Occorre uscire dalla logica "economicistica" della Bce e ridare alla politica la sua centralità, rinunciando ad essere semplice ancella dell'economia. E' necessario restituire alla democrazia il potere di decidere le sorti del cittadino. In caso contrario, la democrazia è solo un guscio vuoto nel quale perfino le elezioni diventano un'inutile, vacua, liturgia.
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Lo scandalo Barclays, che negli ultimi giorni ha scosso i mercati, dimostra ancora una volta l'opacità del capitalismo finanziario e le gravi responsabilità del sistema bancario nell'avere inoculato nell'economia mondiale il germe di una stagflazione (stagnazione e inflazione insieme) permanente che rischia di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza del capitalismo. La vicenda è nota. I manager di Barclays, che rappresenta la seconda banca inglese, hanno ammesso di avere manipolato, dal 2005 al 2009, il tasso di riferimento del mercato interbancario (c.d. Libor, una variante dell'Euribor). Si tratta dell'ennesimo caso che dimostra la necessità, divenuta ineludibile, di riportare l'asse della Storia sul crinale della politica per evitare che gli Stati nazionali si riscoprano, un giorno, deprivati della propria sovranità e della possibilità di determinare le sorti dei propri cittadini. Il rilancio della politica, pertanto, non significa altro che riaffermazione del primato della legalità. La globalizzazione è un processo che può essere governato a condizione che il Diritto si riappropri della sua naturale vocazione a dettare le regole del gioco. I mali del capitalismo finanziario risiedono esattamente nella sua innata propensione a rifiutare le regole in nome della sacralità del mercato. Da questo nasce quella che Bauman definisce “la solitudine del cittadino globale”, di un cittadino sempre più spaventato da un mondo governato da processi economici di cui egli non è in grado di comprendere né le origini né le dinamiche.. Se è vero che indietro non si può più tornare, è altrettanto vero che si può (e si deve!) trovare la forza di creare un diritto sovranazionale in grado di determinare principi comuni volti a governare gli “animal spirits” di un capitalismo storicamente refrattario alle regole che conserva la poderosa capacità di creare ricchezza senza, tuttavia, distribuirla equamente. Questo è lo scopo precipuo della democrazia, a questo serve la politica che non può limitarsi a svolgere un ruolo subalterno all'economia, come è stato finora. Questo dovrebbe essere il principio su cui l'Europa dovrebbe fondare la propria dialettica con gli altri Stati. Risulta fin troppo chiaro, ormai, che la recessione non potrà mai essere battuta per via omeopatica, come pensa la Bce, attraverso, cioè, l'adozione di politiche restrittive che impoveriscono ulteriormente il cittadino. Occorre uscire dalla logica “economicistica” di ritenere che il benessere dei popoli possa dipendere dall'andamento dello spread che, salendo, fa aumentare in un solo colpo il debito di uno stato e la massa dei disoccupati. Ridare lo scettro alla politica significa, per esempio, restituire al sistema bancario il ruolo naturale di supporto delle imprese, imponendo di fornire un aiuto alla produzione e recuperando la capacità, che appare smarrita, di selezionare il credito e di incoraggiare gli investimenti. Ridare alla politica la sua centralità, rinunciando ad essere semplice ancella dell'economia, significa dire chiaro alla Bce che occorre restituire alla democrazia il potere di decidere le sorti del cittadino. In caso contrario, la democrazia è un guscio vuoto nel quale perfino le elezioni diventano un'inutile, vacua, liturgia.