Ci sono battaglie che nella storia hanno lasciato memorie indelebili, una di queste fu sicuramente la battaglia che durante la I guerra mondiale fu combattuta dal 10 al 29 giugno 1917 sul monte Ortigara. L’attacco della 6° armata italiana del generale Mambretti aveva come compito la riconquista delle posizioni perdute durante la ”spedizione punitiva” dell’esercito austriaco sull’Altopiano d’Asiago nel 1916.Il ricordo della battaglia nelle canzoni e nelle memorie di Paolo Monelli.
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Ci sono battaglie che nella storia hanno lasciato memorie indelebili, una di queste fu sicuramente la battaglia che durante la I guerra mondiale fu combattuta dal 10 al 29 giugno 1917 sul monte Ortigara. L’attacco della 6° armata italiana del generale Mambretti aveva come compito la riconquista delle posizioni perdute durante la ”spedizione punitiva” dell’esercito austriaco sull’Altopiano d’Asiago nel 1916. Gli austriaci erano al corrente dell’attacco italiano e si erano preparati per affrontare il nemico. Nelle prime ore del 10 giugno l’attacco è preceduto da un violento bombardamento, i colpi di alcune batterie però per errore si abbattono sulle trincee italiane dove la Brigata Sassari era pronta all’attacco, per diverse ore i fanti furono falcidiati dal “fuoco amico”. Nel pomeriggio, mentre comincia a piovere e scende una fitta nebbia, parte l’offensiva italiana, ma per tutta la giornata non si ottengono risultati significativi. L’attacco al Monte Ortigara viene sferrato dalla 52° divisione, si deve avanzare allo scoperto lungo il vallone dell’Agnellizza sotto il tiro degli austriaci. Con enormi perdite i soldati riescono ad avvicinarsi alla cima, ma alla sera l’azione viene interrotta. Nei giorni successivi riprendono gli attacchi, a prezzo di migliaia di morti si raggiunge la quota 2105 del Monte Ortigara. Ma poi parte il contrattacco austriaco che riconquista la vetta, i comandi italiani lanciano di nuovo i soldati all’attacco, è l’ultimo massacro prima di dichiarare la fine della battaglia. Nell’attacco al Monte Ortigara gli alpini della 52° divisione ebbero quasi 13.000 perdite, le memorie dei sopravvissuti al “Calvario degli alpini” raccontano di atti di eroismo e momenti infernali di disperazione. Diverse canzoni alpine ricordano l’Ortigara, su tutte la celebre canzone che nel ritornello ricorda il rumore dei fucili austriaci: “Venti giorni sull’Ortigara / senza il cambio per dismontar / ta pum ta pum ta pum”. Un’altra canzone così recita: “O vecchio alpin / vecchio Alpin dell’Ortigara / ti ricordi queste rocce / questi sassi, queste fosse / questa valle senza fior/ ...Ventimila siamo stati / venti mila siamo morti / mamma mia quante croci / quante croci di dolor. / Ortigara, Ortigara / monte santo dell’Alpino / la tua croce invoca al cielo / solo pace, sol pietà”. Nel libro Scarpe al sole (1921) di Paolo Monelli, ufficiale alpino, si leggono pagine commoventi relative alla battaglia dell’Ortigara, ne trascriviamo alcune: “... da quindici giorni s’assiste allo stesso spettacolo: escono battaglioni, rientrano barelle e morti, e dopo qualche giorno o qualche ora, i pochi superstiti. Ed oggi il ritmo pare più violento, e noi andremo fuori sotto un bel chiaro di sole, che intaglierà crudelmente le nostre figure sul ciglio della trincea quando ne usciremo per scendere nella busa dell’Agnelizza, ed andare al contrattacco ... e poi via per il vallone dell’Agnelizza colmo di morti, gli scheletri delle battaglie dell’anno passato, i cadaveri gonfi della battaglia di quest’anno che dura da quindici giorni. E un teschio sghignazza. Lucido, accanto alla larva livida di un morto di ieri ... ”Siete voi il battaglione Tirano? “chiede il maggiore. “Signorsì”. “Tutto qui?”. “Tutto qui”. “Allora Battaglione Tirano del quinto alpini avanti, - dice il maggiore- andate a quota 2003 di rinforzo alla 297° del Cuneo”. “Signor sì” risponde senza bestemmiare l’ufficiale. E s’avvia; e le tre dozzine di uomini, quanti la battaglia ha risparmiato di seicento che erano l’altro giorno, gli tengon dietro, a muso duro, ma zitti ... rubiamo le scatolette di carne ai morti, beviamo alla boraccia dei morti, ci facciamo dei morti parapalle e scaldapiedi.. il capitano Ripamonti con otto o dieci buchi nel corpo di bombe a mano era stato trascinato via dalla cima da un suo soldato, poi il soldato era stato fracassato da una granata, e Ripamonti con una nuova ferita gemeva là sotto, allo scoperto. Andarlo a prendere, un suicidio. Ma Sommacal ha detto: “ El me capitano, ho da andar a torlo”. Ed è uscito fuori, Piazza il portaferiti l’ha seguito, gli austriaci stupefatti, cavallereschi, hanno lasciato fare. Il capitano in barella dev’essere già rientrato, a quest’ora. Questo dice il biglietto del tenente: dice anche, poscritto, che di dove sono nessuno li smoverà, finchè c’è penna d’alpino.”