Sono scomparse, ormai smarrite nella inesorabile nebbia del tempo che passa, gran parte delle parole che per secoli resero vivace e schietto il nostro bel dialetto. Ogni tanto però, forse per grazia misteriosa, o per fortunata circostanza, ritorna qualche scampolo di questo antico e saporito parlare. E’ il caso di “pompardinna”, parola fino a non molti decenni fa frequente nella nostra parlata popolare.
-----------------
Sono scomparse, ormai smarrite nella inesorabile nebbia del tempo che passa, gran parte delle parole che per secoli resero vivace e schietto il nostro bel dialetto. Ogni tanto però, forse per grazia misteriosa, o per fortunata circostanza, ritorna qualche scampolo di questo antico e saporito parlare. E’ il caso di “pompardinna”, parola fino a non molti decenni fa frequente nella nostra parlata popolare.
«Ma se la fa quèla gent lì, tütta in pompardinna?», è stato il commento del molto sorpreso Carletto, l’altro pomeriggio, a un tavolo del circolo degli anziani. Si era appena conclusa la prima mano di una partita a scopa d’assi e il Carletto aveva contato i punti con grande soddisfazione: sette bello e primiera, le carte, gli ori e una scopa. Il successo ha portato il Carletto ad alzare il capo, guardarsi un po’ in giro e distrarsi per un momento.
La sua fugace attenzione è stata così catturata da un gruppo di persone tutte sfoggianti appariscente eleganza, in particolare le signore, che erano entrate nel circolo mettendosi in grande mostra. Al Carletto è stato spiegato che, entro pochi momenti, in una grande sala attigua a quella adibita al gioco delle carte, si sarebbe inaugurata una mostra di pittura organizzata dall’assessore comunale alla cultura. Quindi quella gente “tutta in pompardinna” era arrivata proprio per la vernice della rassegna d’arte.
Il Carletto, rimessosi subito nel gioco fregandosene tranquillamente dell’arte, aveva adoperato, per esprimere il suo stupore, un antico modo di dire del dialetto milanese, ovvero “ves in pompardinna”. Il significato già lo abbiamo anticipato: essere eleganti nel vestire, nel portamento, farsi vedere, mettersi in evidenza.
“Pompardinna” è termine usato molto dai poeti dialettali milanesi. Il Barrella, nel suo bel sonetto “Mezz dì” (Mezzogiorno) descrive “tutta in pombardinna, una bella sposotta grassa”. E’ molto bella una massima di Carlo Maria Maggi: “El fallì fa pompardinna, el ricch la piura” (“Il fallito sfoggia e il ricco piange miseria”). Il Maggi usa anche “vestì in pompardinna” per dire “vestito pontificale”. Lo stesso poeta spiega anche l’origine di “pompardinna”. Viene da “pompa” (sfarzo). Molto usato era il detto “in pompa magna” per indicare un “eccezionale sfarzo”.
Se n’è andato anche quel colorito linguaggio dei frequentatori delle osterie della mia giovinezza. Ricordo quelli della “Elvirun”. Chi era l’Elvirun? Era l’ostessa, proprietaria, con il marito, di un’osteria-trattoria assai frizzante. La “sciura” era simpaticamente chiamata Elvirun, per seno monumentale e per la cordialità che spandeva a piene mani. Storie che si dipanavano allegramente tra i profumi di mosti e di pietanze, sempre presenti dall’ “Elvirun”.
L’ostessa Elvira, a causa del marito fannullone, dovette prendere un garzone d’osteria. Scelse un giovane sveglio, sorridente e simpatico, di nome Calogero. Costui si presentò ai clienti dicendo: «Sono Galoggero, il nuovo barista», tradendo le sue origini napoletane. Agli amici non parve vero di poter prenderlo in giro. E lo chiamarono subito Calò. Il Carletto cominciò con l’ordinagli una bella “consolina”. El Pepin invece volle una tazza “de la mié del barbé”, el Luis un “champagnin cun la balèta”, un altro cliente invece pretese una “bèla bavaresa calda”, con un “bianchin spruzzà”. Il povero calò non ci capì nulla. La “consulina” era acqua fresca con qualche goccia di miele, scorza di limone e buccia di mela (quasi come la “doucette” francese). Lasciava uno con la bocca fresca e dolce, cioè in stato di consolazione. La “mié del barbé” era un bel bicchiere di vino barbera, el “champagnin cun la baleta” era la “gassosa”. La “bavaresa calda”? La tazza di latte bollente con lo zucchero. Bevanda della quale a Milano dovevano accontentarsi i soldati austriaci, non potendo bere vino, ordine di sua maestà.
Ringraziamo l'autore per la gentile concessione di questo articolo apparso sulle pagine culturali del quotidiano comasco "La Provincia", domenica 25 giugno 2017.