forza Italia negozierà con il Pd le condizioni per entrare nel governo, la Lega dovrà andare all'opposizione con l'onere di marcare i 5 Stelle ai quali sarebbe incauto regalare l'inevitabile malcontento della piazza imputabile alle manovre finanziarie che il prossimo esecutivo dovrà varare sotto il controllo dell'Ue. Il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, sarà lieto di vedere insieme al governo Renzi e Berlusconi (con Minniti premier?) perchè una simile alleanza lo porterebbe comunque ad accrescere i consensi. Lo scenario appena tracciato non ha nulla di peregrino: esistono, pertanto, tutti i presupposti per vedere il ritorno alla Prima Repubblica arricchirsi di un ultimo tassello che nasce dall'ostinato rifiuto dei grillini di stringere alleanze con chicchessia. Questa scelta del movimento è destinata ad incidere notevolmente nella politica del nostro paese. Infatti, come accaduto in passato con il vecchio Pci, la democrazia italiana finirà nuovamente per annoverare una forza di opposizione destinata a non andare mai al governo: dopo il “fattore K”, ecco, dunque, il “fattore 5S”. Come ieri e, come sta già accadendo oggi, una bella fetta di elettorato resterà congelata e relegata all'opposizione perenne, rappresentata da “duri e puri” di cui solo col tempo sarà possibile misurare la reale caratura morale e politica. La legge elettorale prossima ventura rischia di condurre il paese ad un'altra democrazia bloccata che favorirà il sorgere di governicchi transeunti, come piace ad una classe politica nelle cui vene scorre solo la paura di perdere i propri privilegi. Rispetto al passato, incombe, altresì, il rischio di vedere un parlamento depotenziato ma, soprattutto, screditato dalle sue stesse modalità di composizione. Infatti, abolire le preferenze significa sottrarre al cittadino la possibilità di scegliersi i suoi rappresentanti: praticamente, significherebbe tornare ai tempi dello Statuto albertino in cui il monarca si sceglieva i senatori a lui graditi. Ieri la monarchia, oggi l'oligarchia dei partiti: anche da questo “dettaglio” si evince l'eterno ritorno di un paese storicamente abitato da camaleonti che continuano a servirsi del cittadino fingendo di servirlo.