Quando non pensava alla brutta storia del K2, Walter Bonatti era sempre sereno e sorridente. Però per trovare il suo sorriso schietto e sincero bisognava essere proprio dentro l’amicizia: fortuna assai rara, perché il grande alpinista era assai riservato, chiuso, anche se personaggio pubblico. C’erano due Bonatti, dunque, uno popolare, mitico per legioni di ammiratori, l’altro intimo, umano, nascosto. Come era dunque il Bonatti uomo?
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Quando non pensava alla brutta storia del K2, Walter Bonatti era sempre sereno e sorridente. Però per trovare il suo sorriso schietto e sincero bisognava essere proprio dentro l’amicizia: fortuna assai rara, perché il grande alpinista era assai riservato, chiuso, anche se personaggio pubblico. C’erano due Bonatti, dunque, uno popolare, mitico per legioni di ammiratori, l’altro intimo, umano, nascosto. Come era dunque il Bonatti uomo? A sei anni dalla morte il suo mito non sta scemando, anzi sta diventando sempre più forte, più grande: libri in continuazione. Tutta la letteratura su Walter Bonatti fornisce però sempre una sola immagine, quella del grande alpinista protagonista di imprese memorabili, entrate nella storia della montagna. Manca, in tutto questo clamore, il Bonatti uomo, quello nascosto dietro lo splendore vissuto alle alte quote e nelle sperdute lande di terre inesplorate. Com’era dunque il Walter uomo, come si comportava nell’intimità, nelle sue confidenze? Penso che solo pochissime persone abbiamo avuto il regalo del grande privilegio di godere l’intimità di Walter, la sua amicizia, le sue confidenze. Tra i pochi, il pittore acquarellista Luigi Dino Guida ed io, due erbesi a loro volta amici da quando erano bambini, abbiamo avuto la fortuna di vivere questa stupenda avventura di conoscere il “Walter uomo”, il Bonatti persona semplice, quasi come un amico di vecchia data.
Lo conobbi tanti anni fa durante una cena tra persone dall’aria troppo “snob”, dalle quali, capendo ambedue l’antifona, scantonammo. Bonatti mi concesse, forse per strani imperscrutabili motivi che portano due persone a piacersi e diventare reciprocamente affabili, alcune “chicche” sulla storia del K2. Notizie che io pubblicai con grande risalto grazie al redattore capo de “Il Giorno”, il suo amico Guido Gerosa. Telefonandomi Walter mi disse che ero stato il primo giornalista che aveva riportato con precisione assoluta il suo pensiero. Abbiamo preso a incontrarci. Però hosempre di scrivere di lui perché avevo capito che sarebbe stata difficile la fedeltà assoluta (come voleva lui) nel riferire i suoi concetti C’era quindi il rischio di rompere un’amicizia.
Walter ebbe un’altra folgorazione di amicizia sincera quando portai nella sua casa di Dubino il mio amico pittore acquarellista. Per Dino Guida Walter era (ed è) quasi come una divinità: conosceva ed elencava, metro per metro, rischio per rischio, tutte le sue imprese.
A Walter piaceva molto la piccola, quasi segreta casa di Dino Guida nascosta nei boschi alle falde alte del San Primo appena sopra Civenna. Amava questo “buen retiro”, antica cascina di contadini di montagna, dove con lui abbiamo passato giornate stupende, assieme ad alcuni contadini del luogo. Gli piaceva mangiare la “cassoeula” che Luigi gli cucinava con ogni cura, Non disdegnava il buon vino. Da lì guardavamo le Grigne e allora lui cominciava a raccontare le sue avventure. Dino Guida gli fece un ritratto che lui apprezzò moltissimo: un abbraccio stretto pieno di commozione. Brindammo con un vino di gran classe che Dino Guida chissà dove aveva recuperato. Lo fotografai mentre alzava in calice: un’immagine assai singolare: Bonatti “che alza il gomito”, però pacatamente, con giudizio.
Era preso anche da ricordi pieni di emozioni forti. Ci ha chiesto di portarlo al cimitero di Proserpio a esprimere un ricordo alla tomba di Guido Gerosa (il grande giornalista di Epoca, dell’Europeo, direttore de Il Giorno che nel frattempo era morto): i due erano stati assieme a New York quando Gerosa era corrispondente di Epoca. Un’altra volta siamo andati in un cimitero di un piccolo paese sulle Colline di Nava, nel cuore della Brianza, a cercare la tomba di un suo caro amico sepolto lì in incognito: una tomba senza nome che trovammo con qualche fatica. Trascorremmo altre giornate molto belle nella sua casa di Dubino, anche questa arcaica cascina. C’era anche Rossana Podestà. Walter e Luigi girovagando per il giardini discorrevano sugli alberi da frutta, il loro trattamento, sui lavori da fare sui muretti, nei vialetti. Luigi gli insegnava come posare le pietre. Walter ascoltava e apprezzava.
Luigi ricorda di quella volta che giunse al “buen retiro” con un pacchettino in mano: «Visto che sei un appassionato di sassi, prendi questi»· Luigi aprì il pacchettino ed emersero due pietre, una color grigio scuro a forma di pinna di squalo, l’altra di basalto, bellissime».
«Queste le ho raccolte in Antartide», annunciò Walter.
«Lo abbracciai fortemente e mi sembrò di abbracciare un astronauta appena tornato dalla Luna», si commuove ancora Luigi.
«Ma la più bella –ricorda ancora Luigi- fu di quella volta che prima del pranzo a casa sua ci aveva detto di aver lavorato tutta la mattina per preparare le tagliatelle. Poi a pranzo quasi finito, sulla porta comparve una signora che gli chiese: “Erano buone le tagliatelle che ho cucinato, signor Walter”, lui fece finta di niente e richiamò la nostra attenzione sulla neve che era caduta abbondante sul Legnone». E tutto fini con una grande risata.
Era bello ascoltare Walter quando accanto al camino che ardeva, o passeggiando nei prati del “buen retiro” davanti al panorama delle Grigne. Lui si scioglieva ed era tutta una successione di sentimenti e di ricordi: l’amore per i suoi “nipotini” acquisiti, ovvero i figli dei figli della sua Rossana, poi di botto le descrizioni delle sue imprese sul Bianco, prima di tutte quella del Petit Drou, poi i ricordi di Oggioni, della tragedia del Freney, o l’incontro con ni Pigmei, ma anche la raccolta delle olive al Circeo nella villa di Rossana, o ancora di quando volevano che andasse a Roma per gli esami di giornalista professionista. Il direttore di Epoca però si rifiutò di firmare la richiesta: «Uno che ha fatto quel che ha fatto Bonatti non deve essere sottoposto ad esami. E’ già di più di un professionista».
Walter non divenne professionista, però non gliene fregava niente.