Matteo Renzi appare incerto e periclitante nelle scelte di politica estera. I giudizi sull'Europa appaiono, spesso, umorali e contraddittori, talora dettati dalla preoccupazione di contenere Grillo e Salvini. In questo modo, il nostro paese è destinato fatalmente ad una subalternità che non potrà mai tradursi in quel cambiamento di rotta che solo una leadership forte e autorevole potrebbe imporre all'Europa. Renzi dimostri, quindi, il coraggio di un vero statista se non vuole restare il leader irrilevante di un paese irrilevante.
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Dopo il risultato delle elezioni francesi, la stampa italiana non ha saputo resistere alla tentazione di strologare sulle possibili analogie tra Emmanuel Macron e Matteo Renzi. Abbiamo, così, assistito alle aporie più fantasiose con le quali si è cercato di far passare il neo-Presidente francese come un emulo di Matteo Renzi sottacendone, di contro, le grandi diversità. Già la prima differenza risulta, invero, sintomatica. A differenza di Renzi, Macron ha avuto il coraggio, partendo dal nulla, di creare un partito completamente nuovo, con tutte le difficoltà che ne discendono. E' stata, questa, la grande intuizione di Macron e del suo entourage, cioè, aver capito che il declino della sinistra avrebbe esposto la Francia al rischio di una deriva lepenista che avrebbe avuto riflessi anche in Europa. La sconfitta di Marine Le Pen rappresentava, già alla vigilia, un passaggio delicato per le sorti dell'Ue perchè, dopo la disfatta dei movimenti nazionalisti in Austria e in Olanda, era necessario rassicurare l'opinione pubblica europea sulla consapevolezza, da parte dell'establishment, di una svolta nelle politiche sociali dell'Europa. In quest'ottica, Macron non ha mai fatto mistero dei suoi propositi di rafforzare l'asse con Angela Merkel la quale, stando ai sondaggi, continua tuttora a godere nel suo paese di un consenso popolare che nessun partito appare in grado di insidiare. A differenza di Emmanuel Macron, Renzi è il leader di un partito forte, strutturato e ben radicato nel paese che, già prima del suo avvento, rappresentava il primo partito in Italia. Non è una differenza da poco. Il merito di Renzi è stato certamente quello di approfittare dell'usura di un apparato che appariva imbolsito e incapace di rompere la vischiosità della politica italiana. La sconfitta di Bersani avrebbe dovuto rappresentare, per Renzi, il punto di partenza di una grande trasformazione civile e culturale. La famigerata “rottamazione” rappresentava plasticamente l'immagine di quella modernizzazione che le élite del paese avevano sperato di realizzare con la destra e che, disilluse dal Cavaliere, sperano di realizzare con la sinistra. La verità è che un paese storicamente dilaniato da contrapposizioni antiche e mai sopite, avrebbe avuto bisogno di un leader pacato ed equilibrato, attento a ricucire gli strappi e a ripianare le gravi fratture esistenti nel paese. Il grave errore di Matteo Renzi, di contro, è stato quello di aver alimentato le divisioni, interne ed esterne al partito. I critici più benevoli sostengono che a Renzi sia mancato l'aplomb di Macron. Non è esattamente così. Di Macron, a Renzi è mancato lo spirito “nazionale” ma, soprattutto, gli è mancato il coraggio della coerenza. A differenza del neo-Presidente francese, infatti, ancora oggi Matteo Renzi appare incerto e periclitante nelle scelte di politica estera. I giudizi sull'Europa appaiono, spesso, umorali e contraddittori, talora dettati dalla preoccupazione di contenere Grillo e Salvini. In questo modo, il nostro paese è destinato fatalmente ad una subalternità che non potrà mai tradursi in quel cambiamento di rotta che solo una leadership forte e autorevole potrebbe imporre all'Europa. Renzi dimostri, quindi, il coraggio di un vero statista se non vuole restare il leader irrilevante di un paese irrilevante.