Domenica 22 ottobre si terrà il referendum consultivo per l'autonomia della Lombardia e del Veneto. Al di là delle modalità, dei tempi e dell'esito finale di un percorso che si annuncia lungo e complesso, l'obiettivo della consultazione è quello di conseguire uno Statuto speciale. Se, un giorno, il Parlamento italiano deciderà di recepire in legge la volontà popolare che prenderà corpo nel voto del 22 ottobre, in Italia non avremo più 5 Regioni a statuto speciale ma 7, delle quali ben 5 sono situate nella parte più ricca del paese. Siamo, di fatto, al definitivo abbandono del federalismo.
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Domenica 22 ottobre si terrà il referendum consultivo per l'autonomia della Lombardia e del Veneto a cui potranno prendere parte tutti i cittadini residenti con diritto di voto. Nella storia del nostro paese si tratta di un appuntamento del tutto inedito che ha come unico precedente il conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo (18 giugno 1989). Per capire esattamente “di cosa si tratta”, è necessario partire dal testo integrale del quesito referendario che recita così: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”. Si capisce, pertanto, che siamo solo davanti all'inizio di un percorso di cui non è possibile prevedere gli esiti, subordinati alla volontà del Parlamento italiano di prendere in considerazione il pronunciamento popolare di due Regioni che, in base all'art. 116 della Costituzione, hanno il diritto di rivendicare un ampliamento delle proprie prerogative e delle proprie attribuzioni. Il voto del 22 ottobre, pertanto, rappresenta l'avvio di una procedura che avrà la sua conclusione con una legge dello Stato da approvare a maggioranza assoluta sulla base di una intesa fra lo Stato e le Regioni interessate. Chiunque è in grado di capire che l'esito del referendum, che appare scontato, non garantisce alle due regioni il conseguimento di “ulteriori forme e condizioni di autonomia”. Tuttavia, al di là delle modalità, dei tempi e dell'esito finale di un percorso che si annuncia lungo e complesso, sarebbe opportuno riflettere sulle ragioni di questa consultazione il cui obiettivo resta il riconoscimento di uno Statuto speciale a favore di Lombardia e Veneto. Si tratta di una svolta strategica importante di cui Salvini farebbe bene a chiarirne tutti i profili e tutte le implicazioni. Se consideriamo gli statuti speciali un “privilegio” di cui sono note le ragioni storiche che ne determinarono il concepimento, la richiesta di entrare a far parte della rosa delle Regioni che ne beneficiano significa, in pratica, abbandonare definitivamente qualunque ipotesi di progetto federale. Se, un giorno, il Parlamento italiano deciderà di recepire in legge la volontà popolare che prenderà corpo nel voto del 22 ottobre, in Italia non avremo più 5 Regioni a statuto speciale ma 7, delle quali ben 5 sono situate nella parte più ricca del paese. Ma c'è altro. Matteo Salvini dovrebbe spiegare come si possa conciliare questa legittima aspirazione autonomista di Lombardia e Veneto, roccaforti storiche della Lega, con il suo disegno di creare un partito nazionalista e lepenista. In vista delle prossime elezioni, l'opinione pubblica avrebbe diritto di sapere i reali intendimenti del giovane leader della Lega il cui consenso personale, stando ai sondaggi, supera sensibilmente quello del suo partito. I temi toccati da Matteo Salvini in tutte le apparizioni televisive denotano la volontà di collocare la Lega nell'area del lepenismo e dell'antieuropeismo. Come dire, alla testa di un partito congenitamente localista che simpatizza apertamente per la Catalogna, c'è un leader nazionalista che simpatizza per il Front National, per Putin e per Trump. La sensazione è che non sarà facile, per il segretario della Lega, riuscire a sciogliere questa contraddizione che rischia di tarpare le ali ad ogni velleità espansiva del suo partito nelle regioni meridionali del paese dove, non a caso, le simpatie personali per Salvini non si traducono mai (meglio, quasi mai) in consensi per la Lega. Poichè è in gioco la leadership all'interno del centro-destra, sarebbe opportuno che Salvini fornisse una interpretazione autentica sul significato del referendum del 22 ottobre rilanciando il progetto di un'Italia federale, unita e solidale. Il fallimento dell'impianto centralista dello Stato italiano è, ormai, sotto gli occhi di tutti. Per queste ragioni, Lombardia e Veneto dovrebbero guardare al paese tendendogli la mano e assumendone la guida. La strada da seguire è questa, se ha ancora senso continuare a dirsi italiani.