Si sta delineando un capitalismo che, fondandosi sull'automazione e sui lavori a basso reddito, finisce per remunerare solo il capitale e il lavoro iperqualificato. Per tali ragioni, questa ripresa non appare in grado né di eliminare, né di attenuare, le gravi disuguaglianze sociali esistenti all'interno di un paese già falcidiato da un pesante squilibrio territoriale. Ecco, perchè, senza avere nulla di divino, la ripresa c'è ma non si vede.
------------------
Malgrado l'ottimismo ostentato nelle ultime settimane dal nostro governo, il cittadino stenta a credere che il nostro paese stia, davvero, uscendo dalla crisi. Alcuni indicatori dimostrano che è in corso, oggettivamente, una importante ripresa della nostra economia. Vero è, tuttavia, che i benefici si stanno ripartendo in modo significativamente diseguale causando, con ciò, l'acuirsi di quel conflitto distributivo che rappresenta il limite più grave del nostro sistema economico. Secondo i dati forniti da Eurostat, Lombardia ed Emilia Romagna rappresentano le regioni trainanti dell'economia italiana grazie alla capacità del comparto manifatturiero di interagire con le istituzioni pubbliche e con il mondo accademico. La presenza sul territorio di numerosi atenei ha, infatti, consentito alla manifattura lombarda ed emiliana di vantare una capacità innovativa che ha conferito alle aziende del settore una competitività sconosciuta alle altre regioni italiane. E' opportuno ricordare che la manifattura italiana, che in Europa risulta tra le più competitive, in questo decennio di crisi ha perso oltre un quarto della produzione complessiva per cui non sarà facile recuperare terreno se permane nella nostra economia quel dualismo Nord-Sud che nessun governo della repubblica è mai riuscito neppure a scalfire. In particolare, un elemento che rischia di aggravare la dicotomia tra il Mezzogiorno e le regioni settentrionali del paese è rappresentato dalla crisi dell'edilizia (- 44%, dal 2008 al 2016) che tende a consolidarsi nelle zone più povere anche a causa del fenomeno migratorio che, negli ultimi anni, è riesploso in modo preoccupante. I dati dicono chiaramente che, malgrado la ripresa, gli italiani che, nell'ultimo anno, si sono trasferiti all'estero sono aumentati del 3,5% (gli italiani che vivono all'estero sono 5,4 milioni: di questi, un milione e mezzo si è trasferito dal 2008 ad oggi). La domanda, quindi, che occorre porsi è la seguente: perchè, malgrado la ripresa, il cittadino non avverte la minima sensazione che il paese sia uscito dalla crisi? Naturalmente, diamo per buoni i risultati forniti dall'Istat benchè destino qualche perplessità le pesanti accuse del vicepresidente della Commissione Ue, il finlandese Jyrki Katainen, secondo il quale “gli italiani dovrebbero sapere qual é il vero stato delle cose”. Con tutte le cautele del caso, quindi, occorre interpretare e capire le reali implicazioni di questa ripresa economica che, va detto, non è servita finora a far recuperare il potere d'acquisto dei salari italiani. Nel settore pubblico, ad esempio, sarebbe utile rammentare che, in questo ultimo decennio di crisi, i salari corrisposti ai lavoratori della sanità, dell'istruzione e del pubblico impiego, hanno subito una perdita di potere d'acquisto invero rilevante: in ordine, meno 8%, meno 10,4%, meno 7,9%. Per recuperare tali decurtazioni, serviranno più rinnovi contrattuali e più leggi di stabilità: occorreranno, cioè, svariati anni. Ma è l'area del lavoro autonomo quella che ha patito, più di tutti, la crisi: meno 15% in dieci anni. Pubblico impiego e lavoro autonomo rappresentano l'architrave di quel ceto medio a cui la recessione ha inflitto una lenta e spietata “proletarizzazione” che appare inarrestabile. Per queste ragioni, la sensazione è che siamo davanti ad una ripresa che concentra i benefici solo a favore dei detentori di capitale che, come si diceva all'esordio, hanno avuto la lungimiranza di investire nell'innovazione tecnologica. Pertanto, si sta delineando un capitalismo che, fondandosi sull'automazione e sui lavori a basso reddito, finisce per remunerare solo il capitale e il lavoro iperqualificato. Per tali ragioni, questa ripresa non appare in grado né di eliminare, né di attenuare, le gravi disuguaglianze sociali esistenti all'interno di un paese già falcidiato da un pesante squilibrio territoriale. Ecco, perchè, senza avere nulla di divino, la ripresa c'è ma non si vede.